“Vogliamo essere liberi di decidere il nostro futuro, come la Scozia e il Quebec. Un problema politico deve trovare nuove strade per la soluzione con il dibattito; se la Spagna non ce lo concede, affermeremo il nostro diritto alla secessione”. Così Joan Vallvé, vice presidente dell’Associazione Òmnium Cultural, nata nel 1961 per promuovere la lingua e la cultura catalana, ospite d’onore al convegno su “Catalogna – Stato unitario contro autogoverno: quale futuro per i popoli europei?” organizzato domenica 14 ottobre a Milano dall’Associazione Gilberto Oneto. Al termine degli interventi, un pubblico attento e numeroso ha animato con i relatori un dibattito durato oltre un’ora e ricco di domande e spunti di riflessione.
Il convegno è stato moderato dal presidente dell’Associazione Gilberto Oneto, Gianluca Marchi, che nella sua introduzione su “La via catalana verso l’indipendenza: unica soluzione la Padania” ha posto l’accento sulla disinformazione dei media italiani sulle vicende catalane all’indomani dello storico referendum per l’indipendenza della regione approvato il 1° ottobre 2017. “Al di là del can can mediatico di un anno fa – ha esordito Marchi – le vicende catalane, pur non scemate affatto sotto il profilo dell’attualità politico-giuridica, con tanto di reazioni di stampo franchista da parte del governo spagnolo, è finito sotto silenzio o se ne sono raccontate un mucchio di fandonie, propalate anche da Madrid. Contro tutte le previsioni nefaste, dopo il referendum la Catalogna è tornata la prima regione economica del Paese, superando anche quella di Madrid”.
Le cifre della dimensione economica catalana sono state illustrate dallo stesso Vallvé nel suo intervento, intitolato “Catalogna: il diritto di decidere”. “La Catalogna, con una superficie pari al 6 per cento della Spagna e una popolazione di 7 milioni che è il 16% del totale spagnolo, ha un Pil che è il 19% dell’intera Spagna e la collocherebbe tra il 13° e il 14° posto dell’intera Europa, con una quota di esportazioni pari al 26%” ha spiegato Joan Vallvé, già deputato e ministro della Catalogna, che ha poi tracciato un excursus storico del percorso politico-amministrativo intrapreso dalla regione per ottenere l’autonomia. Vallvé non ha risparmiato strali all’indirizzo di Madrid, accusando la Spagna di “disprezzare” la lingua e la cultura catalana e il governo democratico di “pazzia” per aver messo sotto accusa l’organizzazione di una consultazione popolare. “Nonostante le difficoltà, gli ostacoli e la violenza della polizia – ha rimarcato Vallvé – il referendum si è tenuto con successo. Negli anni Ottanta i favorevoli all’indipendenza erano il 10% della popolazione, oggi superano il 50%. In nessun altro Paese dell’Europa si è tenuta ogni anno, dal 2011 a oggi, una manifestazione pacifica sullo stesso tema con 1,5 milioni di persone”.
Giancarlo Pagliarini, dell’Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale, ha ricordato come i Catalani hanno chiesto 18 volte di fare il referendum, ma la Spagna si è sempre opposta. “Alla fine hanno fatto una legge per tenerlo lo stesso e ha vinto il sì – ha detto Pagliarini nel suo intervento dal titolo “Catalunia: també és una qüestió de dignitat” –. Ero uno dei cento osservatori internazionali per le operazioni di voto e ho preso di quelle botte dalla polizia… È stata una cosa incredibile, sono peggio della Turchia, che però non è in Europa. Bisogna abbattere due tabù: la sovranità dello Stato (in Svizzera, l’art. 3 della Costituzione federale la attribuisce agli enti territoriali e lo Stato è al loro servizio, non il contrario) e il concetto dei vecchi grandi Stati-nazione, che ormai combinano guai e basta”.
