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Da xi jinping a dimaio, la miseria del socialismo

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di MATTEO CORSINI

Non ho potuto fare a meno di ricordare Giggino Di Maio quando, in una serata di inizio autunno del 2018, annunciò da un terrazzino di palazzo Chigi: Abbiamo abolito la povertà! nel leggere che il plenipotenziario cinese Xi Jinping ha annunciato “un miracolo che resterà nella storia”, ossia la “completa vittoria” nella lotta alla povertà nelle aree rurali del gigante asiatico.

Quando Xi, otto anni orsono, salì al potere, le statistiche cinesi contavano 100 milioni di persone sotto la soglia di povertà, che per il regime cinese equivale a un reddito di circa 500 euro annui. Ebbene, ora non più.

Ovviamente si potrebbe obiettare che la soglia sia perfino più bassa dei due dollari al giorno utilizzati dalla Banca Mondiale. Si potrebbe anche aggiungere che nessuno ha realmente la possibilità di verificare i dati delle statistiche ufficiali cinesi. Ma tant’è. Secondo Xi Jinping, la “leadership del Partito e il sistema socialista sono le garanzie fondamentali contro i rischi, le sfide e le difficoltà.”

Suppongo che i dissidenti e le minoranze perseguitate avrebbero qualche perplessità al riguardo.

Tuttavia, se si fa il paragone con il proclama di Giggino, che peraltro fu preventivo, le affermazioni di Xi sembrano perfino timide e caratterizzate da quello che gli esterofili definirebbero “understatement”. Il ministro degli Esteri conoscerà il significato della parola. Forse.

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