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Dopo la caduta del muro, l’indipendenza è l’evento politico più progressista

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muro berlinodi PAOLO PAMINI* 

La fiamma dell’indipendentismo che si è accesa in questi anni in tutta Europa è sicuramente l’evento politico più progressista degli ultimi decenni, dopo il crollo del comunismo. Si tratta in verità di una grande speranza per chiunque abbia a cuore finanze pubbliche sane, apertura internazionale, Stati più snelli e a misura d’uomo, e di principio un maggior rispetto della libertà ed iniziativa privata. Tutto ciò a prescindere dal recente voto scozzese, si pensi solo alle tendenze in Catalogna, Veneto, Fiandre, e forse presto anche alla Lombardia.

Perché mai una secessione dovrebbe rappresentare un evento di libertà? Svizzeri e statunitensi dovrebbero saperlo bene, derivando la loro nascita e successo proprio dalla secessione da Asburgo e inglesi. In generale, si tratta della garanzia che le catene del rapporto politico, che si manifesta in primis nella tassazione e nella regolamentazione dei sudditi, possono dopotutto essere rotte. Come dire che davvero l’autonomia del singolo vince la dominazione statale, o perlomeno pretende un po’ di contenimento. È pertanto naturale che tutte le rivoluzioni abbiano sempre trovato le proprie radici in rivolte fiscali. Alla domanda cruciale della filosofia politica su come vada posto un corsetto allo Stato, la risposta storica sono state le costituzioni (Locke e poi USA) oppure la divisione dei poteri (Montesquieu e poi il parlamentarismo monarchico o repubblicano). Alla luce di oltre 200 anni di esperienze pratiche, sappiamo che si è purtroppo trattato di pie illusioni. L’unico effettivo freno alla bulimia della finanza pubblica è stata, dove presente, la concorrenza istituzionale che ha permesso ai sudditi di votare coi piedi scappando dalle giurisdizioni predatorie verso lidi più rispettosi. Ecco anche svelato l’arcano del successo di casa nostra: i politici (comunali o cantonali) svizzeri non sono persone migliori, ma semplicemente disciplinati dalla concorrenza, in primis fiscale, del comune e cantone vicino. Lasciamoli colludere ed il giocattolo si rompe anche qui, come sta rischiando di succedere.

Coerentemente con i ritmi dei tempi storici, in Europa il pendolo oscilla ora di nuovo verso la voglia di maggiore autodeterminazione locale. Ricordiamo che il miracolo europeo sorse proprio dall’ordine policentrico medievale, al contrario dei grandi imperi asiatici poi collassati su loro stessi. Il peso crescente di finanze pubbliche insostenibili acuisce la percezione dell’ingiusta ripartizione di risorse fiscali verso la capitale politica, dalla Catalogna a Madrid, dalle Fiandre a Bruxelles, da Veneto e Lombardia a Roma. La grande recessione di sei anni fa e i conseguenti aiuti all’economia hanno peraltro solo accelerato i tempi segnati dalla non finanziabilità dei moderni stati sociali, permettendo forse di anticipare di 10 anni l’inevitabile. Piccoli Stati sono forieri di rigore finanziario e maggiore apertura per il semplice fatto che non possono fare altrimenti. Chi immagina la vita in una Monte Carlo con autarchia alimentare ed industriale, protetta da altissimi dazi? Inoltre, il clientelismo politico ha poche rendite da procacciarsi in piccole realtà istituzionali, a tutto beneficio di imprese e salariati che veramente producono ricchezza. Inoltre, se davvero (come preannuncia) l’UE non avrà voglia di accogliere i nuovi Stati, sarà l’occasione d’oro per rilanciare l’ALS, che non ha mai avuto l’ambizione di diventare uno Stato federale continentale ma solo di facilitare l’integrazione economica.

La grande domanda cui solo la storia saprà dare risposta è se la transizione verso un’Europa policentrica fatta di tanti Stati regionali sarà pacifica o violenta. Il rischio potrebbe arrivare dai grossi Stati nazionali, determinati a mantenere il controllo sulle migliori vacche da latte, ma a che prezzo e con che legittimità? E soprattutto con quali soldi? La letteratura economica empirica sui conflitti civili sembra indicare che questi diminuiscano con l’aumentare del benessere economico. Inoltre, a cento anni dalla mattanza della Grande Guerra e settanta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, chi in Europa vuole veramente ripetere quelle esperienze, ora che l’autodeterminazione dei popoli è peraltro in teoria un principio acquisito?

*AreaLiberale e Liberales Institut

Tratto da “Il Corriere del Ticino”

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