“Anch’io ero fra gli osservatori internazionali al referendum di un anno fa – ha raccontato Chiara Battistoni dell’Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale, intervenendo su “Tra sogno e realtà: la domenica che cambierà l’Europa” – e ho visto come sono riusciti in corsa a riconfigurare i seggi dopo l’attacco non dichiarato del governo centrale ai server e alle connessioni, che ha reso le operazioni di voto lentissime. Le vie intorno ai seggi sono state piene di gente per tutto il tempo delle votazioni: un segno di appartenenza e di identità fortissimo e trasversale a tutte le età. Il comportamento dei Catalani rimane assolutamente pacifico, ma con una forza e una determinazione invidiabili. È stata una domenica che ha davvero cambiato l’Europa, e lo farà in futuro, anche grazie all’uso avanzato della tecnologia”.
È toccato poi a Marco Bassani, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università degli Studi di Milano, esplicitare il titolo della sua relazione “La Catalogna, il Muro di Berlino dell’Occidente”. “Quanta identità ci vuole da noi per arrivare a fare quello che ha fatto la Catalogna? – si è domandato Bassani –. La lingua è un fattore cruciale. Un bel contributo lo hanno dato anche le vittorie del Barcellona nel calcio sul piano della cultura nazional-popolare. I Catalani si sentono anche più laici, e più aperti alla modernità, in un Paese che è profondamente cattolico, di un cattolicesimo all’antica”. Il prof. Bassani ha quindi sottolineato la necessità del “passaggio dal diritto di autodeterminazione, superato perché postcoloniale, a quello di decidere. I Catalani devono essere liberi di decidere anche sulla spoliazione che gli apparati amministrativo-burocratici spagnoli hanno sempre operato sulle risorse della loro terra. Il sogno dei popoli è avere istituzioni locali e scambi globali, contro i piani delle classi dirigenti per governi globali e scambi locali, per controllare meglio i passaggi di ricchezza. Andiamo verso la disgregazione. La Ue crollerà rapidamente: come il crollo del comunismo ha rivoluzionato l’Europa orientale, così la Catalogna farà crollare l’attuale assetto dell’Europa occidentale”.
Da ultimo Stefano Bruno Galli, assessore all’Autonomia e Cultura della Regione Lombardia, ha parlato di “Catalogna: riflessioni sull’autodeterminazione del popoli”. “Sul principio di autodeterminazione fece leva la decolonizzazione. Venne poi codificato alla Conferenza di Helsinki del 1975 e provocò alcuni anni dopo la caduta del Muro di Berlino, riconoscendo i dissidenti dell’Europa centro-orientale. Oggi sembra non esistere più, ma non si può fare un uso così disinvolto di un principio tanto importante. L’Europa – ha proseguito il prof. Galli – si è pilatescamente lavata le mani della Catalogna, affermando che è una questione interna alla Spagna: è inaccettabile. Siamo all’epilogo di una vicenda europea fondata sul funzionalismo, nata da accordi economici e mai divenuta politica”.
La farsa andata in scena poco più di un anno fa di fronte al parlamento spagnolo potrebbe essere tranquillamente definita l’isola che non c’è.
In primo luogo non c’è stata, infatti, la legalità.
Come tutti oramai ben sappiamo il Referendum del 1 ottobre 2017 è stato indetto illegalmente.
E non è necessario essere dei giuristi per capire che anche in Spagna, così come in altri paesi, la prima fonte del diritto è la Costituzione. La quale prevede, determina e limita tutte le altre fonti minori, tra le quali anche la legge catalana sul Referendum.
Quindi, a meno che Barcellona non avesse potuto contare su argomenti più convincenti per perorare la propria causa indipendentista (carri armati?), avrebbe fatto meglio ad attenersi ad un percorso se non altro legale.
In secondo luogo non c’è stata nemmeno una maggioranza.
Come ben sappiamo, infatti, ha votato a favore dell’indipendenza circa il 90% del 40% che si è recato alle urne, dando così come risultato un modesto 37,8% che, a ben vedere, rappresenta solo una minoranza.
