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Dibattito: lingue locali in crisi, ma i loro veri nemici sono i puristi

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queodi GILBERTO ONETO

La scorsa settimana un lettore ha con molto garbo criticato l’utilizzo di un termine lombardo in un articolo: un uso che a suo dire arricchirebbe la lingua italiana che andrebbe invece trattata come uno strumento di oppressione. L’episodio induce  ad affrontare un argomento che dovrebbe essere cardinale per ogni autonomismo e indipendentismo: l’uso culturale ma anche politico della lingua.

Da noi non è  una battaglia persa perché in realtà non è mai cominciata. Facciamo il punto.

Nello spazio delle ultime due generazioni le lingue locali si sono praticamente estinte, per una serie piuttosto complessa di motivi. Due di essi coinvolgono direttamente il nostro mondo: non si è mai fatto quello che i linguisti chiamano “sacrificio linguistico” di razionalizzazione  e perché nessuno ne ha mai fatto una vera battaglia politica. Un po’ la Lega all’inizio e poi basta.

Il “sacrificio”  non c’è stato perché i  puristi non hanno mai voluto cedere di un millimetro, né a livello regionale né più alto, sulle singole specificità. I veri nemici delle lingue locali sono i puristi: c’è  gente che difende un accento o una dieresi con più impegno della rispettabilità della moglie.

Quando qualcuno ha fatto qualche timido cenno di “accorpamento” (Hull, Salvi) è stato lapidato. La Libera Compagnia che aveva proposto una grafia comune,  limitandola – si noti – alla sola toponomastica:  è stata accusata di ogni nequizia.

Gli altri (i catalani, gli sloveni, i baschi) si sono organizzati per tempo – neppure millenni fa ma nel corso degli ultimimissimi secoli – ma ora sembra tardi: le nostre lingue locali sono sempre più un reliquato culturale.

La lingua è così fondamentale per la nostra battaglia? Chi guarda alla Catalogna sostiene di sì. Chi guarda all’Irlanda o alla Baviera ne è meno certo.

In ogni caso davanti a noi abbiamo alcune alternative.

1 – Lasciare perdere e accettare la vittoria dell’italiano (in realtà toscano terronizzato) e magari studiare l’inglese.

2 – Difendere quel che resta del particolarismo linguistico locale in una operazione culturale priva di qualsiasi implicazione politica: alla francese.

3 – Accettare un “sacrificio linguistico” a livello regionale  e farne una bandiera autonomista. Oggi questa opzione sembra più facile per il veneto, che fra le lingue padane è la più viva e parlata. Ma c’è una letteratura autonomista in Veneto? I proclami di libertà sono tutti scrupolosamente redatti in veneto? Il dibattito sul referendum per l’indipendenza al Consiglio regionale è stato fatto scrupolosamente in italiano, anzi in cattivo italiano! Non è un buon viatico, né un esempio per gli altri che sono in difficoltà anche maggiori.

4 – C’è chi alza il “sacrificio linguistico” a livello padano proponendo la ufficializzazione di una koiné comune, quel “padanese” che non era riuscito a decollare nel Rinascimento, e che oggi rischia di presentarsi come un altro esperanto. Una cosa del genere è riuscita a Israele ma: a) noi non abbiamo la necessità di una forte componente di riconoscimento (in verità l’avremmo ma non abbiamo le palle),  b) non c’è un Ben Yehuda cisalpino capace di una cosa del genere, e soprattutto c) non abbiamo, come Israele, bisogno di una lingua franca: ce l’abbiamo già.

5 – Ci si può inventare un’appartenenza diversa e metterci a studiare e parlare un’altra lingua. La cosa è peregrina eppure qualcuno l’ha fatto: pur di non accettare l’italiano, i valdostani si sono dati come lingua il francese con cui ben poco ha a che fare la loro lingua locale che è l’arpitano. Una roba del genere l’hanno fatta anche gli indiani.

6 – Si può intervenire sull’italiano che  è la lingua di Stato anche se la Costituzione neppure la nomina, al contrario dello Statuto Albertino ne prevedeva due.  I norvegesi il giorno dopo la secessione  hanno preso lo svedese e lo hanno norvegizzato con tanto di dizionari, grammatiche e commissioni culturali. Si può deitalianizzare l’italiano, facendo – ad esempio – sparire i passati remoti (cui sono invece molto affezionati tanti autonomisti del lella),  padanizzando i congiuntivi (“faccia” invece del pelasgico “facesse”),  abbondando con il “lei” (alla faccia dei patrioti fascisti) e usando il “me, mi” come soggetto e chi se ne frega se non fa fine. Soprattutto riempiendo di suoni, vocaboli e modi di dire nostrani: infilare ovunque vocali celtiche (ha ragione il lettore: nell’ articolo c’era un “barlafusi” invece di “barlafüs”) o  suoni locali (j, nh). Si costruisce un dizionario delle allocuzioni e di tutti i sinonimi locali: si fa l’Accademia della polenta al posto di quella della crusca. Piacerebbe a Gianni Brera.

