di PIETRO AGRIESTI
Non siamo formiche
In generale la libertà di ogni individuo di agire come crede rende estremamente difficile, se non impossibile, che tutti collaborino consapevolmente ad un unico piano collettivo. Più è grande, articolato, omnicomprensivo, e più parte della vita coinvolge, più è irrealizzabile.
Le persone hanno bisogni, desideri, preferenze, piani propri e divergenti. E differiscono per caratteri, propensione al rischio, previsioni sul futuro, priorità, interessi, paure, orizzonti temporali, circostanze personali, interpretazioni del mondo, etc… tutte queste differenze non possono essere costrette dentro un unico piano collettivo se non con estrema violenza, per poco tempo e con risultati disastrosi.
Sottolineare questo però non significa sostenere che esistano solo piani individuali. I piani delle persone non sono per forza individuali e anzi spesso sono condivisi fra molte: una famiglia, un’impresa, un negozio, una squadra sportiva, un club, una chiesa, ma anche solo una partita di pallone, sono cose che coinvolgono molte persone, che si associano, si accordano, si coordinano, si organizzano insieme attorno ad obiettivi condivisi. Lungi da me qualsiasi forma di atomismo: le persone hanno relazioni e tessono insieme i propri piani, costruiscono e vivono dentro a realtà sociali, maturano un senso di appartenenza alle realtà collettive dentro cui vivono e di solidarietà con coloro che hanno attorno e a cui si relazionano, sviluppano affetti e sono legate da reciproca empatia, hanno bisogno le une delle altre e si cercano continuamente le une con le altre.
Tuttavia in condizioni di libertà, non esiste un unico grande piano in cui sono assorbite tutte le persone e l’intera società. Le relazioni, i piani, le associazioni sono una moltitudine cangiante, sono fluidi, si formano, cambiano, si rompono, si riformano, si influenzano a vicenda in modi prevedibili e imprevedibili. Piani diversi e mutualmente esclusivi si contrappongono, si fanno concorrenza e si eliminano a vicenda. Gruppi e organizzazioni diversi entrano in conflitto e si scontrano.
Se le persone sono libere si relazionano e si associano su basi volontarie, quindi relazioni e associazioni sono mantenute sulla base del mutuo consenso dei partecipanti, finché essi stessi ritengono di avere dei motivi coincidenti che le giustificano. Sono frutto di una “contrattazione” e si verificano quando viene dato l’assenso da tutte le parti coinvolte. Comportano la mutua soddisfazione delle diverse aspettative e preferenze di chi vi partecipa. E queste possono essere ridiscusse o interrotte.
Perciò a chi ha un grande piano a cui vorrebbe che tutti fossero chiamati a partecipare deve essere chiara una cosa: dovrà irreggimentare l’intera società e costringere con la forza le persone a seguirlo, perché questo di per sé non si verificherà mai spontaneamente.
In tempi pacifici e tranquilli le persone tendono a farsi gli affari propri ciascuna seguendo le proprie preferenze. Di fronte all’emergenza possono tendere a mettere da parte i propri affari personali e unirsi per “stato di necessità”, ma anche il collante dell’emergenza può arrivare solo fino a un certo punto e durare solo un certo tempo.
Non siamo formiche, siamo individui umani, ciascuno dotato di una propria unicità.
È un limite? No, non lo è.
Questo può sembrare un grande limite: cosa potremo mai realizzare con questa premessa? Che ne sarà di noi, se non siamo capaci di elaborare e seguire tutti insieme dei grandi piani collettivi, di fronte ai grandi problemi del mondo?
Tuttavia esiste una risposta positiva: decine o centinaia di milioni di persone non sono in grado di tracciare e seguire tutte insieme, consapevolmente e razionalmente un unico piano collettivo, ma sono in grado di coordinarsi incastrando i propri bisogni, desideri, preferenze e piani uno con l’altro senza di esso. Può sembrare contro intuitivo, ma in realtà è qualcosa che appartiene alla nostra esperienza quotidiana. Mentre senza rendercene conto ogni giorno sperimentiamo una dimensione anarchica nelle nostre vite e nelle nostre relazioni con gli altri, i tentativi di obbligare milioni di persone a seguire un piano, sostituendo con la pianificazione razionale e il dirigismo la libertà individuale e la spontaneità, si sono rivelati storicamente dei terribili fallimenti, mancando completamente di raggiungere gli obiettivi, e soprattutto causando orrori e tragedie.
