di PAOLO BERNARDINI
La prima riflessione è ovvia, e accompagna ormai diverse elezioni presidenziali americane: ma se sono così divisi, chi glielo fa fare di rimanere uniti? E questo per quanto il grado di unione in una federazione sia qualcosa di diverso rispetto al maledetto centralismo italiano e francese, insomma, il legame di Sacramento o Austin con Washington D.C. è assai diverso rispetto a quello di Milano e Firenze con Roma.
Ma non parliamo della povera Europa, fatta oggetto di strali – in parte giustificati – dallo stesso Trump. Su questi temi la rivista ospita in questi giorni autorevoli scrittori, come Napolitano e Montanari, le cui opinioni del tutto condivido. E che quindi non ripeterò qui e ora.
Qui e ora, vorrei parlare di un film veramente particolare, il sequel di Joker. Ebbene, ieri a Limena, in provincia di Padova, ero il solo spettatore in sala, né negli USA, né in Europa il film ha avuto grande successo, nonostante due attori formidabili – riesco perfino a perdonare a Lady Gaga il fatto che si sia schierata “toto corde” con la Harris – anche perché non è stato dichiarato fin dall’inizio come appartenente ad un genere ben definito, quello del musical.
Insomma, con un Phoenix stellare, iconico, e una Lady Gaga non da meno, che cosa dice, che cosa “ci” dice “Folie à deux”? Può dirci molte cose, a seconda di come lo si interpreti. Personalmente, lo rivedrei mille volte, per cercare di comprendere il vero significato di ogni scena e sequenza. Nel tempo – come del resto accade per molti film, di grandi Maestri come lo stesso Coppola (e presto parlerò di “Megalopolis”) – il film sarà apprezzato per quel che è. Forse, un capolavoro.
Ma già nel titolo parla di una tragedia. La tragedia americana. Il dover sostenere una finzione – che è forse proprio la finzione della federazione, dello Stato ancorché parzialmente unitario – perché se non la si sostiene si corre il rischio dell’abbandono, della disgrazia, della morte. Joker muore dopo che depone per sempre la sua maschera, che ha i colori, blu rosso bianco, proprio della bandiera americana. Ma è una maschera da buffone. Lo abbandona la sua bella audace compagna, i suoi seguaci, perde il rispetto dei suoi aguzzini in carcere, che ne decretano la morte (forse suggerita da chissà quali poteri).
Il potenziale anarchico di Joker scema, egli riesce paradossalmente a mantenerlo finché porta una maschera con i colori della bandiera americana. Dunque, si può essere veramente ribelli solo nella misura in cui si è integrati? Solo se si fa parte pienamente del sistema? Un sistema orrendo, di carceri piene di torturatori – Brendan Gleeson è attore meraviglioso, da un’altra epopea libertaria (l’australiano “The Proposition”) a questa è cresciuto ancora – di tribunali terrificanti, di cure psicologiche carenti, di sozzure di ogni tipo.
Ma ecco che quel che alle strutture di Stato si oppone – ogni ribellione prende nei film di Hollywood la maschera rossa e violenta dell’anarchia (“La maschera dell’anarchia”, il poema di Shelley del 1819, aleggia come una maledizione su queste rappresentazioni, frutto dell’orrore provato dopo i massacri di Peterloo da un aristocratico alla fine molto conservatore, ormai dovrebbe appartenere alla storia della letteratura ma così sfortunatamente NON è), assume tratti pericolosi e sconcertanti, con masse mascherate da clown, figuri violenti e minacciosi, autobombe.
Joker odia il sistema di stato, ma non abbraccia neanche quello anarchico, salvifico (se fosse correttamente inteso, e altrettanto correttamente rappresentato). Vede la sua individualità minacciata da entrambe le situazioni, quel che rende Hollywood alla fine tanto conservatore quanto lo sono tutte le espressioni apparentemente sovversive della società (perfino portali pornografici come xvideos), e sceglie di arrendersi, e dunque di lasciarsi morire. Deposta questa maschera, la maschera coi colori della bandiera americana (colori di quella inglese, col blu francese e sabaudo che ci mette il suo diabolico ingrediente), è indifeso. Ma soprattutto non è più nulla.
Quanta angoscia trapela da questo film! L’angoscia di una società ricca che potrebbe davvero rendere i suoi individui felici, se la schizofrenia macroscopica del suo sistema, una federazione perfetta con un “big government” che però cresce sempre di più, facendo danni globali, venisse eliminata alla radice.
Se 50 stati non fossero più “uniti”, ma beatamente individualisti come nel magico periodo della storia americana che va dal 1776 al 1788, quando la Costituzione entrò in vigore ponendo in essere gli USA! Che prima era solo 13 colonie.
Tante sono le letture di “Joker II”. Questa è la mia. Ovviamente è grande “opera aperta”, ne tollererà molte altre, in aspro contrasto, in immagino, sia con la mia, sia tra di loro. Intanto l’America annega nel prozac, nel fentanyl, nel grasso umano: 120 milioni di obesi, come se l’Italia si sdoppiasse e fosse popolata da cicciobomboli inquietanti e assai spesso dipendenti da altri , senza nessun magro o “normale”. Eppure gli Stati Uniti sono il Paese più ricco del mondo, patria di un capitalismo avanzato che non è solo quello legato allo Stato federale, per fortuna. Che il loro dramma derivi proprio da questa libertà così forte, alla base della loro stessa esistenza come principio e come status, limitata però orrendamente da un governo “centrale” che diventa sempre più grande, che si sta imponendo da tempo come il principale datore di lavoro del Paese, e che cresce sempre più anche nella coscienza dei cittadini?
Non lo so. Indipendentemente da chi ha vinto, il dramma rimarrà, finché i 50 stati non torneranno libere entità, e la federazione sarà, in modo articolato e meditato, dissolta. Se no si vivrà per sempre, o perlomeno ancora a lungo, la terribile schizofrenia di Joker. Folie à deux, per l’appunto.