Ieri, parlando di disobbedienza, ci siamo lasciati a questo punto: “Per la maggioranza delle persone, quella stessa che aveva condiviso l’iniziativa delle ronde ma non aveva partecipato direttamente, continuare a sostenere le ragioni delle ronde stava diventando socialmente troppo costoso. Non si trattava più, ora, della propria casa e delle proprie cose che possono finire nelle mani dei ladri. Ora si trattava di salvaguardare la propria pacifica adesione all’istituzione obbligatoria: lo stato italiano” (VEDI QUI). Continuiamo.
L’azione collettiva contro lo stato
E’ possibile leggere tutta la vicenda occorsa in quel di Sarezzano scartando la posizione di chi concede allo stato-nazione il privilegio del monopolio della forza legale. Per questi individui la posizione espressa nei virgolettati dal comandante dei carabinieri sintetizza tutta la questione.
Le azioni collettive di un popolo dipendono soprattutto dalle opportunità offerte da chi deve prendere decisioni collettive
Per chi non si accontenta, l’esperienza qui brevemente riassunta lascia emergere motivi di riflessione, da cui il mondo dell’indipendentismo libertario può trarre beneficio. Quante volte abbiamo dovuto sentir ripetere che se i popoli padani non si ribellano ad uno stato italiano sfruttatore ed oppressore ciò dipende dal carattere dei medesimi popoli? Un modo come un altro per rimuovere le responsabilità dei capi, che riguardano, in primo luogo, la mancanza di un’offerta di azioni collettive ribelli ed efficaci. Azioni collettive che nella vicenda sopra raccontata, ed in altre occasioni, hanno invece avuto luogo.
Le opportunità di azioni collettive ribelli sono offerte dalle decisioni di pochi promotori, che devono esprimere una minaccia credibile contro il nemico
Anche se è vero che altra cosa sono le ronde in un paese di periferia ed altra la disobbedienza civile su media o larga scala, resta il fatto che nella sequenza di decisioni individuali che conducono all’azione collettiva, tra tutti i partecipanti sono pochissimi quelli che offrono le opportunità che verranno colte da chi desidera ribellarsi pensando che l’utilità attesa di una protesta condivisa sia maggiore rispetto ad una protesta individuale.
La rivolta, in ogni caso, costituisce una prova della credibilità della minaccia. Nel mondo indipendentista non dovrebbe esserci bisogno di ricordare che i popoli che rivendicano l’indipendenza, implicitamente minacciano di disintegrare lo stato. E non dovrebbe esserci bisogno di ricordare che i tanti parassiti da cui è costituito lo stato si difenderanno.
Nel paese di Sarezzano, come si è visto, i ladri, per nulla intimoriti dallo stato italiano, sono stati fermati dal comportamento di pochi abitanti determinati a difendere territorio e proprietà.
Quanto possono essere credibili i vari partiti e le organizzazioni indipendentiste più o meno gravitanti intorno al dominio della Lega Nord, se l’implicita dichiarazione di guerra (voler disintegrare uno stato è una dichiarazione di guerra) viene puntualmente accompagnata da comportamenti che testimoniano l’intenzione di integrarsi nelle istituzioni italiane? Le persone che lavorano intenzionalmente per la sopravvivenza di quella complessa organizzazione che è lo stato italiano dovrebbero prendere sul serio questi partiti, dovrebbero essere preoccupate? Dovrebbero essere preoccupate di chi, invece di organizzare la protesta, fa dipendere il proprio potere dal ruolo occupato nelle istituzioni italiane?
I promotori della ribellione contro lo stato italiano
Chiamiamo promotori tutte le persone che formulano argomentazioni convincenti relative al che fare in una determinata situazione e che predispongono i dispositivi di decisione collettiva. Quindi quelle persone che offrono concrete opportunità di ribellione. Il costo inziale che devono sopportare i pochi promotori della ribellione contro lo stato italiano può essere costituito dal denaro esborsato e dalle sanzioni conseguenti alla trasgressione di norme sociali e giuridiche.
