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Dell’inferno fiscale e dei keynesiani cronici

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di MATTEO CORSINI

Giuseppe Maria Pignataro fa parte dei non pochi keynesiani presenti a sud delle Alpi. Negli ultimi anni ha spesso invocato soluzioni keynesiane contro la presunta austerità praticata dai governi in carica.

Secondo Pignataro “non si può trascurare è che la nostra spesa primaria è già, pensioni a parte, tra le più contenute d’Europa in molti settori. Gli spazi di manovra reali per un suo ulteriore contenimento, come affermava già nel 2012 uno dei massimi esperti della materia (Piero Giarda), sono limitati”.

Sarebbe il caso di tenere in considerazione il fatto che, a prescindere da ciò che si pensa della spesa pubblica in generale, la possibilità di tenerla a un certo livello del Pil non è indipendente dalle condizioni del bilancio.

In altri termini, ha poco senso fare paragoni tra la spesa italiana in rapporto al Pil e quella degli altri Paesi europei prescindendo dal fatto che il bilancio dello Stato è molto più scassato della media. Questa osservazione di buon senso spesso sfugge a chi si lancia in confronti col resto d’Europa per tirare acqua al mulino della spesa pubblica, ovviamente per investimenti dai moltiplicatori astronomici.

  • “Le leggi macroeconomiche non eludibili sono quelle che riguardano i “moltiplicatori fiscali” che misurano le intensità di variazione del Pil corrispondenti alle variazioni delle leve fiscali che contribuiscono alla sua formazione. I moltiplicatori della spesa pubblica, secondo autorevoli economisti, sono molto elevati. Ciò implica che la sua riduzione, soprattutto in fasi di sofferenza dell’economia, produce nell’immediato un effetto negativo sul Pil considerevole che a sua volta produce nuovi bisogni di spesa sociale. E il fenomeno tende a consolidarsi ulteriormente se nel tempo la minore spesa pubblica non viene compensata dalla crescita della spesa privata”.

Resta da capire per quale motivo, se trattasi di “leggi macroeconomiche non eludibili”, la moltiplicazione abbia storicamente riguardato i debiti molto più del Pil. Circostanza mai spiegata da chi promette di poter trasformare le pietre in pane a suon di spesa pubblica.

Ancora Pignataro: “Dal 2000 a oggi la nostra spesa primaria in rapporto al Pil è sempre stata inferiore alla media dell’area euro anche nelle fasi in cui la nostra perdita di Pil è stata più accentuata degli altri Paesi europei. Per contro la pressione fiscale che nel 2000 era di quasi un punto percentuale più bassa dell’area euro è ora di circa un punto più alta. I tagli alla spesa primaria finalizzati a ridurre la pressione fiscale per rilanciare il Paese, sono dunque nella situazione data una equazione che non torna”.

Vedi sopra: non ha senso guardare solo alla dinamica di entrate e uscite senza considerare lo stock di debito accumulato nel tempo. Se la pressione fiscale è aumentata significa che di tagli alla spesa non ce ne sono stati, a conti fatti. E se qualche voce è stata ridotta, altre (escludendo gli interessi) sono comunque aumentate in misura superiore. Si tratta di aritmetica.

Ed ecco i buoni propositi: “Tuttavia queste considerazioni non vanno recepite in modo distorsivo, concludendo che i governi in carica non possono intervenire per attuare una razionalizzazione della spesa pubblica. Anzi ciò è assolutamente possibile, purché lo si faccia evitando di intervenire con approcci emergenziali in momenti in cui la spesa privata non cresce; efficientando i processi di formazione della spesa e uniformando le best practice degli enti in tutti i territori del Paese; snellendo l’apparato pubblico attraverso la eliminazione delle strutture pletoriche; portando su un sentiero di riduzione progressiva correlata le componenti di spesa più sbilanciate rispetto al Pil nominale, man mano che questo tende ad espandersi”.

Che dire: di buoni propositi e richiami alle best practices sono lastricate le vie dell’inferno fiscale. Che in Italia è destinato a restare tale.

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