Vale a dire che la sostituzione di quello che dovrebbe essere il caos generato dalla libertà individuale con quello che dovrebbe essere un ordine più razionale, in realtà, si è rivelata portare a risultati opposti: dsordine, povertà, miseria, morte. Non ha migliorato la vita delle masse, eliminato la povertà, portato all’uguaglianza, o altro. Ha affamato e sterminato le masse, mentre ha arricchito la casta che reggeva i vari regimi.
Non possiamo pensare che sia un caso. Quello che questo ci rivela è invece che esiste un ordine spontaneo.
Là dove più ci si è spinti verso la sostituzione della libertà d’azione individuale con l’imposizione del piano centrale, là dove le persone sono state obbligate a sostituire gli interessi collettivi e il bene comune ai propri, ad agire non seguendo le proprie preferenze, idee, circostanze, etc.. ma a svolgere la parte loro assegnata, si è ottenuto non una realtà più efficiente e razionale, ma all’opposto un incubo kafkiano, una mostruosità burocratica, retta da un grado di violenza sistematica quale mai si era visto nella storia dell’umanità. Là dove si concede più libertà individuale invece si trova più benessere sotto ogni punto di vista. Soprattutto sotto l’unico punto di vista che per me conta davvero: quello definito soggettivamente da ciascuno per sé stesso.
La sola conclusione possibile è che in assenza di pianificazione centrale e dirigismo esista un ordine spontaneo, che funziona meglio nell’assicurare il benessere rispetto a qualsiasi ordine razionalmente concepito e imposto.
Entrano in scena libertarismo e libero mercato
In una visione libertaria e a favore del libero mercato tutto parte proprio dai singoli individui: gli individui hanno preferenze, piani, aspirazioni, capacità, valori soggettivi, e vivono situazioni e circostanze individuali. Per questo hanno bisogno di libertà per potersi muovere secondo le proprie preferenze individuali e soggettive, facendo le proprie valutazioni personali, all’interno delle loro specifiche situazioni e circostanze.
Come disse Mises “Solo l’individuo pensa. Solo l’individuo ragiona. Solo l’individuo agisce”.
Naturalmente esistono dinamiche sociali più grandi di quelle individuali, ma non tali da azzerare il ruolo dell’individuo. Ed è su questo ruolo che si reggono i discorsi di Mises, di Hayek e di Rothbard sul libero mercato, il calcolo economico, il valore soggettivo, il problema della dispersione della conoscenza nella società, e così via.
Nella visione libertaria e austriaca il libero mercato risponde ai bisogni e ai desideri delle persone che ne fanno parte semplicemente perché in primis ognuno è libero di esercitarli quotidianamente. Le azioni degli individui si coordinano attraverso il sistema dei prezzi e il feedback dei profitti e delle perdite. E attraverso questa forma di coordinamento il mercato riesce ad utilizzare la conoscenza dispersa nella società, a tenere conto delle singole situazioni concrete e particolari e dei bisogni, dei desideri e delle preferenze individuali.
La matita di Reed
Che il mercato sia in grado di coordinare immensi numeri di persone, disperse nel tempo e nello spazio, nella realizzazione di beni e servizi incredibilmente complessi è sotto gli occhi di tutti e dovrebbe essere scontato. Ma non c’è nemmeno bisogno di guardare a beni particolarmente complessi. Leonard Reed in “Io, la matita”, facendo parlare una matita scrive:
- “Il mio albero genealogico inizia con quello che in effetti è un albero, un cedro che cresce nella California settentrionale e nell’Oregon. Ora contemplate tutte le seghe e i camion e le corde e gli innumerevoli altri attrezzi usati per raccogliere e trasportare i tronchi di cedro fino al raccordo ferroviario. Pensate alle persone e alle innumerevoli abilità che sono state impiegate nella fabbricazione di questi strumenti: l’estrazione del minerale, la fabbricazione dell’acciaio e la sua raffinazione in seghe, asce, motori; la coltivazione della canapa e la sua trasformazione in corde pesanti e resistenti; gli accampamenti con i loro letti e mense, la cucina e l’allevamento di tutti gli alimenti. Migliaia di persone hanno avuto una mano in ogni tazza di caffè che i taglialegna bevono!
