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C’è un indipendentismo che è solo «tartufismo parolaio»

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quorumdi ENZO TRENTIN

Quello che alcuni professano non è indipendentismo, è gnagnera. È tartufismo parolaio, potremmo anche chiamarlo renzismo e napolitanismo. Tartuffe gronda di maiuscole: Onestà, Dovere, Correttezza, Dialogo, Confronto, Moralità, Giustizia, di buone intenzioni e naturalmente di ideali, di sogni. Tanti, tantissimi sogni. Secondo l’enciclopedia Treccani, “tartufo” si dice di una persona falsa, ipocrita, bigotta, che nasconde, sotto una apparenza di moralità e falsa devozione, sentimenti vili e intenzioni disoneste. L’uso del termine si riconnette principalmente al nome, Tartuffe (Tartufo), del protagonista della commedia di Molière L’imposteur ou le Tartuffe (1664), che impersona l’ipocrisia e il bigottismo, sebbene un personaggio di nome Tartufo s’incontri già, col carattere di ipocrita, nella commedia italiana al principio del 17° secolo.

Al “sincero democratico” la distinzione fra il bene e il male e dunque fra ciò che è morale e ciò che è immorale, poco interessa. Forse perché costa fatica, forse perché non è possibile generalizzare e dunque l’esame va fatto caso per caso. E poi gli creerebbe qualche imbarazzo. Non dimentichiamo che gli indipendentisti ai quali facciamo riferimento sono coloro che aspirano a diventare “rappresentanti” (lautamente remunerati e privilegiati) in quelle istituzioni italiane che considerano inefficienti, soffocanti, dispendiose e dalle quali vogliono smarcarsi per dare vita ad un loro Stato sovrano.

Ecco perché non può esserci credibilità in questo indipendentismo, ma solo melensaggine. Che anche così, ridotto appunto a gnagnera smorfiosa, è rivolto sempre alle parole, azioni e opere degli altri, non gettando mai, il “sincero democratico”, lo sguardo in casa propria che risulta, per dogma, il tempo della legalità, della giustizia, dei valori etici. Della verità. E la verità è che nessuno di tali indipendentisti si sforza di elaborare un assetto istituzionale per quell’indipendenza che a parole sostiene di perseguire. Non hanno da esibire una loro “charta” dove si declinano le loro generalità storiche, le loro affinità ideali, i loro principi, le loro provenienze civili e religiose. Ma non c’è nemmeno un disegno di riforma per quelle istituzioni italiane nelle quali vogliono entrare cercando di carpire la buona fede degli elettori disposti a votarli.

Si dicono democratici, ma non fanno alcuna proposta per eliminare quella creatura di politici lestofanti che va sotto il nome di referendum consultivo. Vogliono “prenderci per il quorum” quando non fanno alcun accenno di eliminare quel 50%+1, che esiste solo in Italia e nei paesi europei che furono satelliti dell’URSS. Vogliono essere eletti in Regione, ma non fiatano sul Difensore civico regionale, ovvero il controllore nominato dai controllati. Pretendono di aver fatto una riforma nel prevedere un iter certo (ma ancora tutto da regolamentare) per le proposte di legge d’iniziativa popolare. Proposte che hanno visto, peraltro, lo spropositato aumento delle sottoscrizioni per presentarle, mentre le circa 650 già depositate languono da decenni nel dimenticatoio. Non dicono nulla, forse perché nemmeno la conoscono, sulla revoca degli amministratori pubblici ritenuti infedeli o inadatti. Vedasi, per esempio, l’articolo 70 del Decreto l.vo 267/2000. Né traggono ispirazione dalle moderne democrazie dove è normato come “recall”. Storicamente l’uso del “richiamo” [VEDI QUI] vide la prima apparizione nell’America coloniale con le leggi del Tribunale del Massachusetts Bay Colony nel 1631. In Svizzera: a Berna il Richiamo del potere esecutivo e legislativo è possibile dal 1846. Mentre negli Stati Uniti è iniziato a Los Angeles nel 1903. Michigan e Oregon, nel 1908, furono i primi Stati membri ad adottare procedure di ritiro dei funzionari statali ritenuti inadeguati.

bla-blaD’altronde gli italici non vanno forse orgogliosi di Niccolò Machiavelli? Non pretendono di essere tutti figli del Segretario fiorentino? Non si vantano d’aver avuto Baldassar Castiglione (autore de: Il Cortigiano) quando altri hanno avuto Molière, Montaigne e Cervantes, implacabili nel ridurre a macerie i luoghi comuni e a brandelli i fastosi stendardi della moralità a un tanto al chilo? Come direbbe un fine cronista: ci mancano i fondamentali. Se poi alla mancanza dei fondamentali si aggiunge la spocchia del “sincero progressista”, cosa si vorrà mai pretendere da tale indipendentismo?

