di MATTEO CORSINI
Il rapporto Draghi sulla competitività dell’Unione europea è stato pubblicato da un mese, e da allora è citato pressoché in ogni articolo o intervento che riguarda le vicende comunitarie. Prima era stato il turno del rapporto Letta.
Non è affatto improbabile che l’unico utilizzo di questi rapporti consista nel fornire materiale per articoli e convegni, il che non è detto che sia un male, peraltro. Fatto sta che se si vuole perorare la causa di un rafforzamento delle decisioni e delle basate a Bruxelles, citare il rapporto Draghi è un must, in questo periodo.
Lo fanno Riccardo Rovelli e Andrea Tilche dell’Università di Bologna, in un articolo che riguarda la strategia che la Ue dovrebbe darsi per favorire il passaggio all’auto elettrica. Gli autori ricordano che il rapporto Draghi “sottolinea che la transizione energetica, se gestita con intelligenza e tempestività, è soprattutto un’opportunità per la crescita – tutto il contrario che perseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione, come recita un recente ma fuorviante slogan”.
E qui c’è un primo problema: dato che nessuno ha la sfera di cristallo, è abbastanza sterile parlare di “intelligenza e tempestività”, mentre è molto più concreto il rischio di deindustrializzazione nel settore auto, dove non si può pensare che la transizione a tappe forzate sarà indolore, a maggior ragione considerando che per la produzione di batterie l’autosufficienza europea è un miraggio e la dipendenza dalla Cina molto più che un’ipotesi.
Rovelli e Tilche pare ne siano consapevoli, osservando che la transizione “comporta una trasformazione radicale dell’intera economia. E né le politiche adottate finora né gli stimoli del mercato sarebbero sufficienti a completarla. È necessario attuare un rilevante e complesso piano di investimenti privati e pubblici, indirizzati da politiche industriali ben mirate. Finora, gli sforzi in questa direzione sono stati troppo frammentari. Sarà la nuova Commissione, con il contributo del Rapporto Draghi e la collaborazione attiva dei Paesi, a dover attuare un piano industriale concreto per accelerare la rivoluzione industriale verde”.
In sostanza, dato che il mercato non va nella direzione auspicata e i singoli Stati non risolvono il problema, avanti con l’approccio eurosovietico. Il dato di fatto è che “l’industria europea sta infatti perdendo competitività sia sul mercato interno che su quelli di esportazione”. Il che è indubbiamente vero, ma ciò non è indipendente dalle scelte del tutto ideologiche del Green Deal. E i nostri prendono atto che in Italia le auto a batteria sono ancor meno popolari che nel resto del Vecchio Continente, dato che “la quota di mercato delle auto full-electric o plug-in in Italia è ferma all’8,6%, molto al di sotto della media europea del 23,4 per cento”.
Ma guai ad avere ripensamenti, perché l’auto elettrica “ha vantaggi significativi in termini di emissioni, di efficienza energetica e di prestazioni, ed il Rapporto Draghi conferma che è la tecnologia dominante per la decarbonizzazione del settore. Non è una versione migliorata dell’auto tradizionale, ma un prodotto nuovo, integrato con tecnologie digitali avanzate, e che verrà sempre più valorizzato da questa integrazione”.
Sul fatto che si tratti di un prodotto diverso dall’auto tradizionale sono d’accordo. Infatti si tratta di un elettrodomestico con le ruote. Quanto alle prestazioni, la realtà è che le auto elettriche hanno generalmente una buona accelerazione, peraltro quasi mai sfruttata da chi le guida per evitare di consumare batteria e ridurre ulteriormente la già scarsa autonomia. Che si tratti della tecnologia dominante per la decarbonizzazione, poi, è dovuto alla sostanziale scelta politica di renderla, di fatto, l’unica tecnologia per ridurre le emissioni.
Secondo Rovelli e Tilche, sarebbe “anacronistico e dannoso qualsiasi tentativo di ritardare ulteriormente l’introduzione di veicoli a zero emissioni. Un po’ come sarebbe stato, a suo tempo, opporsi alla diffusione degli smartphone in nome dei telefoni cordless o delle cabine telefoniche”. E qui c’è un altro enorme problema: la diffusione degli smartphone non fu imposta da nessun governo. Fu l’ultima innovazione della Apple sotto la guida di Steve Jobs, che propose Iphone al mercato, senza obbligare nessuno a comprarlo, né dovendo contare su sussidi statali ai compratori, nonostante il prezzo fosse di gran lunga superiore a quello di un telefono non smart. La concoreenza fece poi il resto, con una proliferazione di modelli per tutti i gusti e tutte le tasche.