Queste sono le prospettive possibili. Proviamo a discuterne, si dibatta finalmente il problema della lingua senza chiusure, insulti o anatemi.  È brutto vedere che proprio sulla lingua tanta gente non riesce a parlarsi. Fino a qui la battaglia non è mai davvero cominciata: si potrà anche perderla, ma almeno cominciamola!

Gilberto Oneto

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13 COMMENTS

  1. In ordine sparso…
    Il piemontese lo “intiendo” – più o meno…
    L’italiano è inutilmente complicato. Di questi tempi leggo e scrivo principalmente in inglese.
    Conosco vari linguaggi di programmazione – la mia vera passione.
    Mi rammarico di non aver studiato greco e latino a scuola. Avessi del bel tempo, li studierei per conto mio.
    Sarò sincero: della lingua locale mi importa poco.
    Su questioni identitarie in generale il Prof. Bassani, nel video da voi linkato qualche giorno fa, ha fornito spunti interessanti.
    Io son prima di tutto un libertario. Vedo nell’indipendenza un mezzo, e non un fine – uno strumento (spero efficace) con cui ridimensionare il leviatano. Più è piccolo il leviatano e più è facile prenderlo a calci sotto la coda!
    Per carità, tra gli indipendentisti io son certamente l’eccezione che conferma la regola.

  2. A mio modesto avviso, sarebbe “sufficiente” ottenere la competenza regionale sulla scuola e progressivamente introdurre l’insegnamento delle lingue locali. Questo, secondo me, potrebbe essere un passo rivoluzionario e farebbe uscire le lingue locali dal ghetto in cui si trovano.

    Con la purtroppo necessaria gradualità, io partirei dalla scuola dell’obbligo (soprattutto primaria), dove le lingue si possono insegnare in maniera giocosa. Gradualmente (dopo aver fissato dei paletti con l’insegnamento nella scuola dell’obbligo) introdurrei anche la coufficialità delle lingue locali negli atti amministrativi.

    Per tutto ciò non sarebbe strettamente necessario imporre una koinè che, col tempo, si imporrebbe da sola.

    L’Italiano in Padania è già padanizzato e lo sarebbe ancor di più se si adottassero le politiche di cui sopra. Non credo ci sia bisogno di inventare a tavolino un Italo-padano. Ci si arriverebbe spontaneamente.

    Se dovessi codificare a tavolino una lingua (e sappiamo bene che ciò è stato fatto in molti casi), preferirei decisamente il Padanese e/o Lombardo unificato all’Italo-padano.

    Ma, prima di fare ciò, è necessario combattere e vincere una battaglia culturale. In altre nazioni tale battaglia culturale non è stata necessaria ma la realtà è quella che è, purtroppo.

    • A conferma di quanto da te detto mi ricordo un libro in cui si studiava l’evoluzione della lingua piemontese. Un capitolo era dedicato ad uno studio interessante che evidenziava che in Piemonte non si parla “italiano” ma “italiano-torinese” in analogia con “l’inglese-americano”, in quanto le differenze di grammatica, di vocaboli e di pronuncia la rendono una vera e propria lingua differente.
      La principale differenza grammaticale è l’assenza di passato remoto sostituito dal passato prossimo, uso preso dalla lingua piemontese che come in francese (in cui esiste però un desueto passato storico) non ha quel tempo nel modo indicativo.
      Di vocaboli propri usati in Piemonte e spesso cooptati dal piemontese ce ne è una bizzeffa ma la differenza più grossa è quella della pronuncia. Scomparsa la tendenza di pronunciare la “u” come “u francese”, di cui si lamentava Vittorio Alfieri (astigiano che dovette bagnare i panni in Arno) mi ricordo quella della pronuncia della “sc” che in “sciare” diventa “share” ed in “scemo” diventa “sciemo” (quest’ultima in diminuzione in diminuzione ormai).
      Tralascio la pronuncia delle vocali, praticamente tutte diverse da come sono pronunciate in italia (p.e. menta).

    • Io credo che prima della scuola e a costo zero o comunque minore il primo passaggio sia garantire la trasmissione intragenerazionale.
      é giusto puntare sulla scuola, ma ancor più giusto sarebbe che genitori e nonni tornassero a trasmettere la maderlengua così come si faceva fino a pochi anni fa. per raggiungere questo risultato basta cambiare la mentalità succube delle calunnie dello stato italiano che descrive i “dialetti” come il male assoluto, basterebbe far capire che il bilinguismo precoce e regionale è un bene, è utile.