Il tartufismo, anche secondo la Royal Academy, equivale all’ipocrisia e alla falsità. E l’ipocrisia finge qualità o sentimenti contrari a quelli che hanno veramente gli autentici  indipendentisti. Esiste infatti nella pratica politica del nostro paese un vivo, cinico e senza scrupoli tartufismo, attualmente guidato da coloro che si stanno impegnando per essere eletti all’Ente Regione nel 2015. Affermando che, una volta assise le terga su quegli scranni, dichiareranno formalmente l’indipendenza dall’Italia. Eppure essi sanno benissimo che un tale pronunciamento potrebbe avvenire solo a patto d’ottenere un consenso elettorale bulgaro. Cosa impossibile. E sanno anche che una tale enunciazione non avrebbe alcun effetto concreto. Ed anche lo ottenesse – cosa estremamente fantapolitica – in quale nuovo “paradiso” legislativo ci condurrebbero? Non ce lo dicono. Rimandano a dopo. Tsz!  

Pretendono d’avere qualità di antagonisti o sentimenti o esperienze. Lodano la democrazia [diretta], sapendo di non essere democratici. Affermano di rispettare i diritti umani, sapendo che non vi è tale rispetto. Qualcuno annuncia ai quattro venti che l’educazione è l’obiettivo principale per lo sviluppo; ma non presentano un piano per una diversa pubblica istruzione. Pretendono avanzi di bilancio miliardari per ottenere i quali la tassazione dovrebbe rimanere quella attuale: persecutoria e spogliatrice. In qualche caso sottolineano che la scienza e la conoscenza sono i pilastri del progresso, e non propongono un piano per la ricerca scientifica. Affermano che i giovani d’oggi lavorano (quando hanno la fortuna di lavorare) per pagare le pensioni degli anziani; ma non producono alcuna proposta di riforma della previdenza sociale.

In breve, poiché potremmo continuare a lungo, si tratta della vecchia politica delle promesse. Non ipotesi di adempimenti, ma solo promesse. Riflettendo sulla buona fede delle quali salta agli occhi quanto ha detto Machiavelli: «promesse, promesse, ma che non soddisfano le vostre aspettative.» E tutto questo viene fatto consapevolmente, sapendo che si sta per imbrogliare, con una totale mancanza di rispetto per gli altri, in questo caso, il cittadino con le sue speranze e le sue ansie, contro ogni speranza. Intanto tra poco arriverà la cittadinanza facile per gli stranieri, i cui figli sono già per circa il 50% seduti nelle varie aule scolastiche, e quindi rappresentano l’avvenire imminente della classe dirigente, lavoratrice, e votante.

Così, cercano di nascondere, di non mostrare ciò che è la politica di sempre, in questo caso un profondo disprezzo per la democrazia. Il tartufismo politico di certi indipendentisti dal pedigree ben noto e documentato nella sua più brutale e marcia versione (Je me fous du passé! – Me ne fotto del passato!), è qualcosa di veramente patetico e ripugnante. Rischiamo di rivedere lezioni di storia che nulla hanno insegnato, e coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo. Per esempio, quello della nascita dello Stato sovietico durante il quale abbiamo dovuto constatare un enorme deserto: il 90% della intellighenzia russa fu annientata, la sua classe media distrutta, la sua classe operaia fatta ridiventare ancora più serva, ma questa volta servi in fabbriche statali, operai che al solo uso della parola “sciopero” potevano essere messi al muro. In quanto ai contadini, questi non furono altro che bestie da soma, cammelli nel Sahara comunista, che lavorano per i loro sfruttatori, e quasi senza paga.
 Questo tartufismo si riempie la bocca con le esperienze scozzesi, ma non ha un progetto paragonabile al loro; ciarla di catalanismo, ma non può contare su un analogo seguito popolare.

Non possiamo, non dobbiamo rimanere in silenzio. Si tratta di un imperativo etico da denunciare perché spregevole. Non farlo, sarebbe vile complicità.

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1 COMMENT

  1. Chi ha partecipato alla guerra ha acquisito una mentalità di semiindifferenza davanti alla morte. Persone dell’una e dell’altra parte.
    I giovani leoni di oggi, con il culo al caldo, non hanno l’animo di rischiare qualcosa, non dico la pelle.
    Lo si vede anche dal fatto che preferiscono stare attaccati alle sottane della mamma piuttosto che avventurarsi all’estero per schiodarsi.

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