di MATTEO CORSINI
Abbiamo passato anni a sentire parlare della necessità di combattere “lo spettro della deflazione” e a sentire elogi del potere dell’inflazione di erodere il valore reale dei debiti. Il tutto senza considerare l’altra faccia della medaglia, ossia che quei debiti sono crediti per qualcuno.
Erano anni in cui le banche centrali pompavano base monetaria a pieni giri, creando migliaia di miliardi di riserve in eccesso. A gonfiarsi furono per lo più i prezzi degli asset finanziari, di una parte di materie prime e taluni mercati immobiliari. I prezzi al consumo crescevano (fortunatamente) di meno, anche se ciò non significa che non subissero effetti dalla politica monetaria espansiva.
Poi arrivarono i lockdown da Covid, serie dislocazioni nelle catene globali di fornitura e politiche fiscali molto espansive, oltre alle altrettanto espansive politiche monetarie. A quel punto anche i prezzi al consumo sono decollati. Oltre al danno della perdita di potere d’acquisto per tutti coloro che non hanno avuto aumenti dei redditi nominali altrettanto consistenti, ciò ha determinato per molti anche la beffa di aumentare il carico fiscale, perché gli scaglioni di reddito a cui applicare le aliquote Irpef non sono indicizzate all’andamento dei prezzi al consumo.
Si tratta di un effetto prevedibile, molto diffuso negli anni di inflazione dei prezzi al consumo elevata, ora documentato dall’Ufficio parlamentare di bilancio. I vari bonus 80-100 euro introdotti a partire da dieci anni fa sono stati più che assorbiti dall’incremento nominale dei redditi, che però nel frattempo non sono cresciuti in termini reali. Quindi, “i soggetti che hanno beneficiato maggiormente degli interventi normativi di riduzione dell’imposta nei dieci anni considerati, hanno ottenuto un vantaggio pari a circa il 3% del reddito imponibile. Questo beneficio viene tuttavia più che compensato se si tiene conto dell’effetto del drenaggio fiscale, pari a circa 3,6 punti percentuali.”
Peggio è andata, ovviamente, a chi quei benefici neppure li ha avuti perché, con un reddito lordo oltre 35mila euro, per lo Stato italiano è “ricco”. Un esempio che potrebbe rientrare nella bel libretto sull’inflazione di Henry Hazlitt dal titolo “What you should know about inflation”.