      • Ormai il danno è fatto. A casa mia si è sempre parlato piemontese, quando iniziai ad andare a scuola i professori radunarono i genitori chiedendo di non parlare in piemontese e casa per facilitarci l’apprendimento dell’italiano (un po’ come si vede in certi film in cui agli aborigeni australiani o agli amerindi si vietava di parlare ed apprendere la loro lingua. Dopo qualche tentativo l’unica esentata in famiglia fu mia nonna in quanto l’italiano proprio non riusciva a parlarlo e se ci provava faceva dei danni.
        Il piemontese ho dovuto imparare a scriverlo da solo (non a parlarlo ovviamente), visto che da nessuna parte lo si insegnava. A 16 anni mi sono fatto regalare una grammatica piemontese, usata con fatica visti che a casa mia si parlava un dialetto piemontese, non la lingua. La cosa più assurda è che se un piemontese emigra in Liguria (mica dall’altra parte del mondo) i suoi figli non hanno alcun modo di imparare la lingua locale, non la si parla a scuola, non la si insegna a casa e questo può essere un handicap. Per questo spingo affinché anche questo sito scriva nelle nostre lingue, che esista un quotidiano (anche online, costa meno) una televisione che doppi o sottotitoli i film, case editrici (con gli ebook costa poco) che traducano i libri nelle nostre lingue ed infine occorrerebbe, anche tramite il circuito delle università della terza età, avviare corsi gratuiti o a modico prezzo di lingue locali, formare dei professori per quando avremo l’indipendenza.

      • Hai ragione ma io mi riferivo a ciò potrebbe fare un ente pubblico. I comportamenti individuali sono altra cosa.

  3. bravo Oneto… finalmente un punto in komune ke possa koinvolgere, interessare e far kooperare i cisalpini di ogni ordine e grado e di ogni ideologia o dottrina ke ci divida …

    naturalmente, abbordando il tema grafiko, oltre ke kuello fonetiko …

    aggiungo xò anke ke al di là della tradizione linguistika, la kultura non è solo kyuellaq letteraria od artistika, ma anke kuella del fare e del lavoro, dell’abito, uso, kostume e modo di rapportarsi kon gli altri è il nostro vero DNA skritto indelebilmente nel nostro essere al di là della religione ed ideologie politike ke ci dilaniano, senza riuscire a demolirci …

    la tradizione di civiltà nostra NON ce l’ha data il kristianesimo romanista di pretesa universale … eravamo sociali, bonaccioni, altruisti, laboriosi, ingegnosi, pazienti e rispettosi del prossimo ankòr prima ke la disgrazia romanista c’impestasse, dividendoci e kiamandoci ad odiare e morire x difendere il suo potere ke ci espropria …

    abbiamo sempre kommerciato ed avuto buoni rapporti kon tutti nel mondo, dalla Cina al Medio Oriente, all’Afrika, all’Amerika …. e non siamo mai stati interessati all’evangelizzazione forzata, guerrafondaia, di karità e falso amore, di nessuno …

    KOPIAINKOLLA – certo ke x koloro ke si vantano di essere araldi della libertà e reklamarla x gli oppressi,
    kostruire ed imporre la gabbia del kopiainkolla (ke smorza, x kause varie, la volontà e desiderio eventuale di approfondimento serio,…), altro non fanno ke xpetuare la metodologia leghista kastrativa verso i suoi sostenitori, ora girata verso i propri lettori e sostenitori … trattati a “mandria o parko buoi” ricettori passivi (di idee e volontà kalate dall’alto) e non soggetti attivi e kooperanti…

    prova ad immaginare, kome spesso akkade, ke ora, alla fine di kuesto skritto (ke mi ha rikiesto 30′ di tempo) x kause varie interne ed esterne, si kancelli tutto… ebbene, x non poter kopiare ed inkollare a parte lo skritto, dovrei ripetermi… e kuando mai ! … lo kapoite o no l’importanza del KOPIAINKOLLA !?

    • Te lo riscrivo ancora una volta:
      io copio, incollo e faccio tutto ciò che più mi aggrada. Se tu non puoi il problema è solo tuo.

  4. Grandissimo articolo, come sempre Oneto ha centrato il nocciolo del problema. Nessuno ha mai seriamente portato avanti la questione e a far danni ci han pensato i puristi, quelli che per un’accento si mettono il cortello tra i denti e ne conosco parecchi.

