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Efficientismo vs paternalismo, ovvero il male vs il peggio

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paternalismo-occhiutodi MATTEO CORSINI

“Heather Boushey, consigliere economico della candidata alla presidenza Hillary Clinton… vuole che le aziende concedano obbligatoriamente congedi parentali pagati a tutti i dipendenti, sia maschi, sia femmine”. Comincia così un post di Noah Smith su BloombergView, nel quale mette a confronto due alternative: da un lato i congedi parentali obbligatori per uomini e donne; dall’altro un credito di imposta o un contributo in denaro alla nascita di un figlio.

Dirò subito che, a mio parere, lo Stato non dovrebbe tassare nessuno, quindi non concedere crediti di imposta per questo o quel motivo, men che meno fornire contributi in denaro o, peggio ancora, imporre congedi parentali. Ma in questa sede mi interessa soffermarmi sulle considerazioni che spingono Smith a preferire i congedi parentali obbligatori (una soluzione da welfare europeo).

Dare denaro è la soluzione preferita di molti economisti, perché non comporta dire alla gente come deve spendere il denaro. E questo spesso ha perfettamente senso. Ma in questo caso vedo due ragioni per cui i congedi parentali sono probabilmente meglio del denaro. Il primo è che i congedi parentali obbligatori tendono a distorcere meno l’economia. Per dare denaro alla gente, devi riscuotere tasse (o indebitarti)”. Secondo Smith (che cita uno studio un po’ datato di Larry Summers) imporre alle aziende di pagare i congedi parentali costa meno, perché in diversi casi fa già parte dei pacchetti retributivi. Ora, c’è un problema.

Se quello che era un benefit diventa un diritto per tutti, chi ha potere contrattuale otterrà con ogni probabilità altri benefit, con ciò eludendo l’argomentazione di Smith (e Summers). A parità di altre condizioni, i profitti di un’azienda diminuiscono, e così il gettito fiscale. Quindi, se lo Stato vuole mantenere invariata la spesa pubblica, o si indebita, oppure aumenta le tasse. Direi che l’opzione del contributo in denaro ha effetti fiscali più evidenti, ma non necessariamente inferiori. Siamo in un caso di ciò che si vede e ciò che non si vede, per richiamare Bastiat.

Ma vedo una ragione ancora più profonda per preferire i congedi parentali obbligatori. In questo caso, ci sono buone ragioni perché lo Stato incentivi la gente a dedicare più tempo alla famiglia”. E qui Smith cade nel paternalismo, nell’idea per cui lo Stato debba decidere al posto degli individui cosa è giusto che facciano, per il loro stesso bene e per quello dei loro figli. Smith giustifica il proprio punto di vista citando studi dai quali si evincerebbe che se un padre ha un congedo parentale obbligatorio dedica più tempo ai figli (e meno male che qualcuno ha fatto una ricerca accademica per arrivare a tale conclusione!), oltre al fatto che quando un padre svolge il suo ruolo di genitore i bambini tendono ad avere un migliore sviluppo cognitivo. Una conclusione, quest’ultima, che appare di buon senso, ancorché politicamente scorrettissima in un periodo in cui sostenere che il ruolo di padre e quello di madre sono complementari rende immediatamente destinatari degli anatemi di chi grida alla discriminazione nei confronti degli omosessuali.

Quindi anche se i congedi parentali potrebbero essere economicamente più efficienti dei contributi in denaro, c’è una ragione più profonda per preferirli. Per troppo tempo i dibattiti di politica economica sono stati filtrati unicamente attraverso il prisma dell’efficienza”. E’ condivisibile la critica all’efficientismo nei dibattiti economici, non fosse altro per il fatto che le utilità individuali non sono quantificabili, men che meno lo sono quelle collettive. Questo, peraltro, non sembra essere il motivo di critica da parte di Smith. Il quale, se possibile, peggiora le cose. Perché tra efficientismo e paternalismo non so cosa sia peggio (non mi meraviglierei, tra l’altro, se per coerenza Smith auspicasse l’introduzione di controlli e sanzioni per verificare che, effettivamente, chi è in congedo parentale faccia ciò che lo Stato ritiene giusto fare).

Di sicuro, in entrambi i casi lo Stato pretende di sostituirsi ai privati nel prendere decisioni su cosa fare e come utilizzare le risorse, violando i diritti di proprietà. Poco importa se, almeno a parole, a fin di bene. Quando qualcuno parla di coercizione a fin di bene è sempre motivo di allarme.

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