I primi partecipanti
Anche l’azione dei primi partecipanti, che si aggregano al movimento in un secondo momento e possono determinare il successo o l’insuccesso di un’azione collettiva, può essere inizialmente molto costosa e rischiosa. L’azione dei primi partecipanti risponde ad una miscela di spinta morale, norma sociale e convenienza immediata. Quest’ordine indica che se tra i primi partecipanti (ed in termini esclusivi tra i promotori) prevarrà la spinta morale, nei nuovi cooperatori assumeranno progressivamente maggiore importanza l’obbedienza ad alcune norme sociali ed infine, quando la ribellione appare vincente, la convenienza immediata.
I primi partecipanti trasgrediscono e, se hanno successo, erodono alcune norme sociali
Con la partecipazione alle ronde, più in generale partecipando ad un movimento di ribellione contro lo stato italiano, nel breve periodo appare la sola convenienza di ricevere l’approvazione degli altri per via della norma sociale che premia la solidarietà; ma solo se l’attività del movimento ha già eroso le norme sociali che usa lo stato per ostacolare la solidarietà tra cittadini in relazione alla difesa della proprietà privata e in generale della libera cooperazione. Per questo motivo l’iniziale partecipazione ai movimenti è limitata ma spesso significativa, nel senso che cambia equilibri, rompe schemi, promuove cambiamenti. Si pensi, appunto, ai movimenti indipendentisti ed al movimento libertario.
Approvazione temporanea del comportamento ribelle e disapprovazione delle persone speciali
Una forma indiretta o, se si preferisce, passiva di partecipazione è la semplice approvazione.
La maggioranza delle persone, avversa al rischio, contribuisce nel culmine della vicenda di Sarezzano al diffondersi di una norma sociale che premia chi partecipa direttamente alle ronde. Il movimento ha, cioè, compreso una situazione e, avendola compresa, ha generato una soluzione razionale. Ed ha provocato un importante cambiamento: l’emergere di una nuova norma sociale per la quale disobbedire allo stato organizzando e promuovendo liberamente il controllo del territorio diventa un comportamento apprezzabile.
Perché le norme sociali sono così importanti
Le norme sociali funzionano grazie ai sentimenti di approvazione (premi) e disapprovazione (sanzioni) degli altri. Non sempre si riesce a cogliere l’importanza dei meccanismi sanzionatori e premianti delle norme sociali. Per comprenderli può essere utile immaginare situazioni estreme, dove le norme vengono apertamente violate. Faide, duelli, scazzottate, pugnalate e tanti comportamenti irrazionali non sono, come si è soliti pensare, dovuti all’irrompere di emozioni quali rabbia e odio, ma all’irrompere di rabbia ed odio in seguito al rischio di “perdere la faccia” o la dignità, ovvero l’immagine che gli altri si fanno di noi.
La trasgressione di alcune norme sociali può rendere la vita un inferno, al limite la vergogna può raggiungere un’intensità così insopportabilmente grande da portare al suicidio. Al contrario le persone che possono vantare una buona reputazione collezionano notevoli vantaggi nella vita sociale.
Lo stato-nazione sanziona il trasgressore della legge e promuove lo status quo
Una parte importante del lavoro dei funzionari dello stato italiano, in quel di Sarezzano (ma è sempre così) è stata quella di evocare norme sociali che ostacolano la solidarietà tra cittadini nella difesa della proprietà privata. Particolarmente potenti e diffuse, a causa di esse le persone che si distinguono dalle altre per qualche merito personale vengono disprezzate.
Si badi che non è tanto il contenuto della distinzione che rende le persone speciali (per esempio i ribelli) oggetto di disprezzo, quanto il fatto che chi si distingue dagli altri rompe equilibri consolidati, genera tensione, produce informazioni che, per quanto possano rendere la vita di tutti migliore, affermano contemporaneamente che le credenze (per esempio la credenza nell’efficacia dello stato-nazione) fin ora conservate erano sbagliate; e mettono gli individui di fronte a scelte non sempre facili da prendere. Non sono molte le persone che accolgono senza fastidio il fatto che ciò che pensavano fosse vero e che ha regolato la loro vita, era in realtà sbagliato. Ammettere che lo stato-nazione è per tanti aspetti una truffa significa riconoscere di essere remissivi tirapiedi di parassiti ed aguzzini. Significa sferrare un duro colpo al proprio orgoglio.