    Mi permetto però di segnalare alcuni esempi virtuosi o per meglio dire di resistenza linguistica come la wikipedia piemontese con 63.000 voci e quella lombarda con più di 30.000 voci, mentre a livello di “tentativi di accorpamento” segnalo Scriver Lombard di Lissander Brasca, la grafia unitaria per tutto il lombardo.

    http://www.menarestaeditore.it/index.php?option=com_jshopping&controller=product&task=view&category_id=1&product_id=19&Itemid=18

    http://lmo.wikipedia.org/wiki/Scriver_Lombard

    Ad un livello geografico ancor più alto si pone l’Alp, Associazion Linguistica Padaneisa, http://www.alpdn.org/alp/ che si occupa del gruppo linguistico reto cisalpino o padanese sul orme del prof Hull e organizza il suo terzo concorso a premi cui siete tutti invitati a partecipare
    http://digilander.libero.it/alpdn/Varie/Bando-ALP-2015-6.pdf

    • Wiki in piemontese la leggo sempre. Ho altri siti interessanti in piemontese da proporvi.
      Per chi ha dei bambini suggerisco di fare una ricerca su youtube: peppa pig in piemontese
      esiste anche in veneto (peppa porsela) ed in bresciano, così i bambini crescono bene divertendosi….

  5. Personalmente, essendo piemontese, capendo il lombardo occidentale ed il ligure, parlando il francese e l’inglese il problema non si pone.
    Il piemontese è parlato, è riconosciuto come lingua dall’Unesco ed ha una sua letteratura. Storicamente in Piemonte si è sempre affiancato il francese.
    Forte di questa esperienza posso affermare:
    1) occorre usare le nostre lingue e non la lingua degli occupanti italiani. Oltretutto l’italiano appartiene al gruppo delle lingue neolatine orientali e non occidentali come le nostre lingue e dialetti. L’italiano è una lingua estera artificiale, totalmente estranea, poco importante a livello internazionale, piuttosto che perdere tempo a studiarla tanto vale studiare il francese, il tedesco o l’inglese.
    2) occorre ripulire le nostre lingue dagli influssi italiani, come hanno fatto i francesi con la loro lingua nei confronti dell’inglese
    3) la nostra lingua franca non è l’italiano ma bensì il francese, vista l’influenza che ha avuto sulle nostre lingue e la diffusione che aveva nel passato. Al massimo, per motivi storici (l’Impero Austroungarico) ed economici (i turisti tedeschi), si può ipotizzare un bilinguismo come in Svizzera, ad ovest il francese come lingua franca, ad est il tedesco.
    4) si è fatto l’esempio di Israele e della Norvegia, ma personalmente mi ricordo che anche l’inglese è nato dalla fusione (in modo naturale) dei dialetti di tre zone, il dialetto di Londra è diverso dall’inglese ufficiale ed incomprensibile ai più, senz’altro agli americani (il film Quadrophenia degli Who in America dovette essere sottotitolato). Partiamo con le nostre lingua, depuriamole dai neologismi italiani, usiamo francese e tedesco come lingue franche, mettiamole come lingue ufficiali (utili sia per il turismo che per lavoro) con il tempo come in Inghilterra, i matrimoni, gli spostamenti per lavoro, le amicizie, le vacanze porteranno in modo naturale a formarsi una lingua “Lombarda” (nel senso di Longobarda) che probabilmente sarà una miscela di lombardo occidentale, piemontese orientale e genovese.
    Più o meno vuol dire rimettere a posto le cose e far si che accada quel che sarebbe accaduto se non ci fosse stata la sciagurata occupazione italiana.
    Sono contrarissimo a continuare ad usare l’italiano come se nulla fosse, l’italiano è estraneo (come ho detto all’inizio) e non ci differenzierebbe da loro. Ancora oggi le persone poco colte tendono a considerare come “inglesi” tutte le persone delle isole britanniche. Gli irlandesi che continuano ad usare l’inglese affiancato al gaelico, guidano a sinistra, frequentano i pub alla fine vengono considerati “inglesi”. Lo stesso con scozzesi e gallesi. Vogliamo continuare ad essere considerati un popolo mediterraneo, pigro, ozioso, poco ligio alle regole, mafioso? Io sono piemontese, non sono italiano, al massimo posso accettare di essere considerato un “francescois”.

    • Gerda Weissensteiner, atleta sud tirolese e cittadina italiana, alle olimpiadi di Lillehammer del 1994 all’international Herald Tribune che le domanda quante lingue straniere sapesse parlare ha risposto “Parlo una sola lingua straniera: l’italiano”.
      (Sergio Salvi, L’Italia non esiste, pag. 84)

  6. Concordo, i Catalani hanno fatto un bel colpo, ma noi probabilmente non siamo in condizioni così favorevoli. La questione linguistica va affrontata una volta per tutte in modo serio!

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