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Federalismo e liberismo a 150 anni dalla scomparsa di carlo cattaneo

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CATTANEO1di GUGLIELMO PIOMBINI

Risorgimento e federalismo

Carlo Cattaneo rappresenta una delle poche personalità capaci di contestare, in pieno Risorgimento, la dilagante retorica nazionalista e le soluzioni centraliste all’opera di unificazione italiana. Con il suo impegno civile e culturale egli punta a superare gli assetti della Restaurazione attraverso la riscoperta di quei principi di autogoverno municipale che, a partire dal Medioevo, hanno giocato un ruolo importante nella storia europea. A suo avviso l’unico modo per conciliare unità e libertà è il federalismo di tipo svizzero o americano, dove le diverse lingue e religioni possono convivere in pace e su un piano di eguaglianza.

Il modello negativo è invece quello centralista dell’Europa continentale, incarnato ai suoi occhi soprattutto dalla Francia: «La Francia si chiami repubblica o regno, è composta da 86 monarchie che hanno un unico re a Parigi. Si chiami Luigi Filippo o Cavaignac; regni 4 anni o 20; debba scadere per decreto di legge o per tedio di popolo, poco importa; è sempre l’uomo che ha il telegrafo e quattrocento mila schiavi armati» (Scritti politici, I, p. 275). Dalla Rivoluzione francese in poi, ricorda Cattaneo, in più occasioni si è cercato di impiantare in Francia un governo di tipo americano o britannico, ma è sempre risorta l’aspirazione assolutistica impressa nel Seicento dal cardinal Richelieu: «La rivoluzione francese non seppe uscire dalla tradizione e dalla fede nell’onnipotenza dei governanti. Ai mandatari del re successero i mandatari della nazione» (Scritti politici, III, p. 75).

Con argomenti simili Cattaneo polemizza contro l’espansionismo monarchico dei Savoia. Prima del 1848 Cattaneo, che era fortemente contrario alla propaganda nazionalista dei mazziniani, vedeva per l’Austria una sola possibilità di sopravvivenza: la sua trasformazione da stato unitario a federazione. In seguito nulla avrebbe poi impedito al Lombardo-Veneto, resosi autonomo, di staccarsi da una federazione austriaca così concepita per aderire a una libera federazione di stati italiani. Egli afferma che «Libertà è repubblica, e repubblica è pluralità ossia federazione» (Scritti politici, II, p. 48). Sarebbe stato quindi un grave errore realizzare un’esteriore unità nazionale mediante l’automatica estensione a tutto il paese delle leggi piemontesi, spesso più arretrate. Il codice penale toscano, ad esempio, era di gran lunga più avanzato di quello piemontese; anche gli ordinamenti locali del Lombardo-Veneto, risalenti alla riforma di Maria Teresa d’Austria del 1755, erano molto più rispettosi delle autonomie locali delle leggi comunali piemontesi imposte nel 1859 alla Lombardia e poi al resto d’Italia.   

Infatti, come spiega Cattaneo, «I molteplici consigli legislativi, i loro consensi e dissensi e i poteri amministrativi di molte e varie origini, sono condizioni necessarie di libertà. La libertà è una pianta di molte radici … Quando ingenti forze e ingenti ricchezze e onoranze stanno raccolte in pugno d’un autorità centrale, è troppo facile costruire o acquistare la maggioranza d’un unico parlamento. La libertà non è più che un nome; tutto si fa come tra padroni e servi» (Scritti politici, II, p. 281). E sul diritto federale scrive: «Ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con altri popoli; ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché egli solo li sente, perché egli solo li intende. E v’è inoltre in ogni popolo la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell’avita sua terra. Di là il diritto federale, ossia il diritto dei popoli, il quale deve avere il suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto dell’umanità» (Scritti politici, I, p. 403−404)

Contro la pianificazione centralizzata

La teoria del federalismo rappresenta la parte più nota dell’opera di Carlo Cattaneo, ma in realtà essa  costituisce il filo conduttore di una vastissima indagine filosofica, economica, storica, e sociologica tutta incentrata sul valore della libertà, che per lo studioso lombardo rappresenta la fonte di ogni progresso, conoscenza, e “incivilimento” dell’umanità. Si tratta di un lavoro enorme, di cui solo oggi s’inizia ad avvertire la profondità, che ha portato alcuni autori a vedere in Cattaneo lo studioso universale, l’ultimo dei grandi enciclopedisti (Carlo Lottieri, Liberali e non, 2013, p. 171).