I costi della ribellione e della sopportazione possono favorire l’emergere di credenze irrazionali, compresa quella che attribuisce al popolo la responsabilità della sua inerzia
Per evitare di trovarsi a dover scegliere tra sopportare o combattere lo stato, le persone possono sviluppare credenze sulla sua efficacia, la sua necessità, la sua eternità e rifiutare o non cercare le informazioni che testimoniano il contrario.
Ma se sopportare lo stato italiano è costoso, combatterlo, oltre ad essere costoso, richiede opportunità fondate su credenze razionali. Chi aderisce ad una rivolta deve attendersi da essa una certa qual utilità. Non si dà, solitamente, alcun credito ai soliti chiacchieroni che attribuiscono al popolo la colpa della loro inazione o l’inefficacia della loro azione perlopiù solitaria ed effettivamente ininfluente (ma ci sono persone veramente speciali, nel bene e nel male, che, come nel caso dell’attentato che provocò la prima guerra mondiale, pur agendo da solitari procurano conseguenze gigantesche). I chiacchieroni testimoniano, oltre alla loro superficialità, anche un fatto concreto: che mancano le opportunità di ribellarsi collettivamente. Non è però al popolo che bisogna rivolgersi, ma ai promotori (o, se si è capaci, diventare promotori). Rivolgendosi al popolo è come se ci si volesse distinguere da esso senza avere il titolo per farlo, si diventa ridicoli come quei rivoluzionari da osteria che tutti prendono in giro.
I promotori, invece, fanno sempre appello alla solidarietà tra persone che devono sopportare costi gravosi e che, proprio maturando questo senso di solidarietà, possono prepararsi a combattere, ad essere i primi partecipanti di un movimento di liberazione.
La lotta dei movimenti
Tutti i movimenti sociali provocano una battaglia che si combatte, in primo luogo, nell’ambito delle idee; più precisamente combattono una battaglia finalizzata a far emergere la razionalità di alcune credenze e l’irrazionalità di altre. Promotori e primi partecipanti, anche se fanno appello alla razionalità degli individui, fanno sempre molta fatica perché costringono gli altri a rivedere le proprie convinzioni, talvolta profonde.
Chi si difende dagli innovatori può essere confortato dal loro insuccesso; in qualche caso gli innovatori possono anche sbagliare! Ma poiché ogni battaglia per la razionalità delle credenze è legata al fatto che quelle stesse credenze devono, per avere successo, essere condivise, produrre emancipazione e progresso civile e dimostrarsi vere, innovatori, promotori e primi partecipanti troveranno vita più difficile quanto più esteso è il contesto sul quale insistono.
Talvolta i promotori, presi dallo sconforto, possono iniziare a pensare che la battaglia delle idee si concluda nel mondo delle idee, e si confortano pensando di essere superiori. Anche se è vero che esistono individui più intelligenti di altri, abbandonarsi al disprezzo dei meno intelligenti è un atteggiamento che fa ricordare quello dei chiacchieroni da osteria.
I promotori ed i partecipanti ad un movimento politico non sono militanti o capi di partito
I promotori rischiano, affrontano pericolose battaglie, aggregano i migliori, quelli che capiscono in anticipo che è giunto il momento di lottare veramente, gli eroi. I capi dei partiti sono invece sempre preoccupati del consenso immediato, non posseggono lo slancio che provoca i cambiamenti, non guardano in prospettiva: agiscono pensando alla conseguenza elettorale delle proprie azioni, non alle conseguenze sociali della loro lotta, perché credono che la lotta si riduca alla conquista dei voti.
