Se il Novecento è stato definito “Il secolo breve” dallo storico Eric Hobsbawn, il malaugurato decennio che sta per terminare può essere definito il decennio populista.
Gli anni dieci del Duemila, archiviata la razionalità, sono stati dominati dall’eccitazione, dalla spettacolarizzazione, dall’emotività. Il sociologo William Davies (2018) è stato uno dei primi a farlo presente. Per Davies l’atteggiamento supponente da club maschile di un certo livello di molti scienziati sarebbe solo stato controproducente per combattere le teorie complottiste, in quanto il patto che ha fondato la modernità, quello fra popolo ed “esperti” è ormai saltato in maniera irreversibile.
Il decennio populista ha avuto diversi filoni.
Il populismo di sinistra, ben rappresentato dai cosiddetti indignados spagnoli, dalla retorica neomarxista dell’1% contro il 99%, dai movimenti come Occupy Wall street, dalla retorica benecomunista (Italia Bene Comune era il nome della coalizione di centrosinistra nel 2013). Il bene comune viene oggi invocato come l’altare in nome del quale sacrificare le libertà individuali per la tenuta del sistema sanitario.
Il populismo anticasta, con il disprezzo della weberiana “politica come professione” è rappresentato in Italia dal Movimento 5 Stelle, da gruppi extraparlamentari compositi come quello dei cosiddetti “Forconi” e in Francia dai Gilet Gialli. Gruppi caratterizzati, soprattutto il Movimento 5 Stelle, da una spiccata idea di superiorità morale e di “diversità antropologica” rispetto ai politici tradizionali.
Il populismo identitario e xenofobo, caratterizzato da una forte affermazione dei partiti nazionalisti, dall’Afd tedesco a Vox in Spagna, dalla Lega di Salvini al Front National, costruito principalmente sulla narrazione dell’invasione degli immigrati, sulla vecchia bufala sempre attuale del Piano Kalergi per la sostituzione etnica, sull’esasperazione parossistica della questione degli sbarchi. In Italia la Lega con la reggenza di Salvini ha abbandonato del tutto le idee liberiste e federaliste delle origini per trasformarsi in un movimento di destra protezionista, statalista e centralista. I tre populismi hanno trovato fra di loro molti punti di contatto talora trasformandosi in alleanze politiche, come il governo gialloverde italiano o la convergenza di fatto fra la sinistra di Mélénchon e la destra di Marine Le Pen alle elezioni 2017.
E arriviamo all’anno bisestile, il 2020. Nel novembre 2019 mi trovavo a Bologna per un evento espositivo fotografico, mentre poco lontano il segretario Pd Nicola Zingaretti parlava di “un nuovo inizio” per gli anni Venti del nuovo secolo, che auspicava molto diversi da quelli del Novecento. Il risveglio è stato brusco. L’anno bisestile è diventato l’anno dominato dall’ultimo dei populismi, il più becero di tutti: il populismo sanitario.
Le politiche di contenimento del Covid-19 sono state iper-populiste, la quarta ondata, si spera l’ultima, del decennio populista. Dal populismo di sinistra a quello anticasta a quello xenofobo si è passati al populismo sanitario, con la parentesi del populismo ambientalista alla Greta Thunberg. Nessuna rivincita delle competenze, ma la coda avvelenata di un decennio irrazionale nel quale una questione sanitaria è stata trasformata in una missione morale contro il peccato.
Con una politica stremata dalla fine delle ideologie, priva di visione e idee, con una laicizzazione diffusa della società, il Covid-19 ha permesso a un gruppo di specialisti di infilarsi nel vuoto della politica e della religione tradizionale elaborando una sorta di religione scientista.
La scienza non è democratica, affermava anni fa Roberto Burioni, ignaro, o forse no, che anche la scienza è situata culturalmente e socialmente: ma ormai incapace di convincere con la razionalità, è diventata populista.
