di GIANLUCA MARCHI
MiglioVerde segue con particolare attenzione quanto sta avvenendo in Catalogna sapendo che da quell’esempio, più che dal caso scozzese, potranno venire indicazioni concrete perché un referendum per l’indipendenza (in Veneto, dove è già stato approvato, e in qualunque altra regione che volesse seguire quella strada) possa prima o poi celebrarsi anche in Italia.
Dopo gli eventi dell’ultima settimana è dunque importante fare il punto, affinché non si pensi che quanto sta accadendo a Barcellona sia un facile percorso in discesa. Tutt’altro. Dopo che la Corte costituzionale spagnola ha, in tempi record, nemmeno 24 ore, dichiarato ammissibili i ricorsi del governo di Madrid alla legge catalana che indice la consultazione referendaria e al decreto del presidente della Catalogna Artur Mas che convoca le urne per il prossimo 9 novembre, formalmente i due provvedimenti devono ritenersi sospesi per un periodo di almeno cinque mesi. Il Parlamento catalano non si è però fermato a ha proceduto alla nomina del “consiglio di sorveglianza” delle votazioni, mentre il governo catalano ricorrerà al Tribunal costitucional perché annulli la sospensiva dei due provvedimenti sopra citati. Nel contempo l’esecutivo guidato da Mas, per non mettere in difficoltà i funzionari pubblici che potrebbero essere denunciati dal governo centrale, ha deciso di sospendere la campagna istituzionale per la consultazione, cosa che ha irritato in particolare la sinistra repubblicana catalana (ERC), partito che sostiene il governo della Generalitat con l’appoggio esterno.
Il problema vero è che i tempi stringono, al 9 novembre manca solo un mese e se la macchina organizzativa resterà congelata in attesa delle decisioni provenienti da Madrid, il rispetto della data per la consultazione diverrebbe impossibile, il che non sarebbe accettabile per ERC, per ICV e per CUP, i partiti indipendentisti di sinistra che hanno fatto del 9-N un limite oltre il quale non intendono andare e che, se non venisse rispettato, dovrebbe sfociare in elezioni anticipate plebiscitarie in Catalogna. Nel partito governativo di Mas – CiU, formato in realtà da due partiti, il maggiore, Convergenza Democratica di Catalogna (CDC) e il minore, Unione Democratica di Catalogna (UDC) – le posizioni sono invece più sfumate, nel senso che si è sempre pensato che se la consultazione referendaria non si può celebrare il 9 novembre, potrà essere convocata in altra data più favorevole.
Nel vertice di venerdì scorso i quattro partiti “sovranisti” – CiU, ERC, ICV e CUP – hanno cercato di dare un’immagine ancora unitaria, ma il fatto stesso che la riunione sia durata oltre sette ore sta dimostrare che la discussione è stata molto accesa, e in particolare si sono confrontati Artur Mas da una parte e Oriol Junqueras dall’altra, leader di ERC che ormai, in base agli ultimi sondaggi, è il primo partito indipendentista di Catalogna, sovrastando nelle intenzioni di voto addirittura di sei punti il partito di Mas. ERC non ha nascosto la propria irritazione per la decisione del governo catalano di sospendere unilateralmente (senza consultare gli alleati di maggioranza) della campagna istituzionale per il referendum. Dietro questa decisione in molti vedrebbero il disegno di Mas di andare a elezioni anticipate, anche per sistemare i problemi interni al suo partito, dove la parte più destrorsa e democristiana è da sempre più autonomista che indipendentista. E proprio ieri l’assemblea generale della componente più piccola di CiU (UDC) si è conclusa con la decisione di dare libertà di voto ai propri elettori sulla seconda domanda della consultazione. Va infatti ricordato che la legge istitutiva del referendum consultivo prevede queste due domande: 1) vuoi che la Catalogna sia uno Stato?; 2) in caso affermativo vuoi che questo Stato sia indipendente? UDC, essendo per la confederazione con la Spagna, ha scelto comunque di non scegliere sul secondo quesito.
Tutto ciò indebolisce politicamente Mas, che potrebbe appunto essere tentato di ricorrere alle elezioni anticipate per giocarsi la partita di rifondare il proprio partito intorno a se stesso e per prendere tempo, visto che non si andrebbe al voto prima delle elezioni municipali del maggio 2015. Ovviamente Madrid, e il premier Mariano Rajoy, facendo ricorso a tutta l’architettura legale per opporsi al voto catalano, confidava e confida di insinuarsi nelle differenze esistenti comunque nel fronte indipendentista con la speranza di spaccarlo. Insomma, è in atto una delicata partita a scacchi di cui è difficile intravvedere non solo la conclusione, ma persino le mosse. E probabilmente si gioca su più scacchiere. Magari sarà solo una coincidenza, ma stamane dal quartiere generale di British Airways, gruppo che controlla anche Iberia e Vueling, rimbalza la notizia che Barcellona non sarà considerato un hub strategico per i collegamenti, in forte aumento, con le capitali del Sud America. Bisognerà passare da Madrid! A pensar male, diceva quella vecchia volpe di Andreotti, si farà peccato ma spesso ci s’azzecca…
per quanto riguarda la storia dell’aeroporto mi vien da dire… ma guarda che caso, ma come è piccolo il mondo!!!! La storia dell’aeroporto Madrid che viene favorito a danno di Barcellona, non so perchè mi ricorda quello dell’aeroporto di roma favorito a danno di Malpensa… non è un caso poi se qui è in catalogna c’è la stessa voglia di andarsene!!!!
La stampa anglosassone sta tirando ad alzo zero sul Governo Rajoy (Bloomberg, Financial Times, solo per citare le fonti più note). Non mi pare proprio che da quei lidi possano provenire grandi aiuti alla Spagna, tanto più che c’è il precedente scozzese a pesare come un macigno; per non dimenticare la questione di Gibilterra, su cui la Gran Bretagna ha buon gioco a prendere le parti di chi si autogoverna a prescindere da questioni di “indissolubilità nazionale” fondata su basi etniche.