di MATTEO CORSINI
Da decenni i sinistrorsi di ogni dove vanno ripetendo che i problemi di Cuba non sono dovuti al fallimento del socialismo, ma all’embargo imposto dagli Stati Uniti. Il quale certamente bene non fa, ma non è l’unica né la principale causa dei malanni cubani.
Volendo soprassedere sulla sostanziale mancanza di libertà, che pure non è un dettaglio di poco conto, anche il soccorso esterno di altri paradisi socialisti non dà più i frutti di un tempo. Si pensi, per fare un solo esempio, al Venezuela, che riforniva Cuba di petrolio a prezzo d’affezione e che è a sua volta alle prese con i disastri del suo ultraventennale esperimento chavista.
Adesso il governo sta additando le piccole imprese come responsabili dei rincari dei prezzi, e le multa per non aver rispettato i tetti imposti dal governo su pollo, olio, salsicce, latte in polvere, pasta e detersivi.
La viceministra dell’Economia, Mildrey Granadillo de la Torre riferisce che negli ultimi due mesi sono state comminate 137.391 sanzioni e che “l’obiettivo non è imporre contravvenzioni, ma garantire la regolamentazione dei prezzi”.
Detto che Kamala Harris sta pensando a porre tetti ai prezzi anche negli Stati Uniti (e questo dovrebbe far riflettere sull’involuzione della principale potenza mondiale), se c’è una cosa su cui economisti di orientamento anche molto diverso concordano è che l’effetto di porre tetti ai prezzi può avere quello di creare scarsità di offerta, e che nel mercato cosiddetto informale i prezzi sono superiori ai tetti imposti dal governo.
Una lezione (di buon senso) che i socialisti di ogni dove continuano a non voler imparare.