Tra gli emendamenti al pacchetto legge sulla riforma della pubblica amministrazione (cosiddetta “Legge Madia”) fa capolino una norma [1] che vuol salvare gli amministratori locali dalle conseguenze della loro “mala gestio”. Insomma, una sorta di sanatoria o di salvacondotto per chi ha operato scelte assennate e spese pazze. In pratica la legge delega chiede al Governo di rafforzare “il principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione anche attraverso l’esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo-contabile per l’attività gestionale”. In pratica, e detto in parole molto semplici, si vorrebbe accordare ai dirigenti della politica locale una completa autonomia di scelta, non sindacabile neanche dai giudici contabili (Consiglio di Stato): essi, pertanto, sarebbero difficilmente passibili di responsabilità per danno erariale, né potrebbero essere facilmente condannati a restituire, al bilancio pubblico, i soldi persi a causa del danno.
Insomma, una cosa è il “politico”, un’altra è il semplice “dirigente”. Il primo, in quanto tale, poiché tenuto a scelte più delicate, difficili e di indirizzo, non dovrebbe – secondo l’emendamento – quasi mai rispondere delle sue decisioni. Tutto ruota intorno al concetto di “attività gestionale” sul quale si vuol costruire il salvacondotto per i politici e i paletti di insindacabilità. Potrebbe trattarsi – salvo conferma dei successivi decreti attuativi – dei contratti decentrati, della firma di accordi in cui si sforano i parametri di legge, delle nomine fuori regola, delle assunzioni illegittime, dei ripiani eccessivi delle perdite nelle partecipate?
In verità, la giurisprudenza già riconosce l’applicazione della cosiddetta “esimente politica” ossia l’esclusione dalla responsabilità per i politici a causa delle scelte che sono il frutto diretto del loro ruolo. Con l’emendamento in commento si vorrebbe però sottolineare, ancora di più, l’indipendenza dei politici e la loro separazione dai dirigenti.