Gli indipendentisti che non hanno letto o non capiscono il libro di Hoppe Contro lo stato democratico, non possono far altro che confinare la loro battaglia nel mondo delle idee e continuare ad immaginare che il popolo non è pronto e che loro sono superiori al popolo che vorrebbero liberare. Non si tratta di essere superiori o inferiori, ma di riconoscere che nei popoli ciascuno ha il suo ruolo e quello dei politici che si ostinano ad intrattenere relazioni positive con lo stato italiano è certamente poco dignitoso.
Chi partecipa ad un movimento sociale non ha in mente i consensi; sa che la sua è una battaglia motivata da credenze razionali (per esempio dal fatto evidente che gli stati-nazione sono il problema principale dell’Europa) e sa che la maggioranza delle persone, essendo avverse al rischio, non condivideranno il suo punto di vista. Ma non per questo rinuncia alla lotta.
In tanti comuni italiani c’è il problema dei furti, ma non in tutti i comuni i cittadini hanno, sfidando lo stato italiano, trovato il modo di difendersi. La differenza la fanno i promotori ed i primi partecipanti, non i chiacchieroni che nei bar dicono: “bisognerebbe fare così, o così, o così”, senza mai rischiare nulla.
Distinguere i movimenti dai partiti politici
Oggi tutte le organizzazioni politiche si fanno chiamare movimenti politici, perché la parola partito viene disprezzata dalla popolazione. Deve essere invece sottolineata la differenza di significato tra questi due termini. La razionalità della credenza indipendentista e libertaria impone la precisione del linguaggio attraverso il quale si comunica e ci si capisce. E’ importante continuare a ricordare che non sono i capi a stabilire arbitrariamente se l’organizzazione che guidano è un movimento o un partito, ma è l’organizzazione che guidano che può essere qualificata movimento se, insieme ad altre condizioni, rispetta quella del disinteressamento rispetto alle competizioni elettorali. I cambiamenti che promuovono i movimenti non passano attraverso le urne, ma direttamente nella coscienza delle persone.
Distinguere i partiti dai movimenti, non fare confusione, serve a distinguere le funzioni che in seno ad un popolo hanno i primi ed i secondi. I primi tentano di mettere ordine nei movimenti, di usare i movimenti per la lotta politica, i secondi sono generatori di cambiamenti sociali.
I capi dei partiti indipendentisti, soprattutto della Lega Nord, si trovano sempre nella condizione di decidere di guidare la rivolta, ma non lo fanno mai
Come si diceva i capi dei partiti indipendentisti e aspiranti tali (qui uso questa formula “capo di partito” per semplificare, riferendomi ai promotori di organizzazioni il cui out-put è misurabile prevalentemente in termini di persone infilate nelle istituzioni dello stato italiano e nelle aziende di stato) sono sempre nella condizione di dover decidere se organizzare la rivolta o optare per la negoziazione.
Anche se comandano partiti composti da persone poco inclini alla lotta ed al rischio, soprattutto tra i quadri ed i livelli intermedi, la base di questi partiti è così ampia e così dipendente dalle parole del capo che è possibile organizzare importanti forme di protesta, di ribellione, di disobbedienza.
La loro carriera però testimonia una tendenza a considerare il popolo, gli altri, sempre impreparato; nel caso di partiti più grandi come la Lega Nord, capaci di mobilitare tante persone, i capi tendono a considerare la ribellione una semplice minaccia da far pesare sul tavolo negoziale, per accumulare potere entro le istituzioni dello stato italiano.
Ma la ribellione, la disobbedienza sono fatti in se stessi liberatori, che cambiano la società. Finché restano una minaccia possono aumentare il potere di una persona, ma non cambiano nulla.
L’azione collettiva efficace cambia l’atteggiamento di molte persone verso stato italiano
In Padania, molto più che nel Mezzogiorno, è abbastanza diffusa una norma sociale che prescrive di rispettare le leggi dello stato italiano e di rispettare lo stato. E’ una norma sociale evidentemente rinforzata dalle sanzioni che lo stato, in virtù del monopolio della forza che detiene, può distribuire.
