Forse non tutti sanno che il mai troppo compianto Prof. Miglio, ormai 20 anni fa, diede alla stampe uno straordinario pamphlet, dal titolo più che eloquente: “Disobbedienza Civile”. In questo scritto, Miglio andò alla riscoperta di una figura tanto affascinante, quanto negletta, nell’ambito dell’asfittico contesto italiota: quell’Henry David Thoreau, che, in nome del diritto alla resistenza individuale e della disobbedienza civile, affermò, nei fatti peraltro, che è del tutto ammissibile non rispettare le leggi quando esse vanno contro la coscienza e i diritti dell’uomo. Thoreau è un classico del pensiero libertario, che influenzò, in seguito, anche personaggi del calibro di Gandhi e Martin L. King. Miglio se ne servì quale formidabile prisma, per formulare delle radicali e profondissime riflessioni sullo stato di prostrazione, morale prima ancora che economica, in cui versava questo simulacro di Paese all’indomani del ciclone di Tangentopoli. Quando, per dirla tutta, si stava ancora bene…
Ma quel che ancora, forse, in meno sanno è che qualche anno più tardi, nel 2001 per la precisione, venne edito un bellissimo e storico numero di una rivista, “Quaderni Padani” (num. 37 e 38), dedicato allo straordinario spessore intellettuale del Professore lariano, venuto a mancare qualche mese prima. Il titolo era emblematico: “Gianfranco Miglio: un uomo libero”. Si trattava di una bellissima raccolta di saggi, di scritti, di punti di vista e suggestioni che onoravano e omaggiavano la statura, scientifica ma forse ancor più morale, di uno dei più grandi scienziati della politica, cui questo disgraziato Paese ha dato i natali. Un’antologia magistralmente curata, da cui traspariva passione, trasporto, condite da una competenza e da una professionalità fuori dal comune. Il curatore era un giovane brillante, acuto e di belle speranze. Al curatore toccò anche la stesura di un pezzo importante ed impegnativo, che rendesse giustizia alla figura dell’ultimo Miglio, quello, per così dire, libertario e secessionista. Ne uscì un affresco memorabile, bellissimo, che ancor oggi, a distanza di anni, mi tocca le corde del cuore e mi induce ad un continua elaborazione di pensieri e di riflessioni. Il titolo non poteva essere più azzeccato: “Disobbedire ai tiranni è obbedienza a Dio. Il diritto di resistenza in Gianfranco Miglio”. Lo scritto è denso, articolato, argomenta e spiega con dovizia di particolari: si parla di diritto alla resistenza, si ricostruisce la coeva situazione italiana, si introducono i concetti di resistenza civile e di sciopero fiscale. Ma, per darvi un’idea del respiro dell’opera conviene forse citare qualche passo, preso qua e là, dall’ autore. Ma ciò non rende comunque ancora l’idea delle emozioni che il testo veicola.
Tutte le riflessioni finora svolte hanno un grande peso nella determinazione dei rapporti che devono intercorrere tra il cittadino e le istituzioni politiche. Affermare che quello ha dei diritti, significa anche riconoscere che queste hanno dei limiti. D’altra parte, non ha alcun senso né pare ragionevole scagliarsi contro gli antichi sovrani “per diritto divino” e poi riconoscere ai moderni parlamenti poteri ancora superiori, solo perché legittimati dal voto. Tale convinzione, infatti, non intacca minimamente la legittimità delle prerogative della corona, ma si limita a mutarne la fonte: in passato Dio, oggi quel dio volubile e capriccioso che si chiama “maggioranza”. Difendere il diritto del singolo a ribellarsi contro un governo tirannico, d’altra parte, conduce analogamente ad affermare il diritto delle comunità politiche a non essere oppresse da un lontano governo centrale. Nel momento in cui tale riflessione si innesta sul corpus delle teorie neofederali, si perviene a una nuova immagine del diritto di secessione: visto come estrema forma di resistenza da parte di una comunità locale contro l’invadenza dello Stato.( p. 104)
