di GIANLUCA MARCHI
Passato il momento clou della consultazione alternativa del 9 Novembre svoltasi in Catalogna, prima, durante e dopo la quale ha continuato a fare la “faccia cattiva” del mastino che non avrebbe concesso mai nulla ai catalani sulla strada dell’indipendenza, il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy adesso ha deciso di cambiare strategia. Da Brisbane (Australia), dove si è recato per partecipare al G20, ha fatto sapere a sorpresa che intende recarsi a Barcellona, forse già il prossimo fine settimana, per aprire un dialogo con le istituzioni catalane e segnatamente con il presidente della Generalitat, Artur Mas. E questo sviluppo avviene mentre la magistratura sta litigando internamente sull’accusa contro Mas per l’organizzazione del voto del 9N, una denuncia per un reato che potrebbe portare il presidente catalano a essere escluso dalle prossime elezioni. la Procura catalana si rifiuta infatti di procedere contro Mas come vorrebbe invec eil Procuratore generale dello Stato spagnolo.Il premier di Madrid ha fatto sapere che intende anche rispondere alla lettera che lo stesso Mas gli aveva inviato il giorno dopo la consultazione e che finora era rimasta chiusa in un cassetto, dove tra l’altro si ipotizzava lo scenario di far svolgere alla Catalogna un referendum definitivo.
E tutto ciò avviene mentre la magistratura sta litigando internamente sull’accusa contro Mas per l’organizzazione del voto del 9N, una denuncia per un reato che potrebbe portare il presidente catalano a essere escluso dalle prossime elezioni. la Procura catalana si rifiuta infatti di procedere contro Mas come vorrebbe invec eil Procuratore generale dello Stato spagnolo.
Perché l’arcigno e anche un po’ ottuso Rajoy ha deciso per questo cambio di strategia? Anche uno come lui si è probabilmente reso conto che, dal punto di vista dello Stato centrale, è meglio abbracciare il comportamento che David Cameron assunse rispetto alla Scozia, il famoso “better together” – meglio insieme – che alla fine è risultato vincente, almeno finora, per mantenere integro il Regno Unito. In secondo luogo devono avere sortito il loro effetto anche le pressioni esercitate dal PP catalano che, in vista di una elezione anticipata nella regione di Barcellona, rischia di rimanere letteralmente stritolato fra il fronte indipendentista e i socialisti i quali, guidati dal nuovo leader Pedro Sanchez, hanno sposato la causa di una riforma costituzionale in senso federalista per venire incontro ai desiderata della Catalogna e si propongono di sostenere il governo minoritario di Mas se questi dovesse arrivare ai ferri corti con ERC. Insomma, la politica si è messa in moto su vari fronti, preso atto che il “caso catalano” non può essere affidato alle sole inchieste giudiziarie.
Il gesto di Rajoy, cioè recarsi personalmente a Barcellona, è comunque significativo già di per sé. Che un primo ministro, soprattutto se del Partito popolare, decida di muoversi per recarsi nella mai amata capitale economica del Paese, ha un significato simbolico non indifferente. Negli ultimi vent’anni si ricorda solo un gesto del genere da parte di Josè Maria Aznar che, vinte le elezioni per il suo secondo mandato da premier, ma non avendo la maggioranza assoluta, si recò in Catalogna per chiedere ufficialmente l’appoggio parlamentare degli autonomisti moderati, incontrando l’allora presidente della Generalitat e leader di CiU, Jordi Pujol. Un gesto che fu interpretato come il piegare la testa davanti a coloui che veniva chiamato come il “virrey” di Spagna.
Rajoy di certo non arriverà in Catalogna con in tasca il via libera allo svolgimento del “referendum definitivo” sull’indipendenza della Catalogna, referendum che, va ricordato, secondo la legge spagnola, può essere approvato solo dal Parlamento nazionale. Lui continua e continuerà a trincerarsi dietro l’impossibilità, sancita dalla Costituzione, di dividere il Paese. Di conseguenza se i catalani vogliono arrivare a una consultazione del genere, prima devono ottenere la modifica della Carta, eventualità alquanto improbabile. E tuttavia, per non correre il rischio di rendere inutile questo viaggio, dovrà presumibilmente proporre alla Catalogna delle concessioni quantomeno in tema di “autonomia fiscale”, in questo però contraddicendosi rispetto alla politica sempre perseguita, volta a confermare e anzi a consolidare l’accentramento degli incassi fiscali a Madrid. Il premier farà poi appello al fatto che tutta insieme la Spagna oggi sta riemergendo dalla gravissima crisi economica che l’ha investita negli ultimi anni e reitererà la sua nota posizione: perché costringere a scegliere cosa essere, quando è bello oggi potersi definire catalani, spagnoli ed europei.
Artur Mas, da parte sua, non avrà un compito facile. Da una parte non potrà rifiutare il dialogo, che ha sempre caldeggiato, ma si scontrerà con i non pochi paletti che Rajoy continuerà a mantenere sul percorso. Dall’altra è alle prese col non facile rapporto con ERC e col suo leader Oriol Junqueras che, dopo il 9N, premono per avere elezioni anticipate immediate, incardinando il processo di autodeterminazione. E dall’altra ancora è pressato dal Partito socialista catalano disposto ad appoggiare il suo governo al posto di ERC, mettendo sul piatto l’ipotesi di una riforma costituzionale in senso federalista a livello nazionale. Insomma, il suo è uno slalom non facile da compiere, non dimenticando che il suo partito, CiU, vive un momento complesso e di difficoltà, e non trascurando di aver ingolosito la parte più indipendentista della Catalogna con la prospettiva di elezioni politiche plebiscitarie.