Vi sono delle pagine, nell’opera di Cattaneo, in cui è possibile riscontrare una somiglianza, spesso davvero sorprendente, con le analisi di pensatori liberali molto successivi nel tempo. La sua teoria sullo sviluppo spontaneo dell’ordine giuridico, ad esempio, presenta analogie con quella di Bruno Leoni  e Friedrich von Hayek: «Le leggi più celebri apparvero piuttosto frutti di una certa graduale maturazione d’interessi e di opinioni, che liberi decreti della mente individuale dei legislatori» (Opere, IV, p. 27). Contro ogni pianificazione legislativa, Cattaneo esprime quindi l’idea che il diritto non discenda dall’autorità politica, ma nasca dal basso, dai rapporti individuali che nascono nella società civile. Quando la legge formale si pone in contrasto con l’ordine spontaneo i risultati sono spesso ben diversi da quelli progettati dal legislatore, e il più delle volte disastrosi. Da qui, per Cattaneo come per Hayek, l’insorgere di conseguenze sociali impreviste: «Quanti grandi disegni, quanti progetti d’innovazioni e di restaurazioni di nuove civiltà, di vaste colonie, dopo immenso e doloroso dispendio di tesoro, di pace e di sangue, tornarono in vituperevole nullità, perché ripugnavano al corso obbligato delle nazionali evoluzioni» (Opere, IV, p. 28). E al contrario, spiega Cattaneo, quante volte i “furori della superstizione” e le “macchinazioni della cupidigia” concorsero a fondare un ordine di cose molto migliore di quello che si era voluto!

Contro i catastrofisti maltusiani, convinti che lo sviluppo economico conduca inevitabilmente all’esaurimento delle risorse naturali del pianeta, Cattaneo avanza delle considerazioni molto simili a quelle, elaborate circa un secolo e mezzo dopo, dell’economista e scienziato Julian Simon, secondo cui la mente umana è la vera “ultima risorsa”, mentre le risorse, di per sé, non esistono in natura. Una cosa diventa una risorsa solo quando l’uomo scopre il modo di utilizzarla a proprio vantaggio. «Non v’è lavoro, non v’è capitale che non cominci con un atto d’intelligenza – scrive Cattaneo – Prima d’ogni lavoro, prima d’ogni capitale, quando le cose giacciono ancora non curate o ignote in seno alla natura, è l’intelligenza che comincia l’opera, e imprime in esse per la prima volta il carattere di ricchezza … Il valore che hanno le cose non si rivela da sé; è il senno dell’uomo che le discopre. Gli inglesi e i fiamminghi calpestarono non curanti le stratificazioni di carbon fossile accumulate sotto i loro piedi per tutta la superficie di vaste province, anche alcuni secoli dopo che Marco Polo lo aveva descritto come d’uso antico e popolare presso i cinesi. I peruviani ignoravano l’uso del ferro, che i nostri libri sacri sanno antico più di Noè; ma viceversa conoscevano l’uso del guano, dal quale i nostri navigatori s’avvidero solamente ai nostri giorni, tre secoli dopo che avevano preso vano possesso delle isole che ne son ricoperte» (Opere, V, p. 369).

Il valore dei beni dunque non è qualcosa di oggettivo, che risieda dentro di essi o nell’attività necessaria a procurarli, ma è soggettivo, perché dipende esclusivamente dalle valutazioni individuali. Per questa ragione Cattaneo critica la teoria del valore-lavoro di Adam Smith: «Falso è dunque che il lavoro per sé sia il padre della ricchezza, come pensò Adam Smith e come dopo di lui viene ripetuto dal volgo. La vita del selvaggio è sommamente faticosa, e sommamente povera. La fonte d’ogni progressiva ricchezza è l’intelligenza, che tende con perpetuo sforzo a procacciare a un dato numero di uomini una maggiore quantità di cose utili, o la stessa quantità di cose utili a un numero di uomini sempre maggiore» (Opere, VI, p. 398).

