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Ecco il 182° segnale della ripresa: in 5 anni, 104 miliardi di tasse in più

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Senato - Fiducia governo Renzidi LUIGI CORTINOVIS

A fronte della propaganda a cui fanno riferimento i media del regime democratico e filo-governativo, c’è sempre una qualche contropartita critica, che se i grandi mezzi di comunicazione cercano di nascondere, il Web riporta alla luce. 

Una delle ultime barzellette di Renzi, lanciata un paio di settimane fa – e ripetuta di quando in quando nei talk show televisivi dagli scherani di governo – è che il governo abbasserà le tasse di 45 miliardi. Una promessa del presidente del consiglio, l’ennesima. Tagliamo corto: sarà davvero così?

Intanto, partiamo da una considerazione: come nella migliore tradizione dei governi italiani tutti, la spesa pubblica non solo aumenta, ma è diventata praticamente incomprimibile. E persino il tetto del 3% (ce lo chiede l’Europa) è difficilmente rispettabile, dato che le coperture inserite nei bilanci dello Stato sono “aleatorie”, quando non ridicole. Ergo, dove vanno a prendere i soldi i governanti? Dove sono sempre andati a prenderli, dalle tasse!

Come scritto dal presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, proprio qualche giorno dopo gli annunci trionfali di Matteo Renzi, dal 2015 al 2019 le entrate tributarie dello Stato cresceranno costantemente e arriveranno fino agli 881 miliardi del 2019. Complessivamente nel prossimo quinquennio i contribuenti italiani dovranno versare nelle casse pubbliche 104,1 miliardi in più rispetto allo scorso anno (+13%). Sulle imposte dirette e indirette – principalmente Irpef, Ires e Iva – ci sarà una stretta da quasi 80 miliardi. E la pressione fiscale salirà oltre il 44% (dato del tutto inverosimile, considerato che non considera il total tax rat). Il bilancio statale, che tradotto significa il mantenimento dei parassiti e dei patetici servizi pubblici, non sarà sforbiciato: le uscite cresceranno di quasi 38 miliardi (+4%) e sono stati sterilizzati gli investimenti pubblici, che resteranno stabili attorno ai 60 miliardi l’anno. Riprendiamo dallo studio.

GIRO DI VITE SU IRPEF, IRES E IVA DI 79,4 MILIARDI

Secondo l’analisi dell’associazione, basata sul Documento di economia e finanza (Def) approvato il 10 aprile dal consiglio dei ministri, nel 2015 le entrate tributarie e previdenziali saliranno a quota 785,9 miliardi dai 777,2 miliardi del 2014; nel 2016 cresceranno ancora a 818,6 miliardi e poi a 840,8 miliardi nel 2017; nel 2018 e nel 2019 arriveranno rispettivamente a 863,2 miliardi e a 881,2 miliardi. Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento di 104,01 miliardi (+13,38%). Aumenteranno sia le entrate tributarie sia quelle derivante dai cosiddetti contributi sociali (previdenza e assistenza). Per quanto riguarda le entrate tributarie l’aumento interesserà sia le imposte dirette (come quelle sui redditi di persone e società, a esempio Irpef e Ires) sia le imposte indirette (tra cui l’Iva): le imposte dirette cresceranno in totale di 34,2 miliardi (+14,43%) mentre le indirette subiranno un incremento di 45,5 miliardi (+18,43%). Il sostanziale giro di vite su Irpef, Ires e Iva sarà pari a 79,4 miliardi (+16,36%). I versamenti relativi alla previdenza e all’assistenza cresceranno dal 2015 al 2019 di 22,02 miliardi (+10,18%).

PRESSIONE FISCALE STABILE SOPRA IL 44%, PIL TIMIDO

tasse-spesa-5-anniL’incremento delle entrate tributarie e di quelle contributive farà inevitabilmente salire la pressione fiscale. Nello stesso Def, il peso delle tasse rispetto al pil è infatti previsto in aumento: quest’anno si attesterà al 43,5% (stesso livello del 2014), nel 2016 e nel 2017 salirà al 44,1%, nel 2018 si fermerà al 44% per poi calare leggermente al 43,7% nel 2019. Nello stesso arco di tempo, la crescita economia, stando alle previsioni del governo, sarà timida: il pil non farà scatti in avanti significativi ed è infatti dato in aumento dello 0,7% nel 2015, dell’1,4% nel 2016, dell’1,5% nel 2017, dell’1,4% nel 2018 e dell’1,3% nel 2019.

BILANCIO STATALE SU DI 37 MILIARDI: BRUCIATO IL TESORETTO SPREAD DA 7,5 MILIARDI

Nessun intervento rigoroso sul bilancio statale: le uscite saliranno costantemente rispetto agli 826,2 miliardi del consuntivo 2014. Nel 2015 saliranno a 827,1 miliardi, nel 2016 a 842,1 miliardi, nel 2017 a 844,6 miliardi, nel 2018 a 854,4 miliardi e nel 2019 a 864,1 miliardi. Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento della spesa pubblica pari a 37,8 miliardi (+4,58%). L’incremento è legato esclusivamente alle uscite correnti (acquisti, appalti, stipendi) che, nel quinquennio, aumenteranno di 44,6 miliardi (+6,45%). In diminuzione, invece, la spesa per interessi sul servizio del debito che beneficerà verosimilmente della riduzione del divario di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi: il tesoretto legato allo spread sarà pari a 7,5 miliardi tra il 2015 e il 2019 (-10,03%), ma verrà di fatto bruciato dagli aumenti delle altre voci di spesa, piene di sprechi non toccati. Resta invariata, invece, la voce “uscite in conto capitale”, che corrisponde agli investimenti pubblici, stabile attorno a circa 60 miliardi l’anno: nel quinquennio si registrerà un lievissimo incremento pari a 724 milioni (+1,23%).

Contenti? Dopo aver creduto alle panzane raccontate da Mario Monti, ci auguriamo che non crediate alle belinate buttate lì da Renzi.

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1 COMMENT

  1. Occorre sempre ricordare che la crisi italiana non è nata nel 2007 per il fallimento della Lehman Borthers e neppure nel 2002 con l’entrata nell’Euro (da allora il Pil non è più cresciuto) ma nel lontano 1992 con il governo tecnico Amato-Ciampi che impose un aumento considerevole della tassazione al punto tale che Berlusconi nel 1994 promettendo un calo della tassazione (mai avvenuto…) vinse le elezioni.
    Pertanto il decantato taglio delle tasse promesso berlusconianamente da Renzi dovrebbe essere di portata tale da riportare il livello di tassazione ai livelli ante 1992 rapportati alla crescita (o decrescita ) del PIl.
    Visti i livelli di spesa pubblica la missione è semplicemente impossibile, al massimo ci sarà qualche taglio di decimo di percentuale compensati da aumenti in altri campi (tasse locali, ecc) o del debito pubblico.

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