- I tronchi vengono spediti a una fabbrica a San Leandro, in California. Riuscite a immaginare gli individui che costruiscono vagoni, rotaie e motori ferroviari e che costruiscono e installano i sistemi di comunicazione che ne derivano? Queste legioni sono tra i miei antenati.
- Considerate la falegnameria di San Leandro. I tronchi di cedro sono tagliati in piccole doghe lunghe come matite, dello spessore di meno di un quarto di pollice. Vengono essiccati in forno e poi tinti per lo stesso motivo per cui le donne si mettono il rossetto in faccia. La gente preferisce che io abbia un bell’aspetto, non un bianco pallido. Le doghe sono incerate e nuovamente essiccate in forno. Quante competenze ci sono state nella fabbricazione della tinta e dei forni, nel fornire il calore, la luce e la corrente, le cinghie, i motori e tutte le altre cose che un mulino richiede? Chi puliva il mulino è tra tra i miei antenati? Sì, e ci sono anche gli uomini che hanno versato il cemento per la diga di un impianto idroelettrico della Pacific Gas & Electric Company che fornisce l’energia al mulino!
- Non trascurate gli antenati presenti e lontani che hanno una mano nel trasporto di sessanta vagoni di doghe attraverso la nazione.
- Una volta nella fabbrica di matite – 4.000.000 di dollari in macchinari ed edifici, tutto il capitale accumulato dai miei parsimoniosi e risparmiosi genitori – ad ogni stecca vengono date otto scanalature da una macchina complessa, dopo di che un’altra macchina mette dei piombi in ogni altra stecca, applica la colla e mette un’altra stecca in cima – un sandwich di piombo, per così dire. Sette fratelli ed io siamo scolpiti meccanicamente da questo sandwich.
- Il mio “piombo” – che non contiene piombo – è complesso. La grafite viene estratta a Ceylon [Sri Lanka]. Considera questi minatori e quelli che fanno i loro numerosi strumenti e i fabbricanti dei sacchi di carta in cui la grafite viene spedita e quelli che fanno lo spago che lega i sacchi e quelli che li mettono a bordo delle navi e quelli che fanno le navi. Anche i guardiani dei fari lungo la strada hanno assistito alla mia nascita e i piloti del porto.
- La grafite viene mescolata con l’argilla del Mississippi, l’idrossido di ammonio viene usato nel processo di raffinazione. Poi si aggiungono agenti umettanti come il sego solfonato – grassi animali fatti reagire chimicamente con acido solforico. Dopo essere passata attraverso numerose macchine, la miscela appare finalmente come una estrusione senza fine – come da un macinino per salsicce – tagliata a misura, essiccata e cotta per diverse ore a 1.850 gradi Fahrenheit. Per aumentarne la forza e la morbidezza, i piombi vengono poi trattati con una miscela calda che include cera candelilla del Messico, cera di paraffina e grassi naturali idrogenati.
- Il mio cedro riceve sei mani di lacca. Conoscete tutti gli ingredienti della lacca? Chi potrebbe pensare che i coltivatori di semi di ricino e i raffinatori di olio di ricino ne facciano parte? Eppure ne fanno parte. Perché, anche i processi con cui la lacca diventa di un bel giallo coinvolgono le competenze di più persone di quante se ne possano enumerare!
- Osservate l’etichettatura. È una pellicola che si forma applicando il calore al nerofumo mescolato alle resine. Come si fanno le resine e cos’è, di grazia, il nerofumo?
- Il mio pezzo di metallo – la ghiera – è di ottone. Pensate a tutte le persone che estraggono lo zinco e il rame e a quelle che hanno l’abilità di fare l’ottone lucido da questi prodotti della natura. Quegli anelli neri sulla mia ghiera sono di nichel nero. Cos’è il nichel nero e come si applica? Ci vorrebbero pagine per spiegare la storia completa del perché il centro della mia ghiera non ha nichel nero.
