Con l’implementazione della legge sulla sicurezza nazionale è iniziato l’esodo degli attivisti hongkonghesi dai social media. La legge non è infatti retroattiva e punisce solo i crimini commessi dopo la sua entrata in vigore. Come diversi analisti in tutto il mondo si aspettavano, dalla sua approvazione, la legge è stata applicata alla lettera dalle autorità con le forze di polizia che hanno effettuato quasi 400 arresti in un solo giorno. Tra questi, 10 persone sono state fermate dalla polizia poiché in violazione dei nuovi capi d’accusa previsti dalla legge, tra cui la conduzione di attività di sovversione, secessione e terrorismo attraverso l’esposizione di simboli indipendentisti o atti di vandalismo. Tra gli arrestati c’è anche una quindicenne che sventolava una bandiera per l’indipendenza della città. Rischiano pene comprese tra i tre anni di carcere e l’ergastolo. Sebbene miri a scoraggiare nuovi moti di opposizione, le numerose manifestazioni che si sono susseguite a Hong Kong nell’ultima settimana, tra cui anche la protesta dei “cartelloni vuoti,” sottolineano quanto gli hongkonghesi si stiano sforzando di rimanere resilienti al governo di Pechino. Ma il giro di vite sulla tecnologia della comunicazione aveva già dimostrato di avere successo nel frenare i manifestanti la scorsa estate, quando erano stati limitati i canali di comunicazione, e potrebbe di nuovo dimostrarsi un “asso nella manica” di Pechino e riuscire a prevenire nuove proteste su larga scala.
La stretta di Pechino su Hong Kong – scrive il sito dell’ISPI – non è passata inosservata alla comunità internazionale. Sebbene gli Stati Uniti abbiano rinnovato la propria posizione di principale difensore delle libertà politiche e civili nella città con diverse dichiarazioni di rappresentanti di governo, sono solo 27 i paesi nel resto del mondo ad essersi espressi contro la legge di fronte al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Capeggiati dal Regno Unito, i maggiori critici alla legge sono paesi europei o democrazie come Canada, Australia e Giappone. Pechino tuttavia può fare affidamento su un’ampia schiera di sostenitori, ben 53, tra cui Cuba che opera come capofila di fronte al Consiglio. Di questi, più di 40 sono partner della Belt and Road Initiative cinese. Grande assente tra i due schieramenti è l’India che, nonostante le tensioni con Pechino e la decisione di bannare 59 app legate alla Cina – tra cui proprio TikTok – dal Subcontinente, si è espressa con toni decisamente miti e non ha firmato la mozione presentata dal Regno Unito al Consiglio.
L’Australia, nel mentre, ha deciso di sospendere il suo accordo di estradizione con Hong Kong a seguito dell’adozione sul territorio della nuova legge sulla sicurezza da parte della Cina. Il primo ministro Scott Morrison ha detto che la decisione è stata presa perchè la legge sulla sicurezza “costituisce un fondamentale cambiamento del contesto” ad Hong Kong. Ma non basta: il governo australiano ha anche deciso di estendere la durata dei visti a circa 10 mila cittadini di Hong Kong residenti in Australia da almeno cinque anni, offrendo anche posizioni permanenti a studenti e lavoratori attualmente residenti nel Paese. Intanto il ministero degli Esteri australiano ha emesso un avviso di viaggio rivolto ai suoi concittadini a Hong Kong, invitandoli a fare ritorno in patria per i ‘rischi’ connessi alle nuove norme di sicurezza imposte da Pechino, che prevedono in alcuni casi, afferma il governo australiano, anche la detenzione “in base a norme vagamente definite”.