I vantaggi della concorrenza e del libero scambio

VENEZIA-LEPESCKYCattaneo riconosce comunque a Smith il merito di aver individuato nell’estensione della divisione del lavoro e degli scambi il motore principale dell’aumento della ricchezza e della prosperità generale: «Non ha senso l’accusa fatta a Smith che la sua dottrina della libera concorrenza non sia nazionale e politica, ma umanitaria e cosmopolitica, come quella che si indirizza a tutte le nazioni. La scienza è una sola. Il diviso lavoro è in economia ciò che in meccanica è il braccio di leva o la macchina a vapore» (Opere, V, p. 204). Il protezionismo e le barriere doganali sono profondamente contro natura perché pretendono di negare i dati di fatto della realtà: che gli uomini hanno talenti diversi tra di loro, e che le condizioni fisiche e climatiche non sono uguali in tutti i luoghi della terra.

Invece di permettere agli individui di mettere a frutto tutte le loto potenzialità, specializzandosi nelle attività in cui eccellono, il protezionismo li costringe a dedicarsi ad occupazioni scarsamente adatte alle circostanze in cui vivono, e che mai avrebbero scelto volontariamente: «Le attitudini ingenite sono soppresse; i favori della natura sono rifiutati; le indoli nazionali sono sommerse nel principio dell’uniformità universale delle nazioni. Queste sono le ultime conseguenze del principio protettivo, che toglie l’uomo dalle vie per cui la natura lo ha fatto, e lo sospinge zoppicone e ansante per vie che non sono le sue. I pesci devono volar per l’aria, e gli uccelli agitarsi nei vortici dei mari» (Opere, V, p. 192).  

La battaglia liberoscambista fu quindi sempre al centro della riflessione economica di Cattaneo, dato che in quel fenomeno che oggi viene chiamato globalizzazione vedeva l’unica possibilità per tutti i paesi, specialmente per quelli più piccoli, poveri, arretrati o privi di risorse naturali, di migliorare le proprie condizioni: «Tutte le storie ci attestano come la libertà fu cagione che immense ricchezze si potessero accumulare sopra paludose o aride o alpestri liste di terra, in Fenicia, in Grecia, in Liguria, nella Venezia, nell’Olanda, nella Svizzera. Il primato sui mari appartiene oggidì ad ambo i rami della stirpe anglobritanna, che è quella fra le grandi nazioni che serbò più fedele e costante il culto alla libertà. Le sue ricchezze sono maggiori di quelle degli altri popoli per forza di libertà, cioè per una causa che risiede nella sfera della volontà. Epperò, per nostro conforto, sono accessibili a tutte le nazioni» (Opere, V, p. 392-393).

Grazie al libero scambio – continua Cattaneo – il più piccolo stato può godere la stessa vastità di campo che gode lo stato più grande; al contrario, quando tutto lo spazio è ripartito in recinti, sta peggio e vive più languidamente quel prigioniero che ha il recinto più angusto. Coloro che propongono politiche di chiusura per evitare gli effetti della concorrenza internazionale non si rendono conto di condannare il proprio paese alla stagnazione e al sicuro declino, come la storia ha spesso dimostrato: «Poco invero giovò alla Cina il trincerarsi tra il mare e la muraglia; né, con un numero di sudditi eguale a mezzo il genere umano, sarebbe certo caduta in sì puerile fiacchezza, se la libera concorrenza avesse rinnovato le sue armi, ritemprata la pubblica ragione, accesa la face della scienza libera e viva. E che altro è il principio protettivo del signor List, e la sua economia nazionale, fuorché un’imitazione dell’infelice pensiero che incarcerò dietro una muraglia l’intelligenza cinese?» (Opere, V, p. 171).

Milizie popolari, non militarismo

Mises 4La libertà degli scambi tende inoltre ad affratellare il genere umano, rendendo ogni popolo interdipendente con tutti gli altri per la soddisfazione dei propri bisogni. Cattaneo dice che il libero commercio è una sorta di “reciproca assicurazione universale”, dato che una carestia di un bene in un certo luogo può essere supplita dalle eccedenze prodotte altrove. L’autarchia e il protezionismo, invece, sfociano inevitabilmente nel militarismo e nelle guerre di conquista, necessarie per procurarsi quelle ricchezze fuori dai confini nazionali non raggiungibili col pacifico commercio.

