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Il diritto di decidere, quali scenari per la catalogna?

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catalognadi CARLOTTA REDI*

Come noto, gli scozzesi hanno votato per rimanere nel Regno Unito: la battaglia è stata serrata fino all’ultimo, e probabilmente solo il grande impegno della Regina e dei principali partiti britannici (escluso l’UKIP di Farage), congiuntamente al terrore di conseguenze economiche poco prevedibili, ha scongiurato il peggio per Londra.

Se la situazione nel Regno Unito appare fluida e caratterizzata da un’intensa attività di contrattazione tra Edimburgo e Londra, in Spagna il quadro è ancora più magmatico. Secondo le ultime rilevazioni i “sì” all’indipendenza dalle parti di Barcellona sarebbero molti di più di quelli di Edimburgo, in una percentuale variabile tra il 55% e il 60%. Per gli indipendentisti catalani raccolti attorno al Presidente Artur Mas sarebbe però già una vittoria riuscire a celebrare il referendum, osteggiato sia dal governo centrale di Madrid che dalla Corte Costituzionale. La sfida all’esecutivo guidato da Rajoy è aperta: l’ultimo stop ricevuto dal progetto indipendentista è stata la sentenza del Tribunal Costitucional, mediante la quale sono stati sospesi sia la legge che il decreto catalano sul voto. La sospensione diventerà effettiva quando il governo ne riceverà la notifica dal Tribunal. La Corte ha anche stabilito che la sospensione durerà al massimo cinque mesi: entro quel limite, il Tribunale dovrà decidere se farla diventare definitiva o revocarla, motivando la decisione. Il movimento indipendentista non si è però dato per vinto ed ha nominato la Comissió de Control: tale mossa politica ha avuto l’effetto immediato di provocare una nuova reazione del Governo, il quale ha agito giudiziariamente contro tale nomina che nei fatti è un aggiramento della sospensiva e un chiaro atto di implementazione della normativa.

Ma come siamo giunti a questo punto? Come mai l’assetto asimmetrico della Spagna non è riuscito a dare risposte al nazionalismo catalano (e basco)?

Il riconoscimento della presenza di minoranze attraverso l’adozione (o il potenziamento) dell’assetto federale/regionale può apparire il modo migliore per risolvere un conflitto, ma nel lungo periodo tale riconoscimento perpetua e anzi a volte rafforza le differenze tra i gruppi fornendo ai nazionalisti gli strumenti per un’eventuale secessione.

In Spagna il processo di riconoscimento dei gruppi minoritari ha comportato il perpetrarsi delle differenze e ha legittimato il mantenimento del sistema binario articolato su di una logica di contrapposizione basata su di “Noi vs. Loro” (in questo caso Barcellona Vs. Madrid).

Il caso catalano può essere portato a paradigma di come le rivendicazioni nazionaliste affondino spesso la loro ragion d’essere nella credenza che la sopravvivenza sociale, economica e culturale del gruppo sia minacciata dall’azione o inazione dello stato centrale: una delle tematiche che spesso viene portata a supporto delle rivendicazioni è quella di essere “più diversi degli altri” e di voler godere quantomeno i medesimi privilegi fiscali dei Paesi Baschi.

Il percorso che ha portato all’attuale fase di rivendicazioni ha visto nel 2010 l’inizio dell’escalation: la questione autonomista catalana è riesplosa a seguito della sentenza del Tribunal Constitucional n. 31/2010 con cui è stata mortificata la gran parte delle novità contenute nello Statuto catalano del 2006, in primo luogo la definizione della Catalogna come Nazione. Le tappe successive si sono snodate attraverso l’approvazione della Dichiarazione di sovranità e del diritto di decidere del popolo catalano in quanto “soggetto politico e giuridico sovrano”.

Quali risultano essere gli scenari possibili?

referendum catalanoIl più improbabile, visto l’empasse politico/giuridico attuale, sarebbe quello di una Catalogna organizzata come Stato non riconosciuto, posizionato tra Francia e Spagna, e in grado di mettere in agitazione l’intera Europa. Anche nel caso si verifichi il più probabile degli esiti – con il governo catalano che, a referendum vinto o “pareggiato”, decide comunque di far parte della Spagna ma alle sue condizioni – non mancherebbero le tensioni istituzionali con Madrid. Il governo spagnolo dovrebbe a quel punto assicurare più autonomia anche ai Paesi Baschi, avviando un percorso federale simile a quello promesso da Cameron. La Costituzione del 1974 – quella della Spagna “unita ed indivisibile” – sarebbe quindi destinata a una profonda revisione.

L’importante è però ricordare che ciò che è accaduto nel Regno Unito, vale a dire un processo avente principalmente politica e che solo successivamente ha trovato consacrazione a livello giuridico, non può concretizzarsi in Paesi in cui il dettato costituzionale concepisce lo Stato come indivisibile. In questi casi l’opzione risulta essere la revisione costituzionale e l’introduzione di un “diritto alla secessione” in cui il dato procedurale prevale su quello contenutistico/sostanziale, sul modello canadese.

L’ipotesi della revisione costituzionale, tuttavia, non sembra facilmente percorribile nel contesto parlamentare attuale, poiché non gode dell’appoggio del partito popolare ma risulta sostenuta prevalentemente dal Psoe limitatamente ad una proposta di riforma diretta a promuovere la conversione dello Stato autonomico in un modello federale. Con tali premesse politiche, il derecho a decidir, riconosciuto dal Tribunale costituzionale come una aspirazione politica legittima, non sembra destinato a trovare facilmente attuazione all’interno dell’ordinamento costituzionale spagnolo. Non può sottovalutarsi, tuttavia, che l’esercizio di tale diritto sia ampiamente reclamato non soltanto a livello politico e istituzionale ma anche dalla società civile catalana.

Nonostante ciò CiU ha ampiamente dimostrato che non intende sostenere un voto illegittimo. In ultima analisi i profili problematici risultano essere due: da un punto di vista formale se verrà esercitato il voto in violazione del diritto spagnolo sarà già una chiara affermazione di essere di fronte ad un soggetto “sovrano”, e dunque perché chiedere a Madrid il consenso al percorso di secessione?

In secondo luogo, se il voto sarà illegale/illegittimo la percentuale di votanti sarà minore e molti in favore dell’indipendenza non eserciteranno il diritto di voto.

Va ricordato, inoltre, che se l’opzione referendaria non dovesse prosperare, si profila come ultimo scenario possibile lo svolgimento di elezioni politiche anticipate nella Comunità autonoma a cui sarà attribuito il valore di un referendum sull’indipendenza.

L’evoluzione di tale processo presenta, quindi, ancora molte incertezze che rendono prematura in questa fase qualsiasi valutazione conclusiva.

Da ultimo l’ombra dell’Ebola ha determinato la sospensione di tutte le consultazioni degli ultimi giorni: le maglie allentate dello Stato autonomico si ricompatteranno di fronte all’emergenza sanitaria?

*Dottore di Ricerca in Diritto Pubblico Comparato presso la Scuola Sant’Anna di Pisa.

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