di FRANCO MONTANARI
Qualche giorno fa volevo farmi un regalo e ho ordinato due camicie tramie Instagram di un brand americano che seguo, non molto diffuso in Europa.
Pago, e dopo qualche ora mi arriva una mail molto gentile da parte di Tom – l’addetto che in quel momento evidentemente si stava occupando del mio ordine – che mi informava che le tariffe doganali per le due camicie sarebbero costate, secondo stima dello spedizioniere, quasi 200 sterline (più di un terzo del valore della merce); a quel punto, il buon Tom mi chiedeva se procedere comunque alla spedizione o se preferivo potevo annullare l’ordine.
Io, da bravo padano, ho subito risposto che loro potevano anche sottostimare il valore della merce in modo tale da farmi pagare tariffe molto più basse, ma niente, non se la solo sentita; essendo un brand del Midwest probabilmente mi era capitato un puritano, ma va bene così. Prima di annullare l’ordine, chiedo se potevano indicarmi negozi europei dove trovare le camicie, e molto gentilmente mi è stata inviata una lista specificando che una camicia l’avrei trovata a Berlino e l’altra a Bruxelles; a quel punto era chiaro che non mi sarei fatto rapinare ulteriormente alla dogana.
Arrivando al punto, questa mia banale esperienza di acquisto è una lezione di economia politica a tutti quei sinistrati o destrorsi che siano che inneggiano ai dazi o per difendere le nostre aziende o per la tutela del made in Italy. Con i dazi non si tutela un bel niente, si ingrassano solo i bilanci dei vari ministeri del commercio alleggerendo le tasche di consumatori finali e imprese che vedranno calare i fatturati come conseguenza dell’aumento dei prezzi finali dei loro prodotti dovuto appunto alle tasse doganali.
Se io metto su Instagram i maglioni fatti all’uncinetto da mia nonna e un giapponese me li ordina perché deve poi pagarci anche delle tasse sopra? L’effetto sarà quello di ordinarmi meno maglioni perché una parte della spesa da lui preventivata sarà erosa dalla tassazione doganale, oltre a fare incazzare mia nonna. Non è colpa dei cinesi – per tornare ad un esempio meno ludico – se le nostre aziende chiudono o delocalizzano, e non sono i dazi la soluzione; certe nostre aziende chiudono perché certi prodotti si trovano più a buon mercato importandoli dall’estero e aumentare i dazi su questi prodotti farebbe solo lievitare il prezzo al consumatore finale.
Le aziende che delocalizzano lo fanno perché in Italia ormai produrre è antieconomico, la tassazione è talmente alta che gli imprenditori scappano in paesi dove si può produrre in santa pace. Poi si può discutere se le politiche della totalità dei paesi occidentali non siano scientemente votate al suicidio dell’industria (e non solo quella) occidentale, a favore di quella orientale; ma ora non ne ho voglia, magari un’altra volta.
Comunque, le camicie le ho ordinate in quei due negozi indicatomi pagandole circa cinquanta euro in più in totale, rispetto ai prezzi della casa madre americana e nella mail di commiato rispondevo ai ragazzi del costume service con un “thank you guys” prima e “fuck the tariffs!” dopo.
Azz, ma la rinomata Camiceria Ambrosiana fa così schifo? Ne comprava 4 a quei prezzi.
Io le uniche camicie “americane” che comprerei sono quelle scozzesi, insieme a Levis e Timberland, ma solo il giorno che deciderò di fare il boscaiolo.