di FRANCO MONTANARI
Correva l’anno 1987, gli Usa erano presieduti da un certo Ronald Reagan, Hollywood non era ancora totalmente ammorbata dai vaneggiamenti woke e in quella parte di mondo libero si celebrava ancora il capitalismo.
Nello stesso anno, esce nelle sale Wall Street, di Oliver Stone, spaccato sugli ambienti dell’alta finanza newyorchese. Aggiotaggio, insider trading, manipolazione dei mercati erano all’ordine del giorno e in questa giungla di colletti bianchi spadroneggiava il protagonista del film, Gordon Gekko – un Michael Douglas in gran forma, in una delle sue migliori interpretazioni.
Gekko ne ha per tutti: dai “laureati di Howard (pseudonimo riferito ad Harvard)” che “non valgono un cazzo” perché in quel mondo serve “gente povera, furba e affamata” e se hai bisogno di un amico “prendi un cane”; spiegava il perché smembrare una compagnia per poi metterla sul mercato “è tutta una questione di soldi, il resto è conversazione”; dopodiché il memorabile messaggio in codice per movimentare un titolo e fare un po’ di pump and dump “ferro azzurro ama Anacot acciaio”.
Erano i ruggenti anni ’80: belli, liberi, patinati, edonistici.
Ma è un altro il passaggio del film, a mio avviso leggendario: Gekko partecipa ad un’assemblea degli azioni della Teldar carta, una compagnia cartaria a cui ha lanciato un’Opa; il board dell’azienda in questione cerca di screditare l’immagine di Gekko di fronte alla platea di azionisti nel tentativo di convincerli a non cedere le loro quote così da neutralizzare l’Opa. Ma Gekko ne esce vincitore tra gli applausi, e la parte finale del suo discorso è un’ode al capitalismo:
- “Il punto è, signori e signore, che l’avidità, non trovo un termine migliore, è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo; l’avidità, in tutte le sue forme… l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro ha improntato lo slancio in avanti di tutta l’umanità… e l’avidità, ascoltatemi bene, non salverà solo la Teldar carta, ma anche l’altra disfunzionale società che ha nome America”.
Donald Trump, si è affermato negli stessi anni come imprenditore, negli stessi ambienti e ne è uscito sempre vincitore. Se c’è una personalità che incarna lo “spirito evolutivo” di quegli anni questa è la sua; allora, non rimane che augurare a lui e al suo governo che l’America torni ad essere sì grande, ma soprattutto avida.