- Poi c’è il mio fiore all’occhiello, inelegantemente chiamato nel commercio “la gomma”, la parte che l’uomo usa per cancellare gli errori che fa con me. Un ingrediente chiamato “factice” è quello che fa la cancellazione. Si tratta di un prodotto simile alla gomma ottenuto facendo reagire l’olio di colza delle Indie orientali olandesi [Indonesia] con cloruro di zolfo. La gomma, contrariamente all’idea comune, serve solo per legare. Poi, ci sono anche numerosi agenti vulcanizzanti e acceleranti. La pomice viene dall’Italia; e il pigmento che dà al “tappo” il suo colore è il solfuro di cadmio.
- Qualcuno vuole contestare la mia precedente affermazione per cui nessuna persona sulla faccia della terra sa come farmi?
- In realtà, milioni di esseri umani hanno preso parte alla mia creazione, nessuno dei quali conosce più di pochi altri. Ora, si può dire che vado troppo lontano nel mettere in relazione il raccoglitore di una bacca di caffè nel lontano Brasile e i coltivatori di cibo altrove con la mia creazione; che questa è una posizione estrema. Io rimango fedele alla mia affermazione. Non c’è una sola persona in tutti questi milioni di persone, compreso il presidente della società di matite, che contribuisca con più di una piccola, infinitesimale parte di conoscenza. Dal punto di vista della conoscenza, l’unica differenza tra il minatore di grafite a Ceylon e il taglialegna nell’Oregon sta nel tipo di conoscenza. Non si può fare a meno né del minatore né del taglialegna, così come non si può fare a meno del chimico in fabbrica o del lavoratore nel campo petrolifero – essendo la paraffina un sottoprodotto del petrolio.
- Ecco un fatto stupefacente: né l’operaio nel campo petrolifero, né il chimico, né lo scavatore di grafite o di argilla, né chi comanda o costruisce navi o treni o camion, né chi fa funzionare la macchina che fa la zigrinatura sul mio pezzo di metallo, né il presidente della società svolge il suo singolare compito perché mi vuole. Ognuno mi vuole meno, forse, di un bambino di prima elementare. In effetti, ci sono alcuni tra questa vasta moltitudine che non hanno mai visto una matita e non saprebbero come usarla. La loro motivazione non è produrre me. Forse è qualcosa del genere: Ognuno di questi milioni vede che può così scambiare il suo piccolo know-how con i beni e i servizi di cui ha bisogno o che vuole. Io posso essere o non essere tra questi oggetti.”
Quello che Reed illustra con questo racconto è come la libera azione degli individui nel mercato dia origine ad un ordine spontaneo: un ordine che è il risultato delle azioni e delle interazioni dell’uomo, ma non di un progetto razionale e intenzionale. Nessuno ha elaborato, disegnato, implementato, progettato dalla A alla Z e imposto a di seguire, il processo di cui parla Reed, eppure se vado in qualsiasi cartoleria posso comprare una matita per pochi spiccioli.
Si tratta di un processo che ha richiesto la collaborazione e la coordinazione di innumerevoli persone e realtà, e ciascuna di esse aveva i suoi piani e questi piani hanno dovuto incastrarsi in modo “armonico” per arrivare a questo risultato. Un risultato da un certo punto di vista “straordinario”, ma di fatto oggi assolutamente ordinario e quotidiano. E si badi: non si tratta di sostenere che ciò è possibile ANCHE senza una pianificazione politico burocratica, ma che ciò può avvenire SOLO senza tale pianificazione, perché questa è una alternativa povera e disfunzionale rispetto all’ordine spontaneo di libero mercato. Se si cercasse di sostituire al processo di libero mercato un processo di pianificazione politico burocratica si avrebbe un progressivo crescente disastro a seconda del grado di “successo” raggiunto.
