Le urne sono chiuse, i risultati sono dati e, in Veneto, il lumicino indipendentista è comunque acceso. In termini di voti, tra “Indipendenza Veneta” e “Indipendenza noi Veneto” (in entrambe le liste erano candidati dei genuini indipendentisti), sono stati raccolti poco più di 100.000 voti (più del doppio di quanto accadde alle politiche del 2013) ovvero 55.694 per Alessio Morosin e 49.893 per quelli che appoggiavano Zaia, che hanno anche eletto un consigliere regionali.
Si tratta però di un lumicino, visto che è impensabile ritenere che la Lega Nord si batterà per far votare il “referendum per l’indipendenza”, che verrà tosto bocciato anche dalla Consulta, visto che il governo Renzi lo ha impugnato tempo fa. Non solo, tra qualche rappresentante di “Indipendenza Noi Veneto” c’è già chi si è spinto a dire che il “referendum è meglio non farlo, visto che i Veneti non sono preparati”. Del resto, che al cartello di politici che a suo tempo si unirono in “Noi Veneto Indipendenza” interessasse poco dell’idealità e del progetto secessionista, lo si era intuito quando – dalla sera alla mattina – accettarono l’imposizione del simbolo e del nome da parte di Zaia, come dimostrato da una conversazione fra due dirigenti del partito, in cui uno comunica all’altro il cambio di nome piovuto dall’alto e l’altro si indigna fingendo di “non voler fare lo zerbino”. Ma lo zerbino lo ha fatto senza batter ciglio. Come nessun ciglio han battuto altri che sulla Lega dicevano peste e corna.
Lo stesso Luca Zaia, nel suo programma lo ha scritto chiaro: “Scelgo l’autonomia”, che ad andar bene – visti i risultati di 20 e passa anni di leghismo/lighismo – significherà continuare ad elemosinare soldi a Roma e a Bruxelles, senza però toccare quel mostruoso residuo fiscale – 21 miliardi – che i Veneti regalano annualmente allo Stato italiano.
Anche ad urne chiuse, c’è ancora dibattito fra chi ritiene che la colpa della mancata unità tra gli indipendentisti sia colpa di IV, piuttosto che di INV. C’è chi ritiene giusta la scelta (dimostratasi efficace in quanto a eletti) di alleanza con Zaia, chi invece no. E’ sicuramente presto per sputare sentenze. Non è tardi, però, per sostenere che l’indipendentismo che si bea di numeri stravaganti e bugiardi, come quello del plebiscito digitale o dei sondaggi di qualche giornale filo-italiano, non ha futuro. Il lume indipendentista c’è, ma non da ora! C’era anche quando Bossi guidava la Lega dei primi Anni Novanta! I veneti pare stiano bene in Italia e le vie che portano a Roma sono a loro politicamente gradite. Quando qualcuno fa paragoni con la Catalogna, bisognerebbe ricordare loro che a Barcellona, al Nou Camp, non appena suona l’inno spagnolo parte una salva di fischi da fare paura. Giocasse il Verona (o il Vicenza o il Venezia, fate voi) contro la Juve in una finale di Coppa Italia, lo stadio si riempirebbe di tricolori.
Al 56% che ga votà, indipendentemente da cosa, de sicuro ghe piaxe i sistemi romani
Il paragone in negativo col calcio catalano e l’inno dice in modo semplice tutta la differenza CULTURALE che c’è tra indipendentismo catalano e de noantri… Sob sob.