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Dopo il referendum scozzese anche le nazioni celtiche scalpitano

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unionjackdi REDAZIONE

Il referendum per l’indipendenza scozzese del 18 settembre ha cambiato in maniera profonda il Regno Unito. Benché sia stato il fronte del No a vincere, il risultato è destinato ad avere effetti sismici non solo in Scozia, ma in tutto il paese.

Nei fatti, il voto contro l’indipendenza significa che l’Unione inaugurata 307 anni fa sopravvive: il regno che si temeva andasse in pezzi è stato ri-unito. Eppure il risultato ha aperto, più che risolto, questioni cruciali sul futuro del paese. Nelle ultime settimane di campagna, in un quasi disperato tentativo di arrestare l’ascesa del fronte pro indipendenza, i tre partiti principali (conservatori, laburisti e liberaldemocratici), uniti nel gruppo Better Together, avevano promesso che, in caso di vittoria del No, sarebbero stati concessi ulteriori poteri al parlamento di Edimburgo.

La cosiddetta Devolution-max dovrà dunque essere implementata in tempi piuttosto brevi, anche se non è ancora ben chiaro come e in che termini. Questo significa che la questione scozzese non scomparirà dall’agenda in seguito alla sconfitta degli indipendentisti. E non solo. Le «nazioni celtiche» (Galles, Cornovaglia e in qualche misura anche Irlanda del Nord) cercheranno sicuramente di utilizzare questa situazione a proprio favore, per ottenere ulteriori (o nuove, nel caso della Cornovaglia) forme di potere decentrato.

Ma questa volta anche l’Inghilterra – «l’ospite silenzioso e non invitato al party del decentramento», come definita da Chen e Wright – inizierà a far sentire la propria voce. Il risultato scozzese, infatti, rimette al centro del dibattito la questione inglese, ovvero l’esclusione della più grande e popolosa nazione del Regno Unito dal processo di decentramento politico iniziato dal New Labour di Tony Blair nel 1997 e culminato col referendum del 18 settembre.

Alle 7 del mattino del 19 settembre, il primo ministro conservatore David Cameron ha parlato (per la prima volta dalla sua elezione nel 2010) della necessità di affrontare la questione inglese, dichiarando: «Credo da molto tempo che una delle componenti cruciali non sia ancora stata affrontata nel dibattito (sul futuro del Regno Unito n.d.r.) e sia l’Inghilterra. Abbiamo ascoltato la voce della Scozia – ora è tempo che anche le milioni di voci dell’Inghilterra vengano ascoltate».

Questa è la prima pagina dell’articolo di Limes “Yorkshire first! Londra scopre la questione inglese”.
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