E’ possibile che l’iniziale approvazione delle ronde da parte della maggioranza degli abitanti di Sarezzano sia conseguenza di un forte senso di indignazione verso lo stato italiano, che emerge e si diffonde una volta che la sua la sua inefficienza nel controllo del territorio appare conclamata e catastrofiche le conseguenze.
Nel capovolgimento della norma sociale prevalente, ovvero quando l’avversione o la scarsa considerazione nei confronti di chi sostiene tesi scomode (c’è sempre qualcuno che sostiene l’inutilità dello stato, che sono tutti dei parassiti), lascia il posto all’approvazione di chi immagina ed organizza azioni collettive ribelli, è probabile che la tensione tra la paura delle sanzioni dello stato ed il senso di indignazione verso lo stesso appaia risolta dall’efficacia dell’azione collettiva. Solo dopo che l’azione collettiva dimostra la sua efficacia chi è poco propenso al rischio può iniziare ad approvare il comportamento dei partecipanti.
I popoli padani sono indignati ma non hanno vere opportunità di rivolte
Il caso di Sarezzano evidenzia questo meccanismo. Ciò che i migliori indipendentisti dovrebbero chiedersi è se nei popoli padani l’indignazione verso le inefficienze dello stato italiano abbia superato quella soglia oltre la quale le persone potrebbero, laddove si manifestasse, concedere ai movimenti di rivolta contro l’Italia approvazione. Io penso che sia proprio così. Penso che il desiderio di indipendenza sia abbastanza diffuso ed allo stesso tempo diffusa la consapevolezza che la via democratica è ormai, rispetto a questo obiettivo, impraticabile e generatrice di nuove forme di parassitismo. Penso inoltre che il relativo successo di cui ancora gode la Lega Nord presso le persone che in fondo al cuore desiderano l’indipendenza della Padania o del Veneto o di qualsiasi altra regione sia conseguente, come ho già avuto modo di scrivere, alla formazione di una quasi-credenza consolatoria, per la quale l’indipendenza, non essendo stata raggiunta con Bossi, resta un obiettivo generico, desiderabile, ma che non cambia il comportamento delle persone per le quali altri scopi appaiono prioritari.
I popoli padani non si fidano più dei politici
In Padania, in particolare nel Veneto, non si tratta più ormai di indisponibilità alla ribellione contro lo stato da parte di un intero popolo, ma di diffidenza verso i politici che promettono di liberare un popolo se e solo se sarà loro concesso un posto nelle istituzioni italiane.
Gli indipendentisti dimenticano che questa storia, a differenza che in altre parte d’Europa, è stata già vissuta, ed il prodotto di questa storia recente è un diffuso scetticismo, a mio parere più che giustificato. Si scambia lo scetticismo dei Padani verso la politica con una indisponibilità alla lotta contro lo stato italiano, che riguarda invece i promotori, i quali finiscono sempre per fare la comoda scelta del partito, mai quella difficile e rischiosa del movimento. In questo senso i popoli padani non si caratterizzano per un diffuso eccesso di timore verso lo stato, ma per un diffuso disincanto verso le promesse dei loro politici.
Chi veramente ha a cuore il progresso dell’Europa nel senso della libertà dei popoli e degli individui dovrà prima o poi fare i conti, ovvero ammettere che allo stato attuale la spesa per garantire un futuro migliore a noi ed alle generazioni future è alta, proprio perché, fino ad oggi, gli indipendentisti si sono limitati ad investire tutte le proprie speranze nel voto, che non costa veramente nulla.
La messa in scena dell’efficienza da parte dello stato italiano
In una situazione di emergenza come quella di Sarezzano, lo stato italiano è stato immediatamente smascherato nella sua inefficienza. L’inefficienza dello stato relativamente alla tutela della proprietà privata è un fatto ben conosciuto dall’indipendentismo libertario. Si potrebbe recuperare l’analisi delle istituzioni offerta dal sociologo Goffmann per ricordare che l’impegno dello stato volto a garantire un’immagine di efficienza è tale da risultare, alla fine, credibile o, al limite, accettabile.
