di IGNACIO M. GARCIA MEDINA*
In questo film di Tim Burton ho trovato diversi riferimenti liberali. In generale il film ha un tono positivo verso l’imprenditorialità o, almeno, non distilla il solito odio contro le grandi imprese e gli imprenditori come il suo protagonista, che è infatti rappresentato come un uomo di talento e laborioso che è partito dal nulla per costruire un piccolo impero basato sulla soddisfazione dei suoi clienti, non usando cattive arti. Anzi è la concorrenza che impiega lo spionaggio industriale contro di lui.
Anche se questo trattamento benevolo dell’uomo d’affari non è il più grande riferimento liberale che il film sottolinea, come credo di aver rilevato, quello che è un lampo di liberismo economico nella storia del padre di Charlie, che a mio avviso fa cenno a idee fondamentali del liberismo come la “Distruzione creativa” di Schumpeter e “Quel che si vede e quel che non si vede” di Bastiat: il padre di Charlie lavorava nella fabbrica di dentifrici, attorcigliando noiosamente e ripetutamente i tappi dei tubi del dentifricio su una catena di montaggio in perfetto stile fordista; “ha lavorato molte ore ed è stato pagato una miseria”. È stato licenziato perché “l’aumento delle vendite di caramelle ha portato ad un aumento della carie, che ha portato ad un aumento delle vendite di dentifrici”.
Con i profitti, la fabbrica ha deciso di modernizzarsi e ha eliminato il lavoro del padre di Charlie, installando un braccio robotico che attorcigliava i tappi più velocemente e automaticamente. Fin qui, quello che qualsiasi film normale potrebbe denunciare. Ma sorprendentemente, c’è un’ultima scena che mostra come “il padre di Charlie ha ottenuto un lavoro migliore in fabbrica riparando la macchina che lo aveva sostituito”.
Dovrò rivedere il resto della filmografia di Tim Burton per verificare se ci sono tracce di liberalismo o se è solo un caso del tutto involontario l’accenno al liberalismo fatto in questo film.
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QUI L’ARTICOLO ORIGINALE – TRADUZIONE DI ARTURO DOILO
Tratto dal libro “Liberalismo e cultura popolare”, edito da Tramedoro.
Beato chi è riuscito a vederlo, sto film e pure il primo con Gene Wilder.
Io di entrambi, dopo15 min, ne avevo già le palle piene. Anzi una piena e l’altra che versava, ahahah!