Ecco perché per Cattaneo, proprio come per Ludwig von Mises cent’anni dopo, il liberalismo è soprattutto la teoria sociale della pace, senza la quale non può esservi cooperazione volontaria tra gli uomini: «Una guerra, in qualunque parte del globo turba il commercio e l’industria di tutte le nazioni. Al contrario la quiete, la prosperità, la cultura d’un popolo torna in mille modi a giovamento di tutti gli altri; le invenzioni della scienza e dell’arte si propagano per tutta la terra, come la stampa, la locomotiva, la bussola, il telegrafo. Perciò tutte le nazioni hanno interesse a proteggere la libertà delle nazioni, e il loro incivilimento è il regno della giustizia su tutta la terra» (Opere, VI, p. 335).

Il liberalismo deve germogliare però dal basso, non calare dall’alto. Per Cattaneo la libertà non deve piovere dai santi del cielo, ma deve scaturire dalle viscere dei popoli, e chi vuole altrimenti è in realtà un nemico della libertà. Contrariamente quindi ai sostenitori di una pax romana, britannica o americana, cioè di un ordine imperiale basato sull’interventismo globale, Cattaneo preferisce guardare al modello militare svizzero, dove una milizia di popolo puramente difensiva prende il posto di un costoso e burocratico esercito permanente.

L’esercito stanziale, infatti, costituisce non solo un pesante onere economico per la società, ma anche un grave pericolo per la libertà, perché risponde a logiche burocratiche e tende ad essere il difensore interno delle oligarchie al potere. In una nazione armata come la Svizzera, dove l’esercito è formato da tutti i cittadini custodi delle proprie armi e periodicamente chiamati ad esercitarsi, ciascuno si sente difensore di casa propria, dei propri beni e della propria famiglia, e non strumento nelle mani di lontane ed estranee gerarchie.

Secondo Cattaneo, quindi, la “condizione suprema della libertà” poteva riassumersi nel motto militi tutti e soldati nessuno. Lo dimostra anche l’esempio della Francia e della Spagna, dove la libertà sanguinosamente conquistata sfugge continuamente di mano a causa delle forze eccessive accumulate in mano ai governi, mentre viceversa nella Svizzera e nell’America, ove ogni singolo popolo armato tiene “le mani sopra la libertà”, dopo averla conquistata non andò più perduta.

La forza di un esercito, infatti, non dipende dal numero dei soldati, ma dall’intima unione di volontà e di interessi tra chi da gli ordini e chi combatte, in modo che chi comanda abbia la medesima volontà e i medesimi interessi di chi obbedisce. È questa la ragione per cui le grandi potenze temono e rispettano la piccola Svizzera, forte del suo esercito popolare. Le “repubblichette svizzere” riescono infatti a difendersi da sole, mentre l’Italia, dotata di un maggior numero di ripari naturali, fortezze e navi, con un esercito che potenzialmente potrebbe essere dieci volte più ampio, non riesce ad avere un esercito efficiente, come dimostrato dall’esito disastroso delle terza guerra d’indipendenza.

Purtroppo tutti i regimi che si sono susseguiti in Italia dall’unificazione in poi hanno seguito logiche opposte a quelle raccomandate da Cattaneo. È questa la ragione per cui lo Stato italiano continua ad essere visto, in ampie aree del nord e del sud del paese, come un’occupante straniero, incapace di riconosce le particolarità, le tradizioni e le autonomie locali. Agli occhi di molti appare come un’entità estranea proprio perché unitaria, accentrata e burocratica, anziché federalista.

Per approfondire la conoscenza della vita e del pensiero di Carlo Cattaneo:

Romano Bracalini, Cattaneo. Il sogno dell’Italia federale e dell’autonomia dei popoli, Libreria San Giorgio, 2014.

Carlo Cattaneo, Una teoria della libertà. Scritti politici e federalisti, Einaudi, 2011.

Carlo Cattaneo, No allo Stato compatto, Barion, 2013.

Carlo Cattaneo, Federalismo, Mimesis, 2011.

(Le citazioni dell’articolo sono state tratte da queste due raccolte postume, fra le più complete, dei suoi scritti: Carlo Cattaneo, “Opere edite e inedite”, in 7 volumi, Le Monnier, Firenze, 1881-1892, a cura di A. Bertani; e Carlo Cattaneo, “Scritti politici ed epistolario”, in 3 volumi, Barbera, Firenze, 1891, a cura di G. Rosa e J. White Mario).

QUESTO SAGGIO E’ PUBBLICATO IN COLLABORAZIONE CON LA LIBRERIA DEL PONTE

 

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