Nel caso di Sarezzano le dichiarazioni del comandante dei carabinieri vanno appunto in quel senso: la priorità, per il funzionario dello stato italiano, non è che i ladri abbiano smesso, impauriti dalla mobilitazione del paese, di rubare; non è riconoscere che le ronde hanno realizzato un servizio il cui rapporto qualità-prezzo è migliore rispetto a quello offerto dalle forze dell’ordine statali; al prefetto non interessa che un intero paese sia insorto contro i ladri generando un movimento di solidarietà e di giustizia tra compaesani. La prima preoccupazione degli statalisti è utilizzare un singolo banale episodio esaltandone i potenziali pericoli, per poter recuperare credibilità.
La falsa immagine di efficienza conviene alla maggioranza
A Sarezzano, ed in ogni altra località, ed in ogni altro contesto, la maggioranza della popolazione non vuole rischiare. Solo una specifica categoria di persone con determinati tratti caratteriali, gli imprenditori, è mossa da una sopravalutazione del valore dei guadagni sulle perdite (gli esperimenti citati dal sociologo Jon Elster rilevano, al contrario, che in ampissime maggioranze, differenti anche in relazione al ceto sociale, un identico valore di perdita e guadagno viene ricalcolato mediante un rapporto di 2.5 a 1). I promotori ed i primi partecipanti non sono avversi al rischio e sono nelle condizioni di maturare credenze più razionali, inoltre sono motivati da un forte senso di solidarietà, come i bravi imprenditori che, se non ci fosse lo stato, guadagnerebbero tanto denaro perché capiscono come migliorare la vita delle persone.
Ma l’avversione al rischio rende efficaci le dichiarazioni del comandante dei carabinieri, che evocano uno stato di perpetua tensione tra la popolazione e lo stato italiano. Una volta scongiurato il rischio di essere derubati dai ladri, grazie alle ronde, i cittadini che non vogliono rischiare preferiscono recuperare l’equilibrio precedente, che non era determinato dall’efficacia dello stato italiano ma dall’assenza delle bande di ladri. Ma per chi non vuole scegliere tra sopportazione e battaglia, non è importante la razionalità delle credenze, ma la costruzione di credenze ad hoc.
Quando più la disobbedienza è diffusa, tanto più è difficile recuperare i vecchi equilibri
C’è differenza tra una rivolta contro lo stato italiano di un piccolo paese di provincia, ed un ipotetica rivolta degli indipendentisti veneti o di tutta la Padania.
Le contenute dimensioni di un paese possono dar luogo a temporanee ribellioni, anche inizialmente approvate dalla maggioranza, perché promotori e primi partecipanti godono del beneficio della vicinanza che rende più facile l’organizzazione. E’ poi vero che in quel di Sarezzano la popolazione era di fronte ad una emergenza percepita senza la mediazione dei mezzi di comunicazione, direttamente dal racconto di conoscenti e dall’esperienza diretta. Nelle piccole dimensioni è più facile realizzare una azione collettiva di disobbedienza allo stato italiano. Ma è più facile, come si è visto, per lo stato italiano profittare della soluzione del problema per riportare la comunità allo stato di equilibrio iniziale.
Nelle grandi dimensioni, una volta che si è rotto l’equilibrio vantaggioso per i parassiti, per lo stato è molto più difficile recuperarlo perché le rivolte generano nuove opportunità per un numero crescente di persone e riducono, ma mano che cresce la rivolta, il rischio della partecipazione.
Lunghissimo, ma interessantissimo.
Va tutto bene.
Mi chiedo se possa esserci materia per preparare un “manuale del disobbediente civile”.
Cioè se esistono occasioni , frangenti, procedure ed altro che essendo codificati la leggi illiberali possano essere intaccati da un uso metodico e pianificato di comportamenti disobbedienti.
Consigli pratici, comportamenti non ortodossi, o anche illegali ma legittimi che si attuino nei confronti del potere vessatorio.
I comunisti avevano i vari libretti ideologici con norme comportamentali atte a realizzare la rivoluzione bolscevica.
I liberali potrebbero avere di molto meglio, con uno scopo nobile , il più nobile, la libertà individuale.