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Erdogan, come comprarsi le elezioni promettendo pensioni

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di MATTEO CORSINI

Da anni il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan fornisce senza soluzione di continuità esempi di cosa fare per scassare un sistema economico. L’esempio più noto riguarda la reiterata convinzione che la crescita dei prezzi al consumo, fuori controllo da diversi anni, si possa (e debba) contrastare mediante una politica monetaria di abbassamento dei tassi di interesse.

Erdogan ha sostituito diversi banchieri centrali, quando costoro non erano sufficientemente allineati al neofisherismo del sultano. Nel 2022 la banca centrale turca è andata in controtendenza rispetto a tutte le principali banche centrali mondiali, che hanno alzato i tassi di interesse nel (maldestro) tentativo di spegnere un fuoco inflattivo che hanno abbondantemente alimentato negli anni precedenti.

Adesso, a pochi mesi dalle elezioni nelle quali teme di non essere confermato al potere, Erdogan ha annunciato l’eliminazione del requisito di età minima per andare in pensione, già finora fissata alla non veneranda soglia di 58 anni per le donne e 60 per gli uomini.

Si stima che ciò consentirà di andare in pensione immediatamente a oltre due milioni di persone, il che porterebbe i pensionati a rappresentare circa il 20% della popolazione, in un contesto in cui il tasso di fertilità è lievemente inferiore ai 2,1 figli per donna necessari a mantenere invariata la popolazione stessa.

Non stupisce che i sindacati, che ovunque nel mondo non brillano per lungimiranza, abbiano espresso soddisfazione. Molto meno lo saranno i pagatori di tasse presenti e futuri, che dovranno aggiungere anche questo al fardello che, prima o poi, Erdogan lascerà loro in eredità.

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