Sul Risorgimento sono stati versati nel tempo bidoni di retorica. Uno degli eventi più alluvionati sono le Cinque Giornate di Milano: su di esse la pubblicistica patriottica ha ricamato di tutto e di più esaltando e ingigantendo episodi e personaggi e trasformando una “onesta” sollevazione popolare in una sorta di evento guerresco ed epico di portata colossale. Non hanno – per contro – scherzato neppure i detrattori riducendola a una rissa di osteria.
Finalmente si può disporre di una opera storica equilibrata e serie che ricompone tutti gli avvenimenti all’interno delle loro giuste proporzioni e del valore storico che hanno avuto.
Giorgio Ferrari ha pubblicato presso una minuscola casa editrice milanese un resoconto serio ma anche affascinante di quelle lontane giornate, del loro contesto e dei loro esiti.
Non ne viene fuori un affresco alla Hugo – che non avrebbe avuto senso – ma una narrazione completa di tutte le sfumature di quei giorni straordinari, pieni di buone intenzioni, entusiasmi, eroismi ma anche viltà e meschinerie. Racconta dei personaggi coinvolti e delle loro gesta gagliarde o prudenti, della misura nella quale come il popolo milanese si è fatto coinvolgere o ha voluto partecipare con passione. Nulla di nuovo sotto il sole: vi si vedono ritratti i lombardi di oggi, con luci e ombre, pregi e difetti, grandezze e taccagnerie morali.
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Tolto il velo sberluscente della retorica, le vicende sono più chiare e comprensibili. Si capisce innanzitutto che la vicenda non era in bianco e nero, ma in una traballante scala di grigi: buoni e cattivi erano equamente distribuiti e – come tutti e come sempre – anche i protagonisti di quei giorni erano a volte buoni a volte cattivi, spesso anche le due cose contemporaneamente. Certo varia la statura dei protagonisti. A fronte delle piccole debolezze e degli eroismi minori di una pletora di figuranti, o della non brillante figura di alcuni di quelli che passeranno come “Padri della Patria” (Manzoni, Verdi, il mellifluo Casati e – naturalmente – lo stralunato Carlo Alberto) si ergono le personalità gigantesche dei due protagonisti principali: Cattaneo e Radetzky. Sembra quasi che tutta la vicenda si giochi fra di loro, che sia un duello a distanza fra due uomini che si detestano ma che si rispettano. Due che alla fine ne usciranno ugualmente sconfitti: il vecchio Maresciallo perché rappresenta un passato che sta per soccombere, il Cattaneo perchè è il portatore di idee troppo avanzate e moderne per il suo tempo.
Quello che alla fine – visto a un secolo e mezzo di distanza – risulta straordinario è che in due in qualche modo volevano le stesse cose: un Impero maggiormente rispettoso delle autonomie locali, quasi una corona tripartita (con il Lombardo-Veneto alla pari con Austria e Ungheria) il primo, una federazione di popoli liberi anche all’interno dell’Impero asburgico il secondo.
Entrambi detestavano – sia pur per motivi non perfettamente sovrapponibili – i Savoia e lo stato pasticcione e illiberale che stavano costruendo.
Il libro di Ferrari finisce con il funerale milanese di Radetzky, snobbato dalla gente che lo amava e lo odiava allo stesso tempo: diventato milanese al punto di volerci restare a fare il pensionato e di essersi rifiutato di bombardare e distruggere la città insorta. Lo faranno altri.
TITOLO: Le Cinque Giornate di Radetzky; AUTORE: Giorgio Ferrari; EDITORE: Milano: La Vita Felice, 2008; PAGINE: 253; prezzo: 12,50 euro