La pianificazione politica è un processo di sostituzione della libertà individuale e delle azioni che le persone sceglierebbero di compiere se non ci fossero interferenze coercitive, con azioni comandate e imposte da un’autorità centrale con l’obbiettivo di far loro seguire il piano che questa ha concepito. E – per inciso – non importa la bontà o meno del piano, può essere quello di un nazista o quello di un comunista, quello del più malvagio o del più buono degli uomini, da questo punto di vista è ininfluente.
Se i libertari e i sostenitori del libero mercato hanno ragione, cercando di sostituire interamente la libertà individuale con la pianificazione centrale arriveremmo a un mondo dove la matita di Reed non esiste più, perché non esiste più modo di replicare il processo necessario ad averla. Nessuno ovviamente propone esplicitamente “un mondo senza matite”, ma è quello che si otterrebbe agendo in questo modo, nonostante la mancata comprensione di ciò che si sta facendo e delle sue conseguenze.
Hayek scriveva “Coloro […] che non riescono a concepire nulla che serva gli scopi dell’uomo che non sia stato razionalmente disegnato sono quasi necessariamente nemici della libertà. Per loro libertà significa caos”.
La comprensione intellettuale completa del mercato come ordine spontaneo, del problema della conoscenza di cui trattava Hayek, del funzionamento dei prezzi e della legge della domanda e dell’offerta, dell’impossibilità del calcolo economico in regime socialista di cui parlava Mises e delle loro implicazioni, possono essere difficili ed onerose, ma in realtà si tratta di qualcosa che è quotidianamente sotto gli occhi di tutti. Tutti in qualche misura ne partecipiamo e tutti in qualche misura ne beneficiamo. Anche se la spiegazione intellettuale può essere complessa, e anche se fosse troppo complessa per poter essere data per esteso in modo completo, poiché ciascuno di noi ne fa esperienza quotidianamente ciascuno di noi ne ha anche, in qualche forma, una comprensione intuitiva.
Ridurre lo Stato
Vale la pena notare esplicitamente che la visione libertaria è individualista nel senso che enfatizza il ruolo dell’individuo e della libertà individuale, ma nulla in essa ha qualcosa a che vedere con il negare o il condannare la dimensione sociale dell’esistenza. Anzi è evidentemente vero l’opposto: ciò che a ben vedere un libertario esalta – e il brano di Reed appena letto lo dimostra – non è l’individuo isolato in sé stesso, ma il valore delle relazioni, della collaborazione e della condivisione fra individui.
Poiché lo Stato essenzialmente non è altro che un vasto apparato coercitivo, dominante su un certo territorio, e ogni suo provvedimento non è altro che un’interferenza coercitiva nell’ordine spontaneo, per salvaguardare quest’ultimo la cosa più importante è ridurre lo Stato e riconoscere i diritti individuali di proprietà privata, in modo da concedere alle persone il massimo della pace, della libertà e dell’autonomia individuali, nella convinzione che la libertà non solo dia dignità e permetta di inseguire la propria felicità, ma sia anche l’anima insostituibile dell’ordine spontaneo e del benessere diffuso.
Ma ridurre lo Stato non significa rifiutare qualsiasi istituzione, qualsiasi dimensione sociale, qualsiasi organizzazione, autorità o gerarchia e qualsiasi forma di potere, e nemmeno qualsiasi forma di legge. Significa accettare solo quelle che nascono, vivono e muoiono nel rispetto della libertà e dell’autodeterminazione individuali. Non implica affatto il rifiuto di realtà sociali come famiglie, imprese, chiese, scuole, associazioni di mutuo soccorso, o di auto difesa, etc.. Anzi comporta una valorizzazione di tutte quelle istituzioni sociali e di tutte quelle forme di organizzazione che possono costituire una alternativa e una forma di resistenza all’espansione della coercizione statale.
Una riflessione sul capitalismo
Il capitalismo – con cui intendo riconoscimento e rispetto dei diritti di proprietà ed estensione del libero scambio – è il sistema che ha sollevato il mondo dalla povertà. Chiaramente nel mondo reale non si è presentato nella forma pura e ideale dell’anarco-capitalismo, ma ciò nonostante l’introduzione del “capitalismo reale”, con tutte le sue possibili imperfezioni, ingiustizie, contraddizioni, ha trasformato il mondo da uno in cui la ricchezza era un fatto marginale e la maggioranza della popolazione era povera e miserabile e viveva in condizioni scadenti, per alimentazione, igiene, accesso alle cure mediche, analfabetismo, carestie, etc.. a uno in cui le proporzioni sono più che ribaltate ed è la povertà ad essere l’eccezione rispetto al benessere.
