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Cosa insegna a noi indipendentisti il recente voto scozzese

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di GIANLUCA MARCHI

voto scoziaCosa insegna, a noi indipendentisti, il recente voto politico del Regno Unito? Il mio riferimento va ovviamente a quanto accaduto in Scozia, dove il partito indipendentista, promotore del referendum (poi perso) per la separazione dall’Inghilterra, ha ottenuto uno schiacciante successo, collezionando ben 56 dei 59 seggi in palio per il Parlamento di Londra. Sarebbe stato ancora più strabiliante se quei 56 deputati fossero stati decisivi per formare una maggioranza governativa, ma non si può volere tutto subito dalla vita. Il primo ministro riconfermato, David Cameron, ora sa meglio di prima che con gli Scozzesi non può scherzare, e deve perciò mantenere tutte le promesse di autonomia fatte a suo tempo per vincere il referendum. Ma i politici inglesi sanno anche che la partita con la Scozia non è affatto chiusa: lo Scottish National Party e la sua leader vogliono arrivare prima o poi a un nuovo referendum e allora se ne vedranno delle belle. L’indipendenza è un processo lungo, impegnativo e che richiede sacrifici, anche personali: non basta cliccare il tasto di un computer per proclamarsi indipendenti.

Ma veniamo all’insegnamento che ci viene da Edimburgo. Per cominciare il clamoroso risultato ottenuto dallo SNP ci dice, anzi ci conferma, che un partito indipendentista non può che essere territoriale se il suo reale obiettivo è quello di separare dal resto dello Stato il territorio in cui è nato, si è sviluppato e del quale ha assunto il governo. La stessa indicazione ci viene dalla Catalogna, dove la sola differenza è che non siamo in presenza di un solo movimento politico, ma di un cartello di partiti indipendentisti che alla prossime elezioni del 26 settembre, trasformate in plebiscito, puntano a ottenere la maggioranza assoluta per poter avviare il processo di separazione. Sia in Scozia che in Catalogna gli indipendentisti si guardano bene dal mettere il naso fuori dai rispettivi confini territoriali per trasformarsi in “nazionali”: diventerebbero un’altra cosa che non c’entra nulla con l’indipendenza.

Seconda indicazione: i partiti indipendentisti devono governare da soli il territorio che rappresentano, puntando quindi alla maggioranza assoluta, perché solo così sono in grado di salvaguardare e promuovere le istanze indipendentiste, e inoltre creano un conflitto istituzionale permanente con il governo centrale dello Stato da cui si vogliono separare. Commistioni e partnership con altri partiti nazionali non sono possibili, perché annacquerebbero fino a disperderle le istanze di indipendenza di cui sono alfieri. E men che meno un partito indipendentista territoriale va a contaminarsi e a partecipare al governo nazionale, che invece deve rimanere il principale “avversario”.

Terzo insegnamento: un movimento per l’indipendenza deve continuare a perseguire l’obiettivo principale che è anche la sua ragione di vita. Se sostituisce la propria “ragione sociale” con obiettivi politici di altra natura, vuol dire che si è trasformato in qualcosa di diverso che in pratica non ha più nulla a che fare con il progetto originario.

Lascio ai lettori che si vogliano esercitare, fare dei paragoni ed arrivare a qualche conclusione sulla storia e sull’evoluzione del movimento che nella sgangherata Italia si definisce ancora “indipendentista”.

 

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4 COMMENTS

  1. Beh ! Non posso che essere d’accordo con te direttore. Tuttavia, tenterei di spingermi ancora più in la; se è vero che la Ue si deve costituire in un nuovo Stato (contra ad personam ?) , allora possiamo dire che potremo noi insegnare qualcosa ai popoli dell’Uk. Non può esistere uno stato che renda subalterni i popoli, fosse così, dovremo ricordare agli inglesi che loro colonie si sono poi auto determinate, e tanto meno potremo immaginare un Vecchio Continente che riabbraccia il potere che fu degli imperi, per governare i futuri popoli. Sono d’accordo con una alleanza strategica con tutti gli indipendentisti europei, non sarei d’accordo se il frutto è accettare l’Europa come un nuovo Stato. La Scozia ha dalla sua il diritto di ricostituirsi come entità politica indipendente, e dato che il UK oggi è costretto a provare cosa significhi essere colonizzati in casa da una entità statutale ancora inesistente, credo che ogni non avrebbe nessuna difficoltà a riconoscergli l’Indipendenza in cambio dell’appoggio contro la Ue. tralascio la Catalogna, per la quale il ragionamento sarebbe troppo lungo in quanto si tratta già di una Repubblica parlamentare, ma che è ancora soggetta al vincolo di eredità monarchica. Ciò che sarebbe utile oggi, è sfruttare il danno procurato all’Italia da Renzi; dimostrare, dati alla mano, che ha portato nuovamente il sistema di potere alla sua totale centralizzazione, e il controllo centrale di tutta la spesa statale, imponendo così manu militari le decisioni amministrative anche sui comuni. Quindi, alla luce di ciò, potremo dire che da Nord a Sud nessuno degli enti locali avrebbe più remore a lottare per la loro indipendenza, e l’insieme di questi, diverrebbe matematicamente il legale rappresentante del più grande partito indipendentista europeo. Ecco perchè ritengo che sia fondamentale l’affondamento della Ue, altrimenti il potere lobbista economico, finanziario, e bancario sarà pronto a trasformare le popolazioni europee in nuovi moderni schiavi

  2. D’accordo al 100% direi che in sintesi questa storia ci insegna che per ottenere simili risultati servono persone e partiti seri, basta balabiocc!

  3. In Catalogna i partiti indipendentisti sono alleati i tradizionali partiti, ma ne sono condizionanti grazie alla loro maggioranza relativa. In Scozia il partito indipendentista è europeista, se vogliamo abbattere gli Stati nazionali storici dobbiamo allearci nell’Europa dei popoli; gli indipendentisti non possono schierarsi in alternativa con liberali e socialisti, ma li deve rappresentare ed inglobare, solo così si potrà avere la maggioranza assoluta. Per ultimo, c’è ancora qualcuno (come Trentin) che profetizza la democrazia diretta di cittadini, comitati o club delle marmotte, in luogo di quella rappresentiva, Scozia e Catalogna dimostrano tutto il contrario.

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