di GILBERTO ONETO
Serve ritornare sui risvolti “politici” delle sciagure ambientali di Genova e di altre parti di territorio.
I commenti giornalistici (ma anche di alcuni dei lettori di MiglioVerde) insistono sugli errori della macchina amministrativa (appalti, ritardi eccetera). Il “fenomeno” quirinalizio ha sermonato di fatti “sbalorditivi e sconvolgenti” da attribuire a “inerzie locali, a lungaggini burocratiche”. Subito dal governo si sono affrettati a dire che 8.000 e passa Comuni sono troppi: così, dopo le Province, comincerà l’attacco ai Comuni perché si sostiene siano i poteri locali il luogo di ogni nequizia. In verità le amministrazioni locali sono stipate di biechi personaggi ma se – soprattutto in Padania – questi possono far danni indisturbati è perché esiste lo Stato italiano, che li lascia fare, li incoraggia, da loro gli strumenti e anche il cattivo esempio. Lo Stato rapina individui e comunità delle loro ricchezze, ne trattiene una grossa porzione per le sue porcherie e per i suoi “minuti piaceri”, e ridistribuisce il poco che avanza secondo criteri funzionali ai propri melmosi interessi.
Le nostre amministrazioni non raccolgono i denari delle tasse e li usano – come sarebbe giusto – per le necessità delle loro comunità (dando allo Stato la piccola percentuale che serve per i pochi servizi che gli spettano davvero) ma fanno i passacarte, i lacchè del potere centrale: possono, se sono brave, utilizzare con saggezza il poco che hanno oppure, se non sono “brave” (cioè, piuttosto spesso), fare giochi di prestigio distribuendo spiccioli fra amici, parenti, sodali, confratelli di loggia e soci di partito.
Nel caso genovese l’italico trucco è piuttosto evidente: i soldi vanno a Roma che ne restituisce un po’ ai compagni di merende locali, che fa e disfa leggi urbanistiche, che costringe gli amministratori a “fare cassa” con oneri di urbanizzazione e con la svendita del territorio, che impone il suo controllo con prefetti, soprintendenti, commissari ed “eccellenze” varie. L’Italia distribuisce qualche elemosina ma poi veglia anche su quella: Tar, “maggistrati”, polizie, commissioni e avvocature controllano che tutto vada al posto giusto. Giusto per l’ambaradan tricolore, ovviamente.
Questo non significa che la Padania non produca furbacchioni e mascalzoni, non sia da sempre piena di gente che cerca di mettere le mani nelle tasche altrui nascondendosi dietro all’idea di governo. Quando le comunità padane erano indipendenti si erano però date regole che cercavano di contenere il fenomeno entro limiti fisiologici e di punirlo con severità. Venezia era addirittura feroce nel controllo dei suoi funzionari, Genova aveva tolto al potere politico la gestione delle “palanche”, il Lombardo-Veneto era un gioiello di efficienza e correttezza e anche tutti gli altri Stati mantenevano uno standard di moralità di livello europeo. Lo stesso vale per la gestione del territorio: la Serenissima aveva un patrimonio normativo di eccellenza e il catasto asburgico era di proverbiale qualità. Poi è venuta l’Italia. Poi è venuto lo Stato unitario, patriottico, tartufesco, ladro e piuttosto mafioso.
Oggi non serve dare la colpa a questo o quell’amministratore, neppure a questo o quel partito (anche se qualcuno ha vocazioni alla mascalzonaggine più radicate di altri) ma ci si deve rendere conto che il problema è lo Stato italiano, che la causa di ogni male si chiama unità d’Italia.
A Genova in questi giorni la cosa ha trovato una sua evidenza fisica che solo i ciula non vedono.
Assieme a qualche Quisling ligure, a qualche collaborazionista (sindaci, politici, guitti…), che si è preso la sua meritata dose di insulti, si sono visti tanti liguri per bene, quelli che hanno subito i danni e quelli che sono corsi in aiuto. I volontari sono tutti indigeni, salvo qualche “ospite” in posa in foto di anni fa e spacciate per odierne sulla rete. Come si è invece presentata l’Italia? I cronisti che vanno in giro a fare domande cretine con accento meridionale; le autorità che hanno dilazionato di un giorno il pagamento delle tasse o che hanno organizzato una partita di calcio per permettere ai genovesi di fare beneficienza a sé stessi; i poliziotti che hanno coraggiosamente affrontato gli spalatori a suon di “leinonsachisonoio” o “favorisca i documenti”, anzi “i doccumenta”. C’è in giro un video agghiacciante che mostra l’episodio del confronto Stato-cittadini in tutta la sua tricolore cromaticità: che Genova sia la città della scuola Diaz non migliora la sensazione. Lo Stato italiano è arrivato sul posto anche con le sue truppe ausiliarie: nei primi due giorni di sciagura sono stati fermati (e poi prontamente rilasciati) 14 sciacalli, sorpresi a rubare nei negozi alluvionati: due nordafricani, due portoghesi, una bosniaca, quattro rumeni e altri cinque “dell’Est”. Eja, eja, alalà!
La frana è iniziata 150 anni fa: per Genova addirittura due secoli fa. Per questo fa danni più evidenti. La frana è tricolore.
Ottimo articolo!
Ottimo articolo. Grazie Gilberto. Avrei una sola osservazione per i liguri in generale e per i genovesi in particolare: “Ma il letame catto comunista che vi amministra da decenni ve lo siete eletto voi si o no ?
Scusi, ma con un’osservazione del genere mi sembra che Lei non abbia letto l’articolo, o non l’abbia capito.
Mi permetto di farLe una domanda: è così sicuro che se Genova e la Liguria fossero state governate da politici di un altro colore le cose sarebbero oggi radicalmente diverse?
Gilberto sei veramente un grande!!!!!
Se soltanto quei craniolesi della dirigenza leghista dovessero mettere in pratica metà dei tuoi consigli saremmo apposto!
Invece che cercare di mettere in difficoltà lo stato itagliano in tutti i modi possibili e immaginari, e seguire una linea politica gioco forza indipendentista, i nostri prodi dirigenti si prodigano invece in avventure sempre più tricolorute parlando sempre più spesso di nostro paese riferendosi all’itaglia( IL LORO PAESE FORSE) e stringendo accordi con movimenti di destra ( LE PEN, frattelli d’ittaglia) ed inglobando pure nella lega ( forse lega nera) fascistelli vari.
Che dobbiamo fare?