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Dal re al governo spagnolo, tutti contro la candidatura di guardiola

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Pep-Guardioladi MARIETTO CERNEAZ

La casa reale di Spagna e Mariano Rajoy, primo ministro iberico, non hanno preso bene la candidatura di Pep Guardiola, star internazionale del calcio, alle prossime elezioni catalane. Non solo. Anche il ministro degli interni spagnolo, Jorge Fernandez Diaz, ha criticato pesantemente l’ex-tecnico del Barcellona (ora al Bayern). Fernandez Diaz ha detto che Guardiola “ha giocato e vinto” con la nazionale spagnola non per orgoglio nazionale ma mosso “dal dio danaro”. Il suo collega, José Maria Garcia Margallo, ministro degli esteri, se l’è invece presa con Guardiola, adducendo queste parole: “È stato un buon allenatore, ma non mi risulta che abbia acume politico”.

Bassezze, senza dubbio, alle quali con l’eleganza che lo contraddistingue, Guardiola ha semplicemente risposto in questo modo: “Per quale ragione io non posso difendere la mia opinione politica”? Lo ha detto mentre stava in Cina con la sua squadra. Benché l’adesione dell’ex calciatore del Brescia alla lista indipendentista, per le elezioni del 27 settembre prossimo, per la Catalogna sia soprattutto un gesto simbolico (è candidato nelle retrovie), l’opinione pubblica nazionalista non l’ha presa bene.

Torniamo a Rajoy. È sempre più muro contro muro fra il premier spagnolo e il presidente catalano Artur Mas. Rajoy si è detto pronto a “dare battaglia” per bloccare una possibile dichiarazione di indipendenza dopo le elezioni e il ministro della giustizia Rafael Català non ha escluso un ricorso all’articolo 155 della costituzione, che consente una sorta di commissariamento di una regione ribelle. La costituzione adottata dopo la fine del franchismo non prevede la secessione di una regione. “Non permetteremo a nessuno di violare la legge”, ha tuonato il premier. Ma le minacce di Madrid non frenano gli indipendentisti. 

Per quale ragione la questione catalana manda in corto circuito i rappresentanti del potere centralista? Semplice, la fuga in avanti di Mas avviene per di più in un momento di crescita di altri movimenti secessionisti. Scrive l’Ansa: “La sinistra nazionalista basca di Bildu, a lungo considerata un ‘cavallo di Troia’ politico dell’Eta, è ora al potere in Navarra, dove controlla fra l’altro la sicurezza. Una decisione definita ‘molto grave’ proprio da Rajoy”.

mas-rajoyAncora l’Agenzia Ansa: “Nessuno sa come andrà a finire se effettivamente il 27 settembre vinceranno gli indipendentisti catalani. E’ difficile immaginare che Madrid mandi i carri armati a fermare la secessione. Ma senz’altro il livello di tensione si farà davvero alto. Molto dipenderà anche da chi vincerà le politiche spagnole di novembre: Rajoy, il socialista Pedro Sanchez, il leader di Podemos Pablo Iglesias? Psoe e Podemos tentano di aprire spiragli fra i muri di Mas e Rajoy. Sanchez ha proposto una riforma costituzionale che trasformi la Spagna in uno stato federale, ampliando autonomia, poteri e ritorno fiscale (la Catalogna è contributore netto al bilancio spagnolo per 7,5 miliardi di euro) delle varie ‘nazioni’. Una soluzione forse accettabile per una parte degli indipendentisti catalani, che però Rajoy per ora non ha voluto prendere in considerazione”.

Iglesias si è espresso per il “diritto di decidere”dei catalani, auspicando però formule che tutelino l’unità del paese. Un po’ democristiano no? La sua è solo una strategia elettorale, ovvio. Un recente rapporto del centro europeo Ceps ha portato munizioni agli indipendentisti. Prevede un aumento di 110 miliardi del Pil catalano entro il 2030 in caso di indipendenza concordata con Madrid, e di 67 miliardi se il processo sarà conflittuale.

Nel frattempo, mentre la polemica monta – e continuerà anche in futuro – sono state aperte le iscrizioni per l’organizzazione della prossima Diada, prevista per l’11 settembre. L’ANC, con un twitter, ha fatto sapere che solo nelle prime 24 ore si sono già registrate 16.000 persone. E se il buongiorno si vede dal mattino…

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