E’ chiaro che una percentuale talmente ridicola non conferisce alle parti in gioco nemmeno il potere contrattuale di farsi offrire un caffè al bar.
Certo, è vero, se Madrid non avesse interferito il risultato sarebbe stato di sicuro differente. Anche se, alla fine, la percentuale non avrebbe superato di molto il 50%. Risultato, quest’ultimo, che rappresenta la cosiddetta maggioranza semplice, ben lontana in ogni caso da una maggioranza qualificata o, come molti preferiscono nominarla, rinforzata. Ed in effetti non sarebbe più giusto che le sorti di un’intera popolazione fossero decise dal 75% della stessa, considerate le inevitabili ricadute politiche, economiche e sociali non solo a livello locale che si verrebbero a creare in seguito?
Ad ogni modo la politica non si fa con i ‘se’ e con i ‘ma’. E nemmeno con gli atteggiamenti vittimistici o i ridicoli piagnistei di chi si ostina, nonostante tutto, a non voler essere realista.
In terzo luogo non c’è stata nemmeno la tanto agognata indipendenza.
O meglio, c’è stata ma è stata sospesa.
Il che, a mio avviso, non ha senso, perché l’indipendenza o c’è oppure non c’è. Non sono previste alternative logiche di altro tipo. E’ un po’ come quando si sta per avere un orgasmo. E non è che sul più bello lo si sospende per andare a fare altre cose.
Quindi se ci fossero stati i presupposti giusti, l’indipendenza dichiarata avrebbe potuto essere un vero e proprio orgasmo, in tutti i sensi.
Purtroppo, invece, possiamo parlare solo di un coito interrotto…
E’ chiaro che con questo pastrocchio Carles Puigdemont abbia voluto trovare una soluzione che mettesse d’accordo tutti: capra e cavoli, come si suol dire.
E in questo caso i cavoli sarebbero rappresentati da coloro che da sempre sono contrari a qualsiasi idea di smembramento del territorio nazionale.
Mentre la capra…
O meglio, le capre, sarebbero rappresentate da quella minoranza che in forza del nulla sopra esposto non avrebbe esitato a traghettare il destino della propria terra e dei propri connazionali verso un futuro sicuramente incerto con tutte le conseguenze negative che questo avrebbe comportato.
I cavoli, pur essendo i migliori amici delle capre, loro malgrado, non possono amarle per ragioni di sopravvivenza. Ciò fino a che le capre non assicureranno i cavoli circa l’orientamento credibile e sostenibile della loro futura dieta. Beninteso sempre che il lupo rimanga sull’altra sponda.
🙂
Tuttavia è inevitabile constatare quanto le proverbiali capre, a poco più di un anno dalla dichiarazione di indipendenza, siano state del tutto incapaci di garantire perfino a sé stesse, un qualsiasi tipo di dieta. Il che mi induce a pensare che a volte non è tutto oro quello che luccica. Tanto più che ciò è avvenuto senza che il famigerato lupo abbia mosso un solo muscolo. Preferendo saggiamente starsene seduto tranquillo sulla sua sponda del fiume, aspettando che passi il cadavere del suo nemico.
Visto a questo punto che la strada imboccata per parlare della Catalogna sembrerebbe essere quella degli aforismi, e considerato che non è generalmente ritenuta una buona idea quella di abbandonare la strada vecchia per quella nuova, concludo con un noto detto cinese che recita pressapoco così: ‘Tutti hanno visto la forza del fiume che scorre ma nessuno si è reso conto della forza degli argini che lo contengono’.
