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Cos’e’ il “salvinismo” e cosa sta diventando la lega di matteo salvini?

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di GIANLUCA MARCHI

all'armiIn questo momento si spreca la pubblicistica su Matteo Salvini e su come il segretario federale stia trasformando la Lega da sindacato del territorio in partito nazionalista identitario: articoli su tutti i maggiori quotidiani e sui settimanali del pur asfittico panorama editoriale italico, in cui le penne di maggiore prestigio si affannano ad analizzare il salvinismo, e libri che cercano di approfondire la trasformazione in atto. L’ultimo di questi testi, “All’armi siam leghisti”, scritto da Antonio Rapisarda per i tipi della Aliberti Wingsbert House con la prefazione di Pietrangelo Buttafuoco, cerca di spiegare, con una certa efficacia per altro, come “l’altro Matteo” (rispetto a Renzi, ovviamente) sia ormai diventato punto di riferimento per gli ambienti della destra radicale e popolare italiana, a cominciare da quelli romani.

Non è qui mia intenzione approfondire questi scritti di indubbio interesse. Vorrei più semplicemente prendere spunto da essi per fare qualche considerazione sul cammino accelerato verso una nuova meta che Salvini sta imprimendo alla vecchia Lega bossiana ridotta all’asfissia quando ne assunse la segreteria oltre un anno fa. Appare chiaro che la Lega di cui stiamo ragionando oggi ormai è cosa ben diversa da quella originaria che siamo stati abituati a conoscere in circa tre decenni. Il partito più vecchio della politica italica (dopo la SVP) cosa sta diventando, detto che non è più il movimento indipendentista e secessionista di un tempo, nonostante al congresso dell’estate 2014 il giovane segretario (ma leghista e politico di lungo corso) abbia preteso si mantenere l’articolo 1 dello statuto, che ancora parla di indipendenza della Padania come obiettivo e ragione sociale del Carroccio? Al riguardo sono sostanzialmente due le correnti di pensiero.

La prima lettura del “salvinismo” è quella più critica e tranchant: in sostanza riduce il nuovo corso al tentativo di trasformare la Lega in un partito nazionalista italiano, votato esclusivamente all’opposizione e a garantire a Salvini una rendita di posizione politica per i prossimi dieci-quindici anni da sostenere con slogan e posizioni forti e discutibili, che non prevedono nessun impegno di governo, ma solo una capacità demagogica ampiamente riconosciuta al segretario leghista. E’ la lettura su cui converge ad esempio buona parte della sinistra non-renziana, che anzi sospetta come un tale ruolo in fin dei conti faccia il gioco del Matteo premier che, in presenza di un siffatto “altro Matteo”, può garantirsi vent’anni di governo senza particolari fastidi dall’opposizione di destra. Tale posizione è condivisa anche ambienti del centro-destra critici con Salvini, a cominciare dall’ex compagno di partito Flavio Tosi, che derubrica come rodomontate le sparate del suo ex segretario quando afferma: “Avete mai visto arrivare una ruspa per cancellare i campi rom che ha detto di voler spianare?”.

La seconda analisi del nuovo corso voluto da “l’altro Matteo” è molto più articolata e tutt’altro che liquidatoria. La tesi, sostenuta in particolare nel libro che ho citato all’inizio di questo articolo, è che Salvini si sia buttato prima di tutti gli altri ad occupare lo spazio lasciato libero dalla decomposizione del berlusconismo, e ora stia facendo molto più, dando prospettiva politica a tutti coloro che si sentono spaventati e insidiati dalla mondializzazione, dalle burocrazie di questa Ue, dall’euro, dall’immigrazione “foresta”. In soldoni il segretario leghista, in nome dell’Italia da salvare, starebbe coagulando intorno a sé il popolo di destra che è maggioranza nella penisola ma che non ha più vera rappresentanza e nemmeno ha trovato soddisfazione nel grillismo e nei 5 Stelle. Una destra non in doppio-petto e delusa dalle esperienze governative del centro-destra berlusconiano.

Che sia prevalente e veritiera l’una o l’altra delle due analisi, la conseguenza vera della quale dovrebbero prendere atto gli indipendentisti in genere, a cominciare da quelli che ancora militano dentro il movimento e che alle manifestazioni di popolo ancora gridano “secessione-secessione”,  è che la Lega indipendentista per la libertà della Padania è stata relegata in soffitta. Forse in via definitiva…

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3 COMMENTS

  1. Francamente non capisco come, se la base legista est come si dice secessionista, come mai non arrivi mai a prendere una posizione di potere entro quel “partito”…

    Ho già scritto che cmq in mancanza d’altro, ed essendomi rassegnato a vivere in questa landa (Lombardia – Itaglia), voterei Lega su base minimale: per ottenere solo una o diue cose (ovvie) che mi aggradano del loro berciare: lotta all’immigrazione sguaiata (bassa qualità) e totalmente incontrollata, lottaa ala micro-criminalità, tendenziale afflato verso tasse più basse (ma questo richiederebbe mandare a casa coorti di dipendenti pubblici e simili, e non so se neanche Salvini ce la farebbe).

    Come dice giustamente Oneto, il nostro problema est l’Itaglia, e non sarà certo la Lega a liberarcene, purtroppo. (A meno che Zaja in Veneto non arrivi a trovarsi colle spalle al muro…. E si dia una mossa verso qualcosa di eclatante tipo referendum e/o sciopero fiscale).

  2. Un sistema di potere ha sempre bisogno di ‘panem et circenses’. La Lega di un tempo, grazie anche alle malefatte politiche dei vecchi partiti, incuteva paure minacciando la secessione. La politica lasciava fare, sapeva che era funzionale a mantenersi il ruolo dell’ alternativa a una fantomatica e minacciata divisione. Mentre accadeva tutto ciò, i partiti tradzionali si gestivano le mosse più adatte per continuare a mungere lo Stato. Cosa è cambiato ? Nulla, tranne il nuovo ruolo della Lega di Salvini, che invece di minacciare la secessione, oggi incute le paure dell’uomo forte al potere. Renzi, per il momento, non teme nemmeno il M5S, promette tutto a tutti quanto basta per far rimanere alto il consenso. Il voto ? Renzi non lo minaccia, ma sa bene che diventerà necessario, se l’intento è ricostruire la Dc sotto nuove spoglie; il Partito della nazione, lo chiama lui, ma finirà col chiamarlo partito Nazionale Italiano.

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