La base leghista, almeno dal 1999, è affetta dalla “sindrome della Nazione” e vive un po’ da comparsa di un film psicodrammatico, figlio del bispensiero di cui il grande regista è Umberto Bossi, cui va dato il copyright. Dal 1999, insomma, abbandonate chiaramente le velleità indipendentiste (rimaste furbescamente scritte nell’articolo 1 dello Statuto del partito), i militanti della Lega Nord si son sentiti un giorno parlare di Padania e il giorno dopo inneggiare alla salvezza dell’Italia. Da questo punto di vista, Salvini non ha inventato nulla, ha solo dato fiato alle trombe della propaganda, che tanto piace ai media, perennemente in cerca di un personaggio che riempia gli inutili talk show.
Dal 1999 dicevamo, con l’avvento nel “gotha intellettuale” del Carroccio (allora saldamente nelle mani del “Capo”) di personaggi di chiara provenienza destrorsa (dai frequentatori dei campi Hobbit ai tradizionalisti cattolici, fino agli ex missini) sono apparsi alla guida (locale) del partito elementi più legati e innamorati della bandiera tricolore che del Sole delle Alpi. Uno di questi è senza dubbio Flavio Tosi, osannato fino a prima della rottura con l’attuale segretario federale dalla quasi totalità dei militanti (la diatriba è solo ed esclusivamente una questione di potere e non di ideali o idee). Eppure, su Flavio Tosi, una nostra inchiesta di 3 anni fa aveva dettagliatamente spiegato chi fosse il sindaco di Verona (Vedi qui).
Che succede ora? Sta accadendo che Tosi – che non è uno sprovveduto e che in questi anni ha riempito di suoi uomini più posti di potere possibile – sta portando con sé un bel gruzzolo di leghisti, soprattutto in Veneto, ma anche in altre province e/o regioni. Da qui, la sequela di insulti (nulla di nuovo, un altro classico di matrice bossiana) dei fedelissimi di Salvini contro il novello traditore.
Per un altro verso però, in tutta questa vicenda, fa assolutamente sorridere leggere le motivazioni dei militanti leghisti che han scelto di accasarsi con Tosi e con il suo Movimento. Prendiamo un caso, Bergamo, dove secondo la stampa locale l’ex primo cittadino di Verona potrebbe già contare su una trentina di militanti. Afferma un tale Luca Ronchi, capofila dei simpatizzanti tosiani: “Noi non ci siamo spostati di un millimetro dai valori leghisti della prima ora – ha tuonato il consigliere del direttivo di Bergamo – sono Matteo Salvini e gli altri che sono andati estremamente a destra, stringendo la mano a Casa Pound e lasciando un vuoto nel centrodestra”. Letto bene? Secondo questo signore, Salvini sarebbe andato troppo a destra, mentre Tosi (che faceva, e fa, comunella coi naziskin) sarebbe il depositario degli ideali dei veri leghisti. Siamo ben oltre al psicodramma.
Eppure, c’è ancora una domanda che merita una risposta: perché mai, se Tosi è il nuovo paladino dell’indipendentismo (“ideale leghista”, per dirla con Ronchi) ha così bisogno di trovare aderenti al di fuori del Veneto, dove lui si sarebbe candidato alla presidenza della Regione, contro Zaia, e per alzare il vessillo di chi non vuole che i lombardi lo comandino? La risposta è semplice. Tosi sa che in Veneto non ha speranze di vittoria, ma sa che il risultato che otterrà – più sarà consistente e tanto meglio – potrà sbatterlo in faccia ai suoi futuri alleati nazionali, siano essi Passera o Ncd o Forza Italia o chissà chi altri.
La storia della Lega Nord, il giorno in cui qualche serio giornalista dovrà raccontarla, potrebbe essere sinteticamente titolata così: “Dalla Secessione alla Nazione”. Sottotitolo: “Vicende di un partito genuinamente italiano”.