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Criticano Trump per i motivi sbagliati

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di MATTEO CORSINI

L’opinionista di Bloomberg Robert Burgess era solito, durante la campagna elettorale, descrivere come esaltanti le condizioni dell’economia americana grazie alla Bidenomics. Motivo per cui coloro che, stando ai sondaggi, erano insoddisfatti, semplicemente dovevano essere ignoranti e non capire nulla di economia.

Non dubito che la maggior parte degli insoddisfatti non avesse nel curriculum un PhD in economia ottenuto in una delle più prestigiose (e costose) università americane, ma sono abbastanza certo che si trattasse di persone che sapevano farsi i conti in tasca e che la perdita di potere d’acquisto di cui si lamentavano non fosse una allucinazione.

Adesso Burgess, che ha dovuto inghiottire l’amaro boccone della sconfitta di Kamala Harris, critica l’amministrazione per tutto quello che fa. Non che non ci sia nulla da criticare, per carità. Ma sostenere che “Trump ha ereditato dall’amministrazione Biden un’economia ampiamente riconosciuta come l’invidia del mondo”, che peraltro è una opinione abbastanza diffusa anche da questa parte dell’Atlantico, mi pare spararla un po’ troppo grossa.

I cantori della Bidenomics omettono di considerare l’altra faccia della medaglia, ossia la crescita del debito federale. Nei quattro anni che avrebbero portato a un’economia “invidia del mondo”, il Pil reale è aumentato di 2.764,6 miliardi di dollari, mentre quello nominale di 7.110,8 miliardi. Il debito federale, però, è aumentato di 8.470,8 miliardi. Ciò significa che il moltiplicatore caro ai keynesiani ha moltiplicato il debito al posto del Pil (un fenomeno noto anche a sud delle Alpi, peraltro).

I provvedimenti indubbiamente scellerati sul fronte dei dazi e la confusione che sta creando lo stile di comunicazione di Trump aumentano l’incertezza e ciò non può che danneggiare l’economia. Burgess tira in ballo anche i licenziamenti dei dipendenti pubblici, senza neppure tentare di sostenere che ognuno di essi svolgesse qualcosa di utile (utilità peraltro sempre soggettiva).

Il fatto che lo stesso Trump non escluda una recessione e che il segretario al Tesoro Bessent ritenga che “ci sarà un periodo di disintossicazione” sono per Burgess segno che ritengono (soprattutto Bessent) che “l’economia sia diventata dipendente dagli stimoli fiscali e che ciò sia un male a lungo termine”. Il che è nei numeri già oggi, senza guardare al lungo termine.

Burgess cita poi esempi passati di recessioni, per esempio quella che seguì lo scoppio della bolla internet a inizio secolo, alla quale seguì quella dell’immobiliare nel 2007. Quello che non dice è come mai si formarono quelle bolle, non citando neppure vagamente la politica monetaria, per esempio.

In definitiva, ci sono diversi argomenti da usare per criticare Trump, ma quelli di Burgess non sono tra questi.

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