di GIANLUCA MARCHI
da Barcellona
Per comprendere quale impegno, quanto sacrificio e quante difficoltà comporta un processo indipendentista, bisognerebbe che qualche buontempone di casa nostra facesse un giro qui in Catalunya, anziché pensare che l’indipendenza di una comunità territoriale possa essere ottenuta semplicemente pigiando il tasta di un pc in un plebiscito digitale del quale ancora oggi non conosciamo la reale serietà, visto che le annunciate certificazioni non sono mai pervenute. Ogni riferimento al caso Veneto lo si consideri puramente casuale…
Qui a Barcellona domani si celebra la Diada, la festa indipendentista catalana che l’anno scorso riunì quasi un milione e mezzo di persone in una catena umana che fece impressione a mezza Europa. Quest’anno si arriva all’atteso appuntamento – 300 anni dalla caduta di Barcellona nelle mani delle truppe borboniche di Filippo V di Spagna durante la Guerra di Successione Spagnola l’11 settembre 1714, dopo 14 mesi di assedio – sull’onda di un clima complicato non solo dalla feroce opposizione di Madrid al referendum che la maggioranza del Parlamento Catalano vorrebbe celebrare il 9 novembre prossimo. Ma anche sulla scorta di non poche difficoltà all’interno della stessa maggioranza indipendentista che guida la Generalitat da poco meno di un anno. Il caso Pujol, di cui ho parlato in un recente articolo, sta mettendo ai ferri corti il partito del presidente Artur Mas, CiU, ed Esquerra Republicana, gli indipendentisti di sinistra che alle ultime Europee hanno per la prima volta superato in percentuale i moderati. Il primo accusa i secondi di “avvelenare” il clima perché pretendono una commissione di inchiesta sul comportamento di Pujol, che a giugno ha confessato di avere dei conti di famiglia in Andorra. ERC risponde non non ci si può assolutamente permettere di far passare l’equazione secondo cui indipendenza sarebbe uguale a corruzione. E così il governo della Comunità autonoma traballa.
Inoltre Mas (che terrà un discorso ufficiale stasera alle 21) ha innestato il freno a mano sulla volontà di far svolgere effettivamente il referendum il 9 novembre. Ieri, nell’intervista a un settimanale, è arrivato a porsi questa domanda: “A cosa serve una Catalunya indipendente se non verrà riconosciuta da nessuno?”. Perché questo apparente (e non solo) passo indietro del presidente della Generalitat? Per vari motivi. Uno è di certo dettato dal timore che la vicenda Pujol – al suo culmine in questo periodo, con l’ex presidente e leader di CiU per vent’anni costretto a comparire davanti al Parlamento per dare una spiegazione credibile sul denaro posseduto all’estero – possa danneggiare il processo “soberanista” (separatista) e soprattutto il partito a cui entrambi appartengono, già piuttosto in declino. E poi c’è la volontà di rinviare a tempi migliori il braccio di ferro con Madrid dove, ancora l’altro giorno, il premier Mariano Rajoy ha ribadito di avere pronte tutte le misure per impedire la consultazione catalana. Mas, come visto già indebolito su vari fronti, teme di uscire perdente dal braccio di ferro (tra l’altro è attesa anche la pronuncia della Corte costituzionale sull’ammissibilità della consultazione, che con tutta probabilità sarà negativa). Mas, comunque, riconosce oggi in una intervista al Financial Time che il si scozzese faciliterebbe anche il camino della indipendenza catalana: la Scozia viene definita un trampolino. Gli indipendentisti repubblicani, invece – e non solo loro per la verità – reputano che sia il caso di premere sull’acceleratore, anche perché avvertono il vento in poppa per se stessi. Il loro leader, Junqueras, proprio ieri ha esortato alla “disubbidienza civile” se Madrid impedirà il referendum. Secondo lui non c’è miglior disobbedienza civile se non esercitare il diritto di voto qualora la Corte costituzionale dovesse cassare il referendum. E le sue parole stanno infiammando il dibattito politico non solo in Catalunya ma in tutta la Spagna. Così, in tutta questa fibrillazione, non solo si rischia il rinvio del referendum, ma anche la caduta del governo catalano.
Sui principali quotidiani di Barcellona – La Vanguardia e El Periodico – intanto occupa grande spazio quanto sta accadendo in Scozia, dove un sondaggio ha per la prima volta dato in vantaggio i sì al referendum per l’indipendenza che si terrà il 18 settembre, ed un altro immediatamente successivo vorrebbe i no in vantaggio di un solo punto (39 a 38%), quando la precedente rilevazione di agosto dava gli unionisti nettamente avanti 45 a 32. Insomma, in Scozia la partita è del tutto aperta e il governo di Londra si è talmente spaventato per questi sondaggi, che ieri il premier Cameron ha scatenato una offensiva unionista, arrivando a promettere un aumento dell’autonomia scozzese già a partire da ottobre. Ma il leader scozzese Alex Salmond ha risposto piccato che si tratta solo di una “presa in giro”, un vero e proprio raggiro a dieci giorni dal voto.
Insomma, su al Nord non si risparmiano colpi bassi. E invece da Madrid il capo del governo ha subito fatto sapere che non ha nessuna intenzione di seguire l’esempio di Cameron promettendo maggiore autonomia alla Catalunya. L’atteggiamento di Rajoy è oltremodo ferreo: no al referendum e no ad alcuna concessione per Barcellona. E il povero Mas si trova in mezzo fra questa posizione e gli alleati di maggioranza, i repubblicani di sinistra, che spingono in senso opposto.
Che succederà ora? Molto potrebbe dipendere anche dal messaggio che il popolo catalano darà domani in occasione della Diada e dalla interpretazione politica che di quel messaggio scaturirà. Per capire in maniera un po’ distaccata cosa bolle nella pancia della gente a volte è utile ascoltare il parere di chi catalano non è ma ha scelto la Catalunya come luogo di vita. I pareri sono abbastanza univoci e riassumibili in quanto ci ha detto Andrea, ragazza tedesca che vive a Barcellona da 12 anni dove fa la guida turistica per i tour in bicicletta: “Non c’è dubbio che la Catalunya per storia, tradizioni, usanze e mentalità è tutta un’altra cosa rispetto al resto della Spagna. Penso che se oggi si votasse per il referendum, più della metà dei catalani si schiererebbe per il sì all’indipendenza. Ma molti autorevoli osservatori, e io condivido tale posizione, pensano che questo non sia il momento ideale per aprire un tale negoziato con Madrid. Perché? La crisi economica, contrariamente a quanto si possa pensare, ha finito per rendere più solidali le comunità autonome che compongono la Spagna. Insomma, le varie popolazioni si stanno in un certo senso dando una mano per uscire dal baratro in cui tutta la Spagna era finita. Così il separatismo di Barcellona penso debba attendere momenti migliori per essere messo in atto”.
Come detto si tratta di un parere esterno, ma piuttosto diffuso da queste parti, che in un certo senso va a corroborare l’atteggiamento di Mas. A questo punto non resta che aspettare la giornata di domani e trarre poi le dovute considerazioni. E intanto, per noi lontani anni luce da un tale clima, tocca almeno di riempirci gli occhi coi moltissimi balconi di Barcellona dove sono esposte le bandiere della Catalunya Indipendente, quelle con la estrella bianca nel triangolo azzurro.