di PIETRO AGRIESTI
Ci sono tanti modi in cui lo Stato può intervenire per favorire alcune imprese rispetto ad altre. Molti di questi li vediamo continuamente all’opera anche oggi in Italia, propagandati di volta in volta dai politici di destra e sinistra come altrettanti modi di favorire i prodotti italiani, di essere vicini ai lavoratori, di salvare marchi storici, di mantenere italiane aziende “strategiche” e così via.
Alla politica e all’apparato statale piace esercitare il proprio potere, e non si fanno scappare un’occasione. Stranamente, a un libero mercato preferiscono un’economia gestita dallo Stato (Che sono “Loro” e non siamo “Noi”). E le occasioni non mancano mai, perché di aziende fallite o di gente il cui posto di lavoro è a rischio da salvare ce n’è sempre e sempre di più dopo ogni intervento statale.
È così che lentamente un paese vede salire a livelli mostruosi la spesa pubblica, il debito, le tasse, il numero di leggi e norme, le dimensioni dell’apparato statale, le persone che lavorano per lo Stato e con lo Stato, la corruzione, etc… ed è così che l’economia si scassa, la disoccupazione cresce, il clima sociale peggiora, e politici ancora peggiori di quelli di prima prendono il potere sull’onda del malcontento popolare.
È così che rinasce lo Stato totalitario oggi, nelle democrazie occidentali. Mentre gli antifascisti se la prendono con i disadattati che vanno a Predappio, e intanto appoggiano la crescita senza controllo dello Stato, senza rendersi conto che la caratteristica principale del fascismo non era la passione per i vestiti neri, ma l’edificazione di uno Stato totalitario, secondo il motto socialista mussoliniano “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”.
Ma tornando allo Stato che aiuta le imprese: spesso lo fa dipingendosi come un nobile cavaliere che salva dalle fauci del drago-mercato le vittime che stanno per essere sbranate, le aziende che stanno per fallire, i lavoratori che perderebbero il posto, le imprese italiane che sarebbero comprate da quelle straniere, i consumatori che verrebbero sfruttati dai capitalisti cattivi. Eppure il vero effetto di questi interventi è quello di sfavorire tutti: imprese, lavoratori, consumatori, disoccupati..
Tasse, regolamentazioni, permessi, tariffe, sussidi, sono altrettante barriere all’ingresso che impediscono a nuovi imprenditori di farsi avanti, alzando un recinto intorno a quelli che si sono già insediati. Al contrario in un mercato poco regolato le barriere d’ingresso sono basse, nascono e muoiono moltissime aziende, vi è continua richiesta di lavoratori, vi sono moltissimi investimenti.
Questo fa sì che basti avere delle buone idee e avendole anche un piccolo gruppo di persone potrà costruire un’impresa capace di fare miliardi soddisfacendo un’infinità di consumatori. Fa sì che sia molto facile trovare lavoro: ed è così che senza nessuna legge sul salario minimo, gli orari di lavoro, le pause garantite, etc… i dipendenti possono ottenere buone condizioni di lavoro e buoni stipendi. Semplicemente perché il fatto di avere alternative dà loro potere contrattuale e gli permette di lasciare il proprio posto se ne sono insoddisfatti, e di cercare il posto in cui stanno meglio, e che più si confà alle loro esigenze di vita.
Le tasse, le regolamentazioni e le protezioni statali, limitando il numero di imprese nel mercato, danneggiano irreparabilmente le condizioni dei lavoratori. Hanno meno potere contrattuale, e sono costretti ad accettare condizioni peggiori. Ci sono meno posti a disposizione, viene assorbito meno lavoro, la concorrenza fra imprese è ridotta e perciò le imprese possono offrire condizioni peggiori, pagare di meno e trattare peggio i dipendenti, perché tanto questi non hanno grandi alternative.
Ma non basta, perché ogni lavoratore è anche un consumatore e in quanto consumatore viene ulteriormente danneggiato dall’assenza di concorrenza: si troverà prodotti e servizi peggiori a prezzi più alti e aziende meno sensibili alle sue esigenze.
Limitando la possibilità del consumatore di scegliere fra diverse aziende, si limita la sua forza di regolare il mercato attraverso l’esercizio delle proprie preferenze. È in un mercato vivace e innovativo che il consumatore è forte e che per servirlo si sviluppano tutti quegli strumenti che servono a far sì che i suoi acquisti siano critici e consapevoli, aiutandolo a farsi un’idea dei vari prodotti, a confrontarli, a compararne i prezzi, a raccogliere i feedback di chi li ha già provati, etc… Dove il mercato è in coma, anche i consumatori finiscono per essere privi di strumenti.
E non è tutto, perché prive della spinta al miglioramento che viene loro dai concorrenti, dai lavoratori dotati di potere contrattuale, dal feedback continuo da parte di consumatori agguerriti e consapevoli, le stesse imprese protette restano meno efficienti, più lente nell’investire, nell’innovare, nel fare ricerca, e sempre meno capaci di competere al di fuori del recinto che “le protegge”, e quindi meno capaci per esempio di uscire dal paese e andare sui mercati esteri.
Si impoveriscono così anche i risparmiatori e gli investitori, dai singoli individui ai fondi d’investimento, che si ritrovano con meno imprese in cui investire, meno imprese quotate in borsa o imprese quotate ma più scadenti.
E mentre i costi di tutto l’apparato necessario per produrre e cercare di far rispettare le norme, pesano su tutti i cittadini, imprenditori, lavoratori, consumatori, o disoccupati che siano, l’incertezza (la precarietà!) regna sovrana, dovendo tutti vivere esposti all’incertezza dovuta a possibili nuovi interventi politici, di un segno o dell’altro.
Impoverendo le persone, tarpandogli le ali, e ostacolandone la vita, gli Stati ne impoveriscono le relazioni: sul piano economico possiamo dire che peggiorano le relazioni fra dipendenti, datori di lavoro, consumatori, investitori o che ne abbassano artificialmente le preferenze temporali… ma in definitiva sono semplicemente tutte le relazioni umane e tutte le istituzioni sociali di cui si compone una società a risultare deteriorate dallo statalismo. Non è solo il benessere materiale ad esserne compromesso, è la qualità della vita nel suo senso più ampio.
Lo Stato totalitario, avanza, invade, irreggimenta, pianifica, gestisce, controlla, comanda, facendo di tutto per azzerare la libertà personale, rovinando il tessuto sociale, e intanto presentandosi come la soluzione di ogni male, chiedendo sempre più soldi, rivendicando sempre più compiti, mettendo sempre più regole e diffondendo in modo paranoico la paura di quel che potrebbe accadere se non intervenisse lui.
E chi fa propria quella paura e arriva a credere che non ci sia niente di più pericoloso della libertà, ecco, quello sì che è un fascista fatto e finito.