Ha preso un’umanità di morti di fame che avevano alle loro spalle ogni sorta di tragedia, miseria, carestie, malattie, guerre, invasioni, schiavitù, massacri, persecuzioni, disastri naturali, epidemie, etc…e che venivano da sistemi in cui spesso erano di fatto schiavi e servi della gleba e ha sollevato loro, i loro figli, i loro nipoti, i loro paesi, fino al punto in cui hanno raggiunto un benessere prima inimmaginabile.
Lo possiamo vedere anche in tempo più recenti guardando alla Cina: per quanto il sistema cinese resti autoritario, lontano dal libero mercato e violi continuamente al libertà, la proprietà e i diritti individuali, è un fatto che il semplice passaggio dalla Cina pienamente comunista che negava completamente la proprietà privata, dove si requisivano le pentole per non far cucinare le persone a casa propria e obbligarle ad andare a mangiare nelle mense comuni, dove i fanatici della rivoluzione irrompevano nelle case di chi era sospettato di detenere qualsiasi tipo di proprietà non autorizzata spaccando tutto e massacrando tutti di botte, dove la collettivizzazione dell’agricoltura sterminò decine di milioni di persone, dove ogni tipo di impresa era vietato, a una Cina che con tutti i limiti del mondo riconosce almeno parzialmente la proprietà privata, la libertà economica, la libertà d’impresa, si è avuta una incredibile rivoluzione, una enorme riduzione della povertà, un’esplosione di benessere, la crescita e l’espansione di una classe media, etc.. magistralmente descritti da Ronald Coase e Ning Wang in “Come la Cina è diventata capitalista” (anche se non è diventata certo perfettamente capitalista, e dall’epoca del libro ha se mai fatto passi indietro).
La pretesa che il capitalismo sia nemico dei poveri, un sistema che si limita ad arricchire chi è già ricco e a impoverire ulteriormente chi è già povero, o un sistema che mantiene unicamente lo status quo, è assurda di fronte alla storia dell’umanità, per chiunque ne abbia anche solo le più elementari nozioni.
La Rivoluzione industriale ieri e oggi, l’estensione dei diritti di proprietà e la globalizzazione economica (intesa come estensione del mercato, tutt’altro dalla globalizzazione politica) hanno prodotto emancipazione dalla povertà e abbondanza crescente. Per capire il perché bisogna comprendere che per molti versi le cose stanno esattamente all’opposto di come ce le raccontano. Ecco qui un breve compendio per chi volesse approfondire:
Come ricorda Wendy McElroy, la visione da Oliver Twist che abbiamo della Rivoluzione Industriale è assurda e anti storica.
La logica interna del capitalismo implica il miglioramento costante delle condizioni dei lavoratori. Un esempio è la storia della Ford.
Come diceva Julian Simon l’aumento della popolazione mondiale è positivo e non ci impoverisce, perché la mente umana è l’ultima risorsa.
L’estensione dell’integrazione economica è positiva, perché comporta l’estensione della divisione del lavoro e della collaborazione fra persone, ma è una cosa diversa dall’estensione dell’integrazione politica.
Il capitalismo, come suggerisce il nome, si fonda sul risparmio e l’accumulazione di capitale e questi sono una cosa assolutamente positiva, sono il fondamento della prosperità, checché ne dicano keynesiani di varie fatte.
Arricchirsi sul libero mercato non vuol dire impoverire qualcun altro, ma aver arricchito il prossimo cento volte tanto quel che si è ricavato per sé.
E potrei continuare a lungo.
Ammettiamo (ma non concediamo) che esistesse un geniale pianificatore in grado di portare da 100 a 120 il mio reddito di persona libera costringendomi a seguire un piano centralizzato. Io mi “accontento” di 100 e mi godo la libertà. Per cui qualunque baggianata mi raccontassero i pianificatori la respingerei non cortesemente al mittente.