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Fuori dall’euro e dall’europa, che tanto piacevano alla lega e a salvini

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padaniaeuropadi LEONARDO FACCO

Essere contrari al Leviatano europeo non è una colpa, tantomeno un’eresia. Troppo comodo e sospetto, invece, essere “anti-europeisti” quando lo sono più o meno tutti e, soprattutto, quando conviene elettoralmente. Oggi, Matteo Salvini, pur non rinunciando allo scranno da europarlamentare (tale quale Borghezio o altri che si sono arricchiti facendo gli euro-deputati in salsa italo-padana), fa del “Via da Bruxelles e dall’euro” la ragione di vita del partito di cui è stato eletto segretario da poco.

Per chi conosce la storia della Lega (e anche di Salvini, arcinoto yes-man bossiano) sa bene che il Carroccio è stato europeista per lungo tempo, anti-europeista a corrente alternata, ma sempre senza mai avere un briciolo di rigore teorico rispetto a quel che andava predicando.

Nel 1989 sui manifesti che elaborava Bossi in persona appariva questo slogan: “Sì all’Europa che sposta il capitale e non i lavoratori”. Nel 1983, nel programma elettorale della Lega Autonomista Lombarda stava scritto: “Per la costruzione di un’Europa fondata sull’autonomia, il federalismo, il rispetto e la solidarietà diretta fra tutti i popoli del continente, e quindi tra Lombardi ed ogni altro popolo”. Ancora Umberto Bossi, a  Pieve Emanuele nel 1991 (anno ufficiale di nascita della Lega Nord) urlava ai presenti: “Il nostro progetto nasce a misura d’Europa, cioè di un moderno sviluppo economico perché lo Stato nazionale tradizionale è al contempo sia troppo piccolo, sia troppo grande.

Sino al 1996, la parola d’ordine di Bossi era il federalismo che guardava oltre le Alpi, spesso accompagnato da un altro sostantivo, liberismo: “Questa anzi – scriveva il “capo” in uno dei libri firmati insieme a Daniele Vimercatiè l’ultima opportunità, per l’Italia, di entrare tutta intera in Europa, scongiurando il rischio che la piccola e media impresa del Nord, appesantite dall’assistenzialismo, scelgano la via dello strappo, decidano di fare da sé. Il federalismo liberista, insomma, non è l’anticamera, ma l’antidoto della secessione”.  Compreso bene? Nel 1996, il problema delle pmi erano l’assistenzialismo e l’Italia, mentre l’Europa era un’opportunità da percorrere senza tentennamenti.

A dimostrazione che la Lega Nord non metteva affatto in discussione l’idea di entrare a far parte “dell’Europa dell’Euro”, è emblematico ricordare come, ad un certo punto, venne sconfessato l’ex ministro Giancarlo Pagliarini, che andava proponendo la soluzione dell’uso della “doppia moneta” (che tra i militanti era diventata popolarissima), ovvero la possibilità che le regioni più forti d’Italia (quelle padane) entrassero nell’Euro subito, mentre le più deboli potessero continuare ad usare anche la Lira. La proposta di Pagliarini venne cavalcata a spron batturo dall’allora segretario, ma finì nel dimenticatoio (insieme al suo ideatore) nel momento in cui il Carroccio siglò il famigerato accordo con Forza Italia ed il ritorno all’alleanza con Silvio Berlusconi.

Per fare buon viso con i futuri alleati berlusconiani, Bossi (e tutti i suoi colonnelli di riflesso, sempre e solo yes-men) presero anche le distanze da Jorg Haider, con cui avevano ammiccato, seppur a corrente alternata, nel periodo in cui la Lega (sola all’opposizione dopo le elezioni del 1996) sparava a zero contro il Superstato europeo. Bossi veniva spesso attaccato dall’opinione pubblica per la sua vicinanza al leader dell’FPÖ (considerato di “estrema destra”, che intervistai  a Klagenfurt insieme a Gianluca Savoini). Onde evitare problemi coi futuri alleati “fedeli sia al tricolore che all’idea di entrare a petto in fuori nel circolo di Maastricht”, il senatur fingeva quasi di non conoscerlo. C’è un aneddoto, in proposito, che ho vissuto in prima persona.

Nel dicembre del 2000, presi infatti parte ad un convegno intitolato “Europa l’ultimo leviatano. Le ragioni dell’altra Europa”, organizzato dalle riviste Enclave (di cui ero direttore), Federalismo & Libertà e dal Cidas di Torino, quelli della marcia anti-fisco del 1986. All’evento parteciparono l’inglese Lord Harris of High Cross (già consigliere economico della signora Thatcher), lo svizzero Robert Neff, l’americana Wendy Mc Elroy (autrice di un mio libro) e diversi altri intellettuali italiani. Un parterre vario e di altissimo livello. Come organizzatore, proposi di invitare Jorg Haider, sapendo che il suo nome avrebbe attirato l’attenzione della stampa. E così fu. I giornali arrivarono e la notizia divenne di pubblico dominio. Roberto Calderoli (segretario della Lega Lombarda), infastidito dal clamore dell’evento, mi chiamò a rapporto ed iniziò a dirmi che non dovevo invitare Haider, che quel nome era scomodo per la Lega in quel momento, che io ero un giornalista de “la Padania” e che a lui, leggasi al partito, la faccenda non garbava. Era il 3 dicembre del 2000. La mia risposta fu perentoria: dissi al deputato bergamasco che io non ero tesserato Lega e che quindi organizzavo, con i miei soldi, quel che mi garbava; che il quotidiano leghista mai era stato citato nell’organizzazione del convegno; che il fatto che Haider rappresentasse per loro, in quel momento (poco dopo riallacciarono i rapporti ufficiali, grazie anche a Stefano Stefani) un problema politico, non mi riguardava affatto. Diedi immediate dimissioni. E me ne andai.

Sinteticamente: ritenere quest’Europa dei burocrati e dei parassiti una disgrazia ed un nemico della libertà non è certo un insulto o una bestemmia. Nigel Farage è encomiabile in tal senso. C’è chi – come il sottoscritto, insieme a tanti altri libertari, lo va dicendo da quasi due decenni. Alzare, invece, all’ultima ora la bandiera dell’enti-europeismo e del “no” alla moneta unica (senza neppure avere cognizione di causa in merito a quel che potrebbe accadere) è solo demagogia politica, la stessa demagogia che fa della Lega Nord il partito con 20 anni di promesse non mantenute alle spalle. Sarà utile a raccattare qualche voto nelle urne (la demagogia paga). Sarà, tuttavia, inutile per costruire un vero progetto indipendentista e coerentemente liberale. Ma si sa, Salvini ha già scelto il nazionalismo.

IL 9 GIUGNO 2015, MESSO ALLE STRETTE DA ABETE, SALVINI CONFERMA: “IO NON VOGLIO ANDARMENE DALL’EUROPA”

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1 COMMENT

  1. L’europa come patria allargata comune è una favola sotto ogni aspetto.
    Non è mai stato e non sarà mai così.

    Per semplificare, l’hanno messa in un bigoncio e ogni tanto rimestano pensando di migliorarla.
    In realtà è come la merda.
    Più la rimesti , più puzza.
    Ecco l’europa.

    Quanto ha detto o fatto la lega nel passato e fino ad oggi, ebbene non conta un tubo.
    Come diceva bossi in uno dei suoi momenti di creatività , si tratta di una scorreggia nello spazio.

    Affanculo lega e europa.

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