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De mauro: per la democrazia, in europa serve una lingua comune

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copertina libro del giorno "In Europa son già 103" Libro De Maurodi REDAZIONE

Quante lingue parla il Vecchio Continente? Tante, e questa è di certo una ricchezza che rispecchia appieno il motto dell’Unione Europea, “Uniti nella diversità”. Ma se si vuole davvero il consolidamento di una democrazia europea reale e non solo di facciata converrebbe dotarsi di uno strumento linguistico comune. E’ questa la tesi dell’insigne linguista Tullio De Mauro che nel suo libro In Europa son già 103″, edito da Laterza, inserisce la costruzione della comunanza della lingua tra le prime urgenze di cui gli Stati membri dovrebbero occuparsi.

Un titolo di mozartiana memoria (il riferimento è al Don Giovanni) per un volume che, seppur snello, è un condensato di sapienza e ragionamenti, dettagli e informazioni, in uno stile elegante e colto che non dimentica di fondere l’aspetto curioso a quello più propriamente divulgativo. Partendo dall’assunto – ampiamente motivato con ragioni sia storiche che linguistiche – che il multilinguismo sia un “tratto oggettivo della realtà geopolitica europea” che abbiamo ereditato dal passato e che ci caratterizza, l’autore afferma chiaramente che la conquista della piena democrazia passa anche dalla lingua. Una lingua che sia comune, compresa e parlata da tutti, per discutere e decidere insieme, e per fare dell’Europa la “polis” di tutti. Secondo De Mauro, quindi la questione linguistica, guardando al futuro dell’Europa, non è un puntiglio, o qualcosa di secondario.

Tutto il contrario: la faccenda riguarda chiaramente il ruolo che ogni cittadino europeo potrà avere direttamente nella vita politica del Vecchio Continente. Solo avendo una piena comprensione della lingua si potrà evitare che a prendere decisioni sulle politiche da adottare sia sempre e soltanto una ristretta élite. Il candidato ideale tra le lingue è l’inglese, il “passepartout più comodo” secondo De Mauro, l’idioma che non solo è il più utilizzato ufficialmente a livello globale ma è quello più studiato in Europa. De Mauro non parla certo di un inglese burocratico o tecnico: l’obiettivo infatti è ottenere il “pieno possesso di una lingua ricca di tutto il suo spessore e della capacità di arricchirsi degli apporti di tutte le culture e le lingue dell’Europa”. Ovvero, conoscere bene l’inglese non significa certo impoverirsi e dimenticare il bagaglio culturale – e dunque anche linguistico – del proprio Paese. Ne è un esempio l’Italia, nella quale la lingua italiana convive pacificamente con i dialetti delle singole regioni. O ancora meglio l’India, in cui l’inglese, lingua ufficiale, non ha certo cancellato le tantissime lingue locali parlate dalla popolazione. E dunque, come riuscirci in Europa? Partendo dalla scuola: qui l’autore non risparmia critiche, affermando chiaramente che, soprattutto in Italia, troppo poco si è fatto in questo senso, se si considera che secondo una ricerca OCSE molti europei adulti hanno un livello di istruzione al di sotto del minimo necessario “per orientarsi in una società moderna”.

Una vera e propria urgenza democratica quindi, che in proiezione futura riguarda i giovani, ma nel presente coinvolge i cittadini di oggi, e che rappresenta una sfida impossibile da perdere per l’Europa. (Ansa)

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3 COMMENTS

  1. da quello che leggo credo si possa trattare di un pericolosissimo testo di REVISIONE LINGUISTICA se veramente si sostiene che l’i-taglia costituisce un esempio perchè vi l’i-tagliano vi convivrebbe pacificamente con i “dialetti”. è pura falsità, è puro revisionismo, chi parla in una maderlengua padana viene di norma considerato un ignorantone, rozzo, volgare, troglodita, viene punito a scuola e guardato male ovunque dagli i-talici sgherri e da quanti sono succubi o complici.

    forse ora l’i-tagliano “vive pacificamente con i dialetti” perchè ha ridotto ad un punto tale molte nostre maderlengue che non ha più bisogno di fargli la guerra, stanno morendo da sole deve solo aspettare pochi anni: De Mauro quanti sono ancora i milanesi che a Milano città parlano milanese, quanti saranno tra 10, 20 anni se non facciamo qualcosa, veramente l’i-tagliano ha convissuto pacificamente con il milanese o lo ha sterminato????????

    Discorso diverso per il sud, come in tutte le cose, sotto da Roma in giù puoi fare il cavolo che vuoi, se parli romanesco parli la lingua della Rai, se canti in napoletano sei un artista, se parli siciliano è la lingua che da Federico II arriva a Pirandello e via con scemenze del genere, ci credo che li l’i-tagliano convive pacificamente con i dialetti… SECESSIONE!!!!!!!!!!!!!!

  2. la lingua della vecchia Europa era il latino…anche Enrico VII scrisse la sua biografia in latino.. e ovviamente non era usata dai popoli, perchè loro non hanno bisogno di parlare a tutti “quelli che contano” ma solo ai vicini, a quelli con cui praticano commerci e perciò un po’ alla volta assimilano termini e li adeguano alla loro parlata e così la lingua vive e si trasforma… questo processo ha permesso a tutte le lingue dei popoli di evolversi ma nello stesso tempo di amalgamare le comunità cioè i popoli stessi…
    Oggi l’istruzione obbligatoria generalizzata ci permette di apprendere lingue di popoli anche distanti, ma che abbiamo vicini attraverso gli strumenti di comunicazione di cui disponiamo e così vediamo quasi bambini esibirsi con voci splendide in canzoni che sentono da beniamini proposti dai media e sanno imitare benissimo…poi capiranno il senso di quello che cantano…una lingua è anche fonia, non importa quello che significa…c’è tempo per apprenderlo…insomma è cambiato tutto ma è certo che le lingue madri sono il patrimonio che i popoli hanno il dovere di conservare, pena sparire… per farsi capire basta impararne una, un tempo il francese, oggi l’inglese… come sempre gli inglesi hanno preteso dovunque siano approdati nel mondo, pretendendo di essere capiti non di capire… la lingua strumento di potere…per comodità oggi ci conviene prenderne atto e risparmiarci la fatica di inventarne un’altra… che senso avrebbe!

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