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Flessibilità, il nuovo mantra dei keynesiani all’amatriciana

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mattarelladi MATTEO CORSINI

“Noi abbiamo attuato l’austerità con serietà e rigore, ora è il momento di dare maggiore impulso a ripresa e occupazione. È noto che serve nell’Ue una politica per una maggiore espansione”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sposa il punto di vista del Governo in merito alla cosiddetta flessibilità, un eufemismo usato per non dire esplicitamente che si vuole aumentare il deficit di bilancio.

Come molti, Mattarella sostiene che in Italia si sia attuata l’austerità, per di più con “serietà e rigore”. A mio parere non ha senso parlare di austerità se non c’è una consistente cura dimagrante per il multiforme apparato statale. Fenomeno del quale non vi sono tracce significative, come si può notare dalla mai diminuita spesa pubblica. I commissari alla spending review passano, ma la spesa pubblica non accenna a diminuire. La vera austerità è stata imposta ai pagatori di tasse, sottoposti a un carico crescente nel corso degli anni, proprio perché la spesa corrente non veniva ridimensionata. Renzi sostiene da due anni che lui le tasse le ha ridotte, ma le riduzioni ci sono quando scendono le tasse per tutti, non solo per alcuni, o, peggio ancora, quando si riduce una tassa e se ne aumenta un’altra.

Ciò detto, Mattarella sostiene che “ora è il momento di dare maggiore impulso a ripresa e occupazione. È noto che serve nell’Ue una politica per una maggiore espansione”. L’assunto sottostante è che con più deficit pubblico si darebbe impulso a ripresa e occupazione. Ma se questo fosse il caso, i Paesi che hanno accumulato nei decenni dei debiti pubblici enormi dovrebbero avere una disoccupazione rasoterra. Evidentemente non è questo il caso. Mattarella si limita a fare una affermazione senza dare alcuna motivazione su ciò che serve nella Ue. Ma c’è anche chi cerca di fornire motivazioni “tecniche” a queste invocazioni keynesiane. Tirando in ballo il mito del moltiplicatore fiscale.

Per esempio, Carlo Bastasin sostiene: “Se vi chiedono se siete a favore o contro la flessibilità di bilancio, vedrete negli occhi del vostro inquisitore avanzare armato un intero apparato ideologico a cui è difficile opporre l’unica risposta tecnicamente sensata: «più flessibilità? Dipende dalla stima del moltiplicatore fiscale». La scelta tra austerità e flessibilità dipende infatti dalla stima delle variazioni del reddito causate (moltiplicate, appunto) da una riduzione o da un aumento dello stimolo fiscale.”  Secondo Bastasin, quindi, chi si oppone all’aumento del deficit lo fa per motivi ideologici. A parte che la stessa cosa potrebbe essere affermata con riferimento a chi è favorevole all’aumento del deficit, il moltiplicatore “funziona” nella costruzione di un modello più o meno matematicamente complesso, ma funziona molto meno nella realtà. Se non fosse così, dopo 80 anni di keynesismo si sarebbe arrivati a prevedere correttamente la sua entità e il suo funzionamento in date circostanze.

Il fatto è che le assunzioni da fare richiedono un forte grado di soggettività, e non potrebbe essere altrimenti, per almeno due motivi. In primo luogo, perché per lavorare a livello macro si finisce per aggregare dati tra loro necessariamente non omogenei. In secondo luogo, perché anche se si potesse lavorare a livello micro, occorrerebbe avere la sfera di cristallo per prevedere le reazioni allo stimolo fiscale, dato che gli stessi soggetti reagiscono in modo diverso in momenti diversi. Se così non fosse, considerando la sofisticazione delle tecniche econometriche sviluppate nel corso dei decenni e la quantità di serie storiche sempre più ricche a disposizione degli economisti, la previsione dei moltiplicatori dovrebbe essere divenuta molto accurata. Eppure il dibattito si trascina da anni senza che si sia giunti a una conclusione, il che, a mio modesto parere, è dovuto proprio al fatto che ad agire sono individui e non aggregati, e che gli stessi individui non reagiscono sempre allo stesso modo a parità di stimolo.

Lo stesso Bastasin in parte lo riconosce: “Il problema è che non è facile avere una stima affidabile del moltiplicatore…. Come se non bastasse, non esiste un solo moltiplicatore per ogni economia, ma l’effetto sul reddito della politica fiscale cambia a seconda delle circostanze: dipende dalle condizioni strutturali dell’economia, dalla fase del ciclo (è più alto quando si è in recessione), così come dalle dimensioni della manovra. Dalle evidenze empiriche emerge che gli effetti delle politiche fiscali cambiano se si è in una situazione di stress finanziario, se le condizioni del credito sono difficili, se il sistema bancario è vulnerabile, se la politica monetaria è restrittiva, oppure se esistono ragioni specifiche, anche di natura politica, che influenzano le decisioni di consumo delle famiglie.” Ciò nonostante, non trae la conclusione che sia meglio accantonare l’idea di manipolare mediante interventi fiscali e monetari l’andamento dell’economia.

L’aspetto più interessante nei rapporti tra l’Italia e la Commissione europea è proprio che esistono effetti di breve termine che non sempre vanno bene nel lungo termine. La flessibilità quindi non può essere permanente. Perché se dopo la recessione non rientra, finisce per produrre solo debito pubblico quando l’economia si riprende e il moltiplicatore si azzera. Questo forse spiega il pasticcio in cui ci siamo ficcati. Va bene la flessibilità, perché in Italia il moltiplicatore può essere alto (troppa perdita di reddito negli anni passati, utile il tentativo di stabilizzare il credito e bene il fatto che i tassi siano a zero). Molto bene anche la giustificazione degli investimenti. Su questo tipo di flessibilità la Commissione europea dovrebbe schierarsi esplicitamente con Roma e in particolare proprio Juncker il cui piano di investimenti non si dimostra efficace. Tuttavia al tempo stesso il governo italiano deve riconoscere che la flessibilità (in parole non mascherate, la violazione degli obiettivi di medio termine concordati) non può essere uno stato permanente e va condizionato all’obiettivo di stabilità fiscale di lungo termine, cioè alla riduzione del debito che infatti è l’obiettivo del ministro Padoan. Se lo scontro polemico mette in dubbio l’equilibrio tra politiche di breve e di lungo termine, si mette a rischio anche l’efficacia della flessibilità conquistata.”

À, a fronte del keynesismo renziano della flessibilità permanente, Bastasin propone il keynesismo “responsabile” del “più deficit oggi, ma meno deficit in futuro”.

A parte i problemi sopra evidenziati, anche volendo tralasciare le considerazioni sull’aggressione alla proprietà privata connessa a qualsiasi intervento redistributivo, esiste un ulteriore problema derivante dall’osservazione empirica: il futuro, nella pratica, diventa presente solo quando vi è un vincolo esterno, che derivi dalla Commissione Ue o dallo spread. E in quei casi i pagatori di tasse sono bastonati ulteriormente per non intaccare le spese nel frattempo poste in essere in nome della flessibilità.

 

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1 COMMENT

  1. Mattarella e bastasin sono obsoleti.
    Qui pare che la casta di potere sia capace solo a spendere e far debito, sulla base di tasse espropriative e riduzione della proprietà privata e della produzione industriale.
    Spesa e debito non possono continuare all’infinito.
    Risparmio e credito entrano in una normale gestione di una qualsiasi azienda.
    Ma si sa, lo stato non è un’azienda , bensì una vescica sfonda.

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