La forma migliore in cui la disobbedienza civile può manifestarsi ai giorni nostri, secondo Miglio, è quella dello “sciopero fiscale”: i cittadini si rifiutano di finanziare, attraverso le proprie tasse, uno Stato non avvertito più come legittimo, anche ammesso che tale condizione si sia mai verificata. Questa pratica gode infatti di tutti i requisiti sopra esposti (in particolare quello della non-violenza) e ha il pregio non solo di puntare l’indice contro un comportamento illecito del governo, ma anche di mettere in discussione i mezzi con cui quest’ultimo persegue i propri scopi. Infine, lo sciopero fiscale può essere uno strumento davvero efficace, in quanto – se riceve ampia adesione – può perfino privare lo Stato della forza economica necessaria a porre in atto qualche forma di repressione. (p. 102)
È del tutto evidente, insomma, che l’Italia presenta una situazione particolare. Da un lato, non vi è, perlomeno in un senso stretto, una dittatura – se non quella, dal sapore molto orwelliano, del sistema, della burocrazia, delle procedure. D’altra parte, è pur vero che i cittadini sono sottoposti a un regime politico e fiscale insostenibile, soprattutto in quelle regioni che sono “esportatrici nette” di tasse. Lo scontro in atto nel paese, insomma, è quello tra tax payers e tax consumers. Le due “fazioni”, però, sono piuttosto ben delineate anche da un punto di vista geografico, ed entrambe subiscono con insofferenza l’immane mole di leggi e regolamenti che quotidianamente il Parlamento e i ministeri (e tutti gli altri centri di potere) emanano. (p.99)
E poi, forse in uno dei passaggi più belli e suggestivi, il nostro autore, nonché curatore del volume, giunge ad affermare: In altre parole, ognuno dovrebbe essere vincolato a pagare unicamente in funzione di quanto effettivamente fruisce dei beni forniti dallo Stato; e non dovrebbe parimenti essere contemplata la possibilità di sottoporre a balzelli altro che questo. Anzi, nel momento in cui il fisco mette gli occhi sul bene per eccellenza visibile e non occultabile, la voce di Miglio si alza forte e chiara: «affermo che su tali beni il fisco non deve pretendere nulla: perché essi costituiscono, per così dire, una estensione fisica e un complemento necessario della persona che li possiede e li usa. In caso contrario, tanto varrebbe sottoporre a imposta la salute o la bellezza di un cittadino»” . (p. 102)
E sapete di cosa stava parlando il Profesur? Della casa, non importa se prima, o seconda, di tutti quegli immobili abitati dai proprietari, che stavano per subire una prima forma di taglieggiamento con quella che, nel 1992, ad opera del giammai troppo venerato “statista” Giuliano Amato, si presentò come la progenitrice della futura ICI. Stiamo parlando della ISI, Imposta straordinaria sugli immobili (ISI). Orbene, per Miglio, il problema non era quello di negare “a chi comanda il potere di tassare: ma di discutere la struttura e l’incidenza del sistema impositivo, e , soprattutto la legittimità di talune imposte. È il caso, che qui intendo sollevare, dell’Imposta Straordinaria sugli Immobili (ISI), e in generale, della tassazione sulle abitazioni”.
Se siete arrivati sin qui, e vi siete appassionati alla storia, vi sembrerà perlomeno strano una cosa: che non abbia ancora nominato il nome di “giovane brillante, acuto e di belle speranze”. Sì, chi sarà mai ad aver profuso sì belle ed accorate parole?
Forse è meglio troncare qui il discorso, perché, ancorché si dica che sono solo gli stupidi a non cambiar mai idea, il solo pensiero che chi ha scritto, affermato, argomentato tali cose possa essersi “venduto l’anima al diavolo” mi fa raggelare il sangue. È un autentico colpo da ko, una fucilata nelle spalle, una pugnalata al cuore. Soprattutto se chi, mentre oggi implora Letta di non toccare l’IMU, chiosava così la sua introduzione al volume.
Questo numero dei Quaderni Padani è stato realizzato da costoro per i loro simili; da uomini liberi per altri uomini liberi. Con la speranza che nessuno che non appartenga a tale categoria allunghi mai le mani sulla memoria del Vecchio Professore, che invece costituisce