Ipotizzando che Donald Trump vinca le elezioni e diventi presidente degli Stati Uniti, Barry Eichengreen immagina gli effetti delle misure protezioniste che potrebbero essere assunte. “Si consideri il seguente esperimento mentale. Il Presidente Trump firma un disegno di legge che colpisce una tariffa doganale sulle importazioni dalla Cina. Ciò sposta la spesa degli Stati Uniti verso i beni prodotti dalle imprese nazionali e pone pressioni al rialzo sui prezzi degli Stati Uniti, che si rivela utile quando vi è un rischio di deflazione.”
Che l’aumento dei prezzi dovuto all’introduzione di dazi sulle importazioni sia “utile quando vi è un rischio di deflazione” è una questione di punti di vista. Difficilmente coloro che si troverebbero a pagare di più per lo stesso prodotto sarebbero d’accordo. Di fatto, gli effetti sarebbero di tipo redistributivo, e la redistribuzione dipenderebbe da una decisione politica e non da dinamiche di domanda e offerta di mercato.
Prosegue Eichengreen: “Ma il presidente cinese Xi Jinping risponde con una tariffa doganale, che sposta la domanda dalle merci statunitensi. Dal punto di vista dei consumatori americani, l’unico effetto è che le importazioni dalla Cina e i loro sostituti prodotti dagli Usa sono entrambi più costosi di prima. In circostanze normali, ciò sarebbe un risultato indesiderato. Ma quando la deflazione incombe, la pressione al rialzo sui prezzi è proprio quello che il medico ha ordinato. L’aumento dei prezzi incoraggia le imprese a incrementare la produzione e le famiglie ad aumentare la spesa. Esso riduce anche il peso dei debiti. E poiché l’inflazione è ancora bassa, a causa di condizioni macroeconomiche depresse, non vi è alcuna necessità che la Fed alzi i tassi di interesse e compensi eventuali effetti inflazionistici dell’aumento di spesa.
Quando il medico ha come principale paziente (e datore di lavoro) un soggetto oberato di debiti, la sua prescrizione potrebbe risultare non particolarmente obiettiva. In ultima analisi, le misure protezioniste beneficiano le imprese protette e chi lavora per esse, ma il conto è carico da chi si trova a pagare di più lo stesso prodotto. Lo stesso dicasi nel caso dei debiti: se il loro peso reale diminuisce, a farne le spese sono i creditori. I prezzi aumentano, ma non la ricchezza reale, la quale, al più, passa di mano. E sempre per via di un intervento governativo che altera le dinamiche di domanda e offerta.
Per non dare l’impressione di essere a favore dei dazi, Eichengreen aggiunge: “Per evitare che questo esperimento mentale sia frainteso, voglio essere chiaro: ci sono modi migliori per aumentare i prezzi e stimolare l’attività economica in condizioni di trappola di liquidità, come tagli fiscali e aumenti della spesa pubblica.”
C’è una considerevole differenza tra abbassare le tasse e aumentare la spesa pubblica: nel primo caso, si riduce la violazione del diritto di proprietà di chi paga le tasse; nel secondo caso, invece, si pongono le basi per un aumento della tassazione. Il primo caso riduce la redistribuzione, il secondo la aumenta. Resta il fatto che anche una riduzione delle tasse, per quanto auspicabile, avrebbe corto respiro se ciò comportasse una espansione del deficit, a maggior ragione quando il debito è già elevato. Quindi la riduzione delle tasse dovrebbe essere accompagnata da una riduzione di spesa pubblica. Ma questo credo che resti davvero un esercizio mentale.
Riletto.
Questo è un babbeo che scrive cazzate a peso.