Contabilizzazioni spesso “errate”, particolare “aleatorietà” nelle sottoscrizioni, “violazioni normative e notevoli squilibri contrattuali in danno agli enti per la mancata valutazione della convenienza economica dei contratti”.
Sono alcune della “gravi anomalie” denunciate dalla Corte dei Conti nell’utilizzo degli strumenti derivati da parte degli enti locali. A fronte dei circa 160 miliardi del portafoglio degli strumenti derivati dello Stato, all’inizio del 2015 il valore nozionale dei contratti sui derivati degli enti territoriali, “pure se significativo nei riflessi sui relativi equilibri di gestione, sarebbe di poco inferiore ai 25 miliardi, il 60% dei quali imputabili ai contratti sottoscritti da Regioni e Province autonome”. Sono i dati forniti dalla Corte dei Conti in Commissione Finanze della Camera.
Le problematiche di maggiore interesse messe in luce dalle Sezioni regionali di controllo della Corte, relativamente alle operazioni in strumenti derivati degli enti locali, hanno spiegato i magistrati contabili in audizione alla Commissione Finanze della Camera, “si incentrano principalmente sulla errata contabilizzazione dei flussi derivanti dai contratti di finanza derivata, sul costante valore negativo negli anni del mark to market, sulla particolare aleatorietà dei contratti sin dal momento della sottoscrizione e sulle notevoli ripercussioni che i contenziosi in tale materia possono determinare sulla finanza locale”. “Sin dall’esame delle prime operazioni di finanza derivata stipulate dagli enti locali – hanno proseguito i rappresentanti della Corte – è emerso che non sempre l’imputazione contabile dei flussi finanziari in entrata ed in uscita è avvenuta in conformità ai principi contabili, lasciando trasparire la concreta finalità da parte degli enti di reperimento immediato di liquidità con traslazione in avanti nel tempo degli oneri a servizio del debito”.
Le Sezioni regionali hanno, quindi, richiamato l’attenzione degli enti “sull’aleatorietà di operazioni finanziarie strutturate con contratti derivati che potevano presentare rischi a carico di esercizi futuri e la cui struttura e complessità poteva non essere in linea con le esigenze finanziarie dell’ente e con l’effettiva capacità dello stesso (in relazione agli strumenti conoscitivi e valutativi ed alla professionalità di cui dispone) di comprenderne a pieno i relativi rischi”. In particolare, è stata evidenziata “la sussistenza di violazioni normative e notevoli squilibri contrattuali in danno degli enti locali per la mancata valutazione della convenienza economica dei contratti; per la presenza di spread particolarmente onerosi; per la stipula dei contratti in lingua inglese in assenza delle traduzioni; per l’inserimento di opzioni digitali con discontinuità nella sequenza dei tassi di interesse in contrasto con il decreto ministeriale 389/2003 e per la scelta di advisor coincidenti con la figura dell’intermediario finanziario in palese conflitto di interessi”. “Gravi anomalie – conclude la Corte – sono state riscontrate anche per contratti derivati stipulati matematicamente in perdita, per contratti afferenti mutui già estinti o per la concessione di delegazioni di pagamento in violazione dell’art. 206 del Testo unico degli enti locali che prevede tale garanzia soltanto per il pagamento delle rate di ammortamento di mutui e prestiti”.