di ALESSIA GALLIONE
Il vero allarme rosso è scattato per le strutture lungo il cardo Sud. È lì, in quella parte del padiglione italiano dove sulla carta ci sono gli spazi della Regione, la mostra di Confindustria e le ‘eccellenze agroalimentari’ di Coldiretti, che i ritardi sono più gravi. È lì il problema, ammettono tutti. Talmente tanto che adesso si tenterà la corsa disperata.
Un piano di emergenza per riuscire, a cominciare da Casa Lombardia, a salvare almeno in parte la situazione: dall’inizio di aprile si dovrebbero fare entrare i tecnici per attaccare con gli impianti interni, mentre esternamente gli operai di Italiana costruzioni continueranno a lavorare sull’edificio. Anche così, però, ci sarà da accelerare e per molti sarà praticamente impossibile che il Primo maggio – il giorno dell’inaugurazione col premier Matteo Renzi, mentre il presidente Sergio Mattarella non ci sarà – tutti gli allestimenti siano terminati così come da disegno definitivo.
«Servirebbe un miracolo», commenta qualche tecnico. Si tenterà di arredare il più possibile, finendo a Expo aperta quello che ancora ci sarà da fare. E il tormentato Palazzo Italia? La realizzazione dell’edificio principale, giurano tutti, con i turni di 24 ore su 24, i rinforzi di uomini, e i tempi strettissimi che ci sono arriverà comunque in porto. Sono gli allestimenti dei cinque piani che non saranno terminati al cento per cento: anche in questo caso si partirà cercando di dare la sensazione ai visitatori di trovare qualcosa a ogni tappa e si concluderanno i lavori interni dopo il taglio del nastro.
Su diversi fronti il cantiere di Expo andrà avanti fino all’ultimo giorno utile per recuperare i ritardi: è quello che accadrà per alcuni padiglioni dei Paesi che sono ancora in affanno, dove si lavorerà sino alla fine. La prova è rappresentata dai collaudi: saranno fatti con autocertificazioni dai progettisti. Poi arriveranno controlli a campione. Nella corsa generale, però, è Padiglione Italia a dover lottare contro i ritardi più evidenti.
Per capirlo, in fondo, basterebbe guardare le immagini delle due palazzine basse allungate tra Piazza Italia – realizzata dall’incrocio tra cardo e decumano – e il teatro all’aperto: sono ancora due gusci vuoti, impalcature e pilastri. Proprio per tentare l’impresa, nelle ultime settimane lungo il cardo Sud gli operai sono raddoppiati passando da 70 a 150. Eppure anche così l’emergenza c’è. Senza contare che la società che sta effettuando i lavori, Italiana costruzioni, è la stessa finita nella bufera dopo l’inchiesta sulle grandi opere della Procura di Firenze che ha allungato pesanti ombre sull’appalto di Palazzo Italia.
Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha messo sotto esame la gara e lunedì dovrebbe arrivare la decisione finale: una sorveglianza speciale. Il magistrato e il prefetto Francesco Paolo Tronca, che avrà materialmente il compito di eseguire la sentenza, hanno anche studiato la possibilità di aggiungere alla pena la sostituzione dei vertici. Ma quel passo, ragionano in Expo, sarebbe stato probabilmente il colpo di grazia definitivo. L’impresa avrebbe potuto rallentare l’impegno su lavori, appunto, già ampiamente indietro sulla tabella di marcia.
Non è mai stata semplice, l’impresa di Padiglione Italia. È un intero quartiere che sorge lungo il viale più corto di Rho-Pero. Ci sono le quattro strutture che si affacciato sui 350 metri del cardo. A Nord il padiglione dell’Unione europea e quello del vino, che sono a buon punto (come gli spazi a rotazione per regioni e territori); a Sud le costruzioni di Coldiretti, Confindustria e Lombardia in difficoltà. E soprattutto c’è Palazzo Italia, l’edificio principale, l’unico destinato per ora a rimanere in piedi. Un progetto talmente complesso che, ripetono i tecnici, avrebbe avuto bisogno di più tempo. Anche senza le inchieste.
Quella dello scorso anno – per le Vie d’acqua – ha travolto l’ex responsabile unico del procedimento Antonio Acerbo e complicato tutto. L’ultima di Firenze sull’appalto dello stesso edificio è appena cominciata. Il commissario tricolore Diana Bracco dice: «La battuta d’arresto c’è stata, ma è stata molto limitata. L’Autorità anticorruzione ha preso subito decisioni alle quali ci siamo immediatamente adeguati. Adesso speriamo di recuperare velocemente il tempo che abbiamo passato col fiato sospeso, ogni ora ha il suo senso, perché in effetti dobbiamo proprio correre». Affacciato sulla Lake arena, ecco infine l’Albero della vita. È stato a lungo il capitolo più a rischio. Ma adesso è lì che svetta per 35 metri.
FONTE: WWW.REPUBBLICA.IT