A questo punto mi sembra superfluo specificare chi rappresenti il fiume e chi gli argini. 🙂
Madrid e Bruxelles sono identici, arroccati entrambi nella posizione di vertice che credono di possedere… entrambi perciò solidali di fatto nel conservare lo status quo… ma i Popoli sono un’altra cosa e hanno il sacrosanto diritto di emergere per quel che sono e riprendersi un mano il proprio destino.. reprimerli non conviene a nessuno… devono liberarsi dalle catene che gli si sono costruite intorno al fine di sfruttarli secondo i propri fini sovranisti che è il delitto di oggi, come lo fu quello dell’URSS o del pangermanesimo sognato da Hitler…
Nessuno può mettere in dubbio che la Catalogna abbia diritto a secedere dal regno. Nessuno può negare che il regno abbia giocato tutte le carte a sua disposizione per tenersi la Catalogna, con mezzi legittimi ed illegittimi, ancorché legali.
La vergognosa Unione Europea è stata in evidente imbarazzo pur di non indebolire uno stato membro e contribuente al bilancio comunitario. Gli ideali fondanti sono stati dati alle ortiche per mero gioco di interesse e potere perché non sfugge a nessuno che, una volta rotto l’argine, la libertà avrebbe potenzialmente travolto le istituzioni europee in più di un punto e da più stati membri in dissoluzione. Senza l’accordo sodale dei governi la Unione Europea non vale la carta sulla quale si stampa il suo nome. (le genti si fottano è il retro-messaggio)
Detto ciò, ed aggiungete voi quel che manca e che idealmente sottoscrivo, vogliamo parlare degli errori che hanno impedito l’abbrivio della Repubblica di Catalogna? Che Madrid e Bruxelles non diano o non daranno l’assenso non fanno ne faranno più notizia e giustificazione. Faranno ancora notizia alcune vigliaccate che non mancheranno di manifestarsi per reazione al dinamismo spontaneo e spintaneo di una fetta considerevole ed importante della popolazione catalana. Questa grande parte della cittadinanza, ma non sostanzialmente maggioritaria, va ringraziata per lo spirito aviolento senza riserve che ha tenuto in ogni occasione, anche sotto randellate tutt’altro che metaforiche. Un grande merito.
La liberazione della Catalogna ha molto da insegnare a tutti coloro che vogliono liberarsi da gioghi e vincoli di coercizione violenti.
Certo però, per vincere l’attrazione statalista, la gravità maligna della nazione-stato, la velocità di fuga dal privilegio legale fino ad oggi non è stata sufficiente.
Di questo vorrei sentir parlare; perché non c’è nulla da celebrare per una maledetta sconfitta, fatta la tara della comprensibile delusione, non c’è nessuno da osannare per un impulso insufficiente ed incompleto, salvo ricordare, attraverso chi fa da testimone in galera o in esilio, quanto sia da superare il modello di stato verso il quale, in contraddizione oggettiva con se stessi, pare ci si vorrebbe dirigere.
Manca, a mio parere, una maggioranza rilevante, quella che imbarchi l’imprenditorialità diffusa, fonte della marginale ricchezza che fa la differenza e la fortuna anche per la classe dei “tesi pugni chiusi” ed inoltre manca una convergenza su azioni improntate al ritorno delle libertà individuali prima ancora che la libertà di poterle azionare in un ente diverso dal relitto regno.
Differentemente, anche se fosse ottenuta comunque l’indipendenza politica, (della quale nessuno si lamenta per se) la coazione a ripetere, che anche la storia si è rotta le palle di riproporre tra produttori e consumatori di ricchezza, muterebbe in piccolo e tremendo ciò che oggi è solo più ampio e flessibile, nonostante indubbiamente molesto. Essere una nuova entità ha senso se si conoscono quali saranno i limiti della stessa sulle libertà di tutte le persone prese una ad una, permettendo agli individui di dominare i propri fini anziché presumere di avere la lungimiranza di promuovere quelli più solo utili per tutti. Avere fiducia nelle persone significa lasciarle servire i fini che da sole scelgono e ripudiano liberamente sopportandone con serenità la responsabilità dell’esito.
(il modello per il quale i rappresentanti del 51% “comandano” la cattività di tutti è da consegnare all’immondezzaio della storia.)