Con l’auto elettrica, al contrario, non c’è la fila alla presentazione dei nuovi modelli per prenotarli, e non solo per una questione di prezzo. Ma per i nostri, qualunque passo indietro sull’elettrico sarebbe un ritorno al passato: “Quanti posti di lavoro si salverebbero davvero, e per quanto tempo, coltivando le tecnologie del passato? In verità non c’è alcuna strategia (e neppure una seria diagnosi) dietro queste richieste. E ogni ulteriore ritardo aggraverebbe ulteriormente la perdita di competitività dell’industria europea rispetto ai concorrenti che hanno già investito pesantemente nella mobilità elettrica”.
Sembra quasi che l’industria automobilistica sia ferma ai tempi di Henry Ford, mentre in realtà ha continuato a sviluppare innovazioni (anche non sempre piacevoli, dal mio punto di vista) e continuerebbe a farlo, se non fosse forzata a investire nell’elettrico.
Quanto ai concorrenti, si tratta in realtà di Tesla, che ha basato per lungo tempo i suoi ricavi sulla vendita di crediti di emissione ai concorrenti “tradizionali” e che sta subendo pesantemente la concorrenza cinese, e per l’appunto delle case cinesi. Le quali hanno beneficiato di materie prime a basso costo e cospicui incentivi statali in un regime ampiamente dirigista che ha stabilito di andare in quella direzione senza peraltro il fervore ideoloogico dei nostri Timmermans.
Quindi che fare? Sull’elettrificazione, secondo i nostri, l’Ue “deve subito adottare una strategia coordinata a livello continentale. Il Rapporto Draghi osserva che «la spinta a una rapida penetrazione di mercato delle auto elettriche non è stata seguita, nell’Ue, da una contemporanea spinta per la conversione delle catene produttive». Poiché sull’industria dell’auto ormai convergono diverse altre catene del valore, è necessario un approccio coordinato e multidimensionale, che coordini sugli stessi obiettivi la ricerca e l’innovazione, l’economia digitale e la manifattura, l’industria dei componenti e quelle dei minerali grezzi e del riciclo, e naturalmente le politiche dell’energia, dell’economia circolare e della mobilità. Questo consentirà di sfruttare tutte le potenzialità dell’auto elettrica come prodotto nuovo, totalmente integrato con le nuove tecnologie. Una strategia che è stata adottata in Cina sin dal 2012. Solo l’Unione Europea può attivare questa visione d’insieme e coordinare le politiche necessarie, in modi che garantiscano certezze agli operatori e che supportino l’adozione di standard comuni”.
La Cina come modello decisionale, insomma. Un posto dove il coordinamento è assicurato dal fatto che a decidere è, in ultima analisi, una persona per 1,4 miliardi di individui. Restando all’Italia, ecco i suggerimento per un “buon governo”.
“1. Riformulare (e rendere permanenti) incentivi smart, che favoriscano formule di noleggio e di finanziamento per ridurre il peso dei costi iniziali.”
Due problemi:
1) si tratterebbe di incentivare un mercato di massa, il che è garanzia, alternativamente, di inefficacia o insostenibilità per le casse dello Stato (ossia per i pagatori di tasse);
2) il tutto per passaggio dell’auto da bene di proprietà a bene noleggiato.
“2. Ridurre il costo dell’elettricità, e per questo aumentare la produzione di rinnovabili e gli stoccaggi. E riformare il mercato dell’energia, per disaccoppiarne il prezzo da quello del gas (che oggi ne determina il prezzo nel 95% dei casi)”.
Tutto molto bello, con il solito problema che non è realistico vivere di sole rinnovabili.
“3. Razionalizzare rete e mercato delle ricariche: le colonnine sono pressocché assenti al Sud e quasi ovunque hanno prezzi stratosferici: in Germania una ricarica pubblica costa mediamente 0,074 euro /kWh. In Italia, almeno 10 volte di più””
Anche con una colonnina ogni 500 metri, la gran parte dei problemi delle auto elettriche permarrebbero.
“4. Attirare produttori che non solo assemblino, ma producano in Italia auto elettriche nei segmenti «compatti»”.
Suppongo che non sarebbe un pasto gratis per i pagatori di tasse italiani “attirare” case automobilistiche estere (cinesi?) a produrre in Italia. Né dovendole sussidiare, né se fosse un modo per evitare dazi da parte loro, dato che a ogni dazio di solito ne corrisponde uno da parte del Paese che lo subisce, con inevitabile costo a carico dei consumatori.
“La decarbonizzazione, anche nel comparto dell’auto, può davvero essere un’opportunità – ma va perseguita con coerenza e determinazione.” Un’opportunità per qualcuno, un costo per altri. Se fosse davvero un’opportunità di mercato non ci sarebbe bisogni di invocare un approccio centralista e dirigista.