“Nel giugno del 2014 non volevano mettere neppure la parola flessibilità nel documento finale; nel gennaio 2015 ci hanno dato 18 miliardi di flessibilità e per il 2016 altri 14 miliardi; grazie a un complesso equilibrio abbiamo portato a casa più di 30 miliardi di flessibilità”. Non è la prima volta che Renzi rivendica di aver ottenuto “flessibilità” sui conti pubblici da parte della Commissione europea. Credo sia opportuno ribadire che “flessibilità” significa maggiore deficit di bilancio che, a sua volta, significa maggiore accumulazione di debito pubblico.
Non ci si deve poi meravigliare se ogni mese il debito pubblico segna un massimo storico in termini assoluti e non diminuisce in rapporto al Pil nominale. Renzi e Padoan sono andati avanti per mesi a sostenere che nel 2016 il rapporto tra debito pubblico e Pil avrebbe iniziato a diminuire.
A parte che è curioso notare come un abbassamento di qualche decimale fosse presentato come un risultato eccezionale quando gli stessi decimali sono considerati insignificanti se si tratta di fare più deficit (il richiamo di Renzi al “sogno” europeo contro l’Europa degli “zero virgola” sui conti pubblici è un evergreen), quasi nessuno (tranne nell’entourage renziano) riteneva che il rapporto tra debito e Pil sarebbe realmente diminuito nel 2016.
Con ogni probabilità nei prossimi mesi la previsione di Renzi e Padoan verrà smentita dai fatti, e già immagino che ci verrà detto che è tutta colpa della Brexit. Per carità, non voglio escludere che quell’evento possa avere un impatto negativo sul Pil, ma credo sarebbe fuorviante sostenere che in assenza di Brexit il rapporto sarebbe diminuito.
E questo perché la “flessibilità” non è un pasto gratis e perché a maggior deficit non equivale maggiore Pil in misura proporzionale. D’altra parte solo i keynesiani credono alla storia del moltiplicatore.