Oggi il virologo (ognuno ha il suo preferito) salta la mediazione della politica per parlare direttamente al popolo producendo raccomandazioni a volte banali (lavarsi le mani) a volte inquietanti, come quella di sostituire i rapporti reali con masturbazione e sexting. La politica, totalmente sottomessa, in Italia si è limitata a trasformare le raccomandazioni in Dpcm che nonostante i rilevanti danni economici e psicologi, hanno avuto fino a poco tempo fa altissimo consenso che solo ora si sta incrinando. E nel resto del mondo con rare eccezioni come la Svezia sono state implementate politiche analoghe.
La “gente”, si è scagliata contro nuovi capri espiatori: oltre ai soliti migranti, sono arrivati runners, bagnanti, amanti, fidanzatini che si baciavano in pubblico, cinofili, ciclisti, lesbiche, bulgari, anziani che giocavano a bocce, vacanzieri, frequentatori di ristoranti e discoteche, giovinastri della movida.
Nel 2020 è clinicamente morto l’ultimo baluardo della modernità: il legame fra razionalità e libertà. Gli scienziati impegnati nella lotta al Covid si sono impegnati in una lotta senza quartiere per limitare la libertà personale, non in base a certezze scientifiche, ma per “dare segnali”. La tempesta populista perfetta.
Le immagini iconiche dei camion di Bergamo, quelle dei “medici eroi” bardati come astronauti nei reparti Covid (in realtà molti Dpi erano normalmente utilizzati nei reparti di malattie infettive). L’infermiera che collassa addormentata sul volante della sua macchina stremata da una notte di lavoro. La malata di Covid giovane che si selfie in terapia intensiva, esattamente come (con intenti opposti) li aveva fatti Franco Briatore. Le attrici americane che postano le foto degli intubati. Vasco Rossi che lancia anatemi contro i “negazionisti”. La ragazza che dopo una vacanza all’estero si ammala di Covid (senza sintomi) e fa pubblica professione di pentimento su un diffuso quotidiano nazionale, dichiarando che mai più si toglierà la mascherina, episodio allucinante che ricorda la caccia alle streghe. I soldati che pattugliano col mitra la semideserta spiaggia di Ventimiglia davanti a tre attonite ragazze, immagine poi rivelatasi appositamente costruita per un servizio giornalistico. L’arruolamento di influencer come Fedez e Chiara Ferragni per propagandare le “regole auree” della lotta al virus, mascherina, distanziamento e disinfezione. Stimati docenti universitari di virologia o epidemiologia che combattono fra di loro guerre senza quartiere, sostenuti da rispettive tifoserie accese come sette religiose. Un ministro che in diretta tv afferma ingenuamente di contare sulle delazioni dei vicini in modo da far rispettare le “raccomandazioni” riguardanti le relazioni interpersonali. Lo scopo unico della società sembra essere diventata la tenuta del sistema sanitari.
C’è chi legittimamente si chiede se alcune di queste immagini iconiche non siano operazioni di false flag, come la pistola fumante di Saddam Hussein o il cormorano immerso nel petrolio della guerra del Golfo.
Dal punto di vista sociologico ha poca importanza, sono performanti e certificano che la scienza è diventata populista e divisiva: fanno appello alle emozioni invece che alle prove, e hanno generato una sorta di guerra prima mediatica e ora anche nelle piazze tra i sostenitori della chiusura totale in nome della mera sopravvivenza, e quelli dell’equilibrio fra tutela della salute fisica, della salute mentale, della tenuta economica, della libertà.
Il decennio populista sembra essere giunto al suo punto di non ritorno. Quando anche la scienza hard si butta nella mischia populista e nella lotta spietata per il consenso, avvalendosi di immagini iconiche shock che restano impresse nell’occhio dello spettatore, si ha l’impressione che il declino della razionalità in favore dell’emotività e dell’accettazione di qualsiasi restrizione della libertà personale in nome della sopravvivenza non possa andare oltre senza determinare uno sfacelo completo e irreversibile della civiltà occidentale.
La sensazione, l’auspicio è che questo anomalo populismo sanitario sia, per citare un noto libro di Andrea Camilleri, la danza del gabbiano morente, scenografica ma finale, di un decennio nel quale la razionalità è stata considerata come un lusso da radical chic e la libertà un valore sopravvalutato.