Intervistato sulla nascita di Stellantis, l’aggregazione tra FCA e PSA, il capo dei metalmeccanici della Fim-Cisl, Roberto Benaglia, ha commentato così l’ipotesi di un ingresso dello Stato italiano nella compagine azionaria:
“L’ipotesi andava valutata prima, quando l’operazione Stellantis era in fase di definizione. Oggi il governo dovrebbe prima di tutto favorire la ripresa dell’automotive. In concreto: creare le colonnine per la ricarica, fare sì che un pensionato o un operaio possano permettersi un’auto elettrica. Far partire un tavolo sulle politiche industriali di settore.”
Vorrei concentrarmi sulla parte in cui Benaglia sostiene che il governo dovrebbe “fare sì che un pensionato o un operaio possano permettersi un’auto elettrica”. Oggi un’utilitaria a motore elettrico costa circa il doppio di quello di un modello analogo con motore a combustione interna. La differenza è quindi compresa tra 10 e 15mila euro.
Ne consegue che, in mancanza di significative riduzioni nei costi di produzione, per rendere economicamente equivalente l’acquisto di un’auto elettrica sarebbe necessario offrire un incentivo doppio di quello pur generoso offerto oggi.
Il fatto è che, già oggi, il sistema degli incentivi regge fino a quando l’auto elettrica non diventa un acquisto di massa. Ma se l’obiettivo è quello di renderlo un prodotto di massa, per di più dovendo raddoppiare l’incentivo, è evidente che il sistema non può reggere, anche prescindendo dalla desiderabilità dello stesso.
Perché, in ultima analisi, ogni incentivo deve essere pagato da qualcuno, ossia dai pagatori di tasse presenti e/o futuri. Mai come in questo caso vale la definizione di Stato fornita da Frederic Bastiat: “la grande illusione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri.”
In realtà non si invoca l’aiuto per i pensionati, ma per le case automobilistiche, affinché possano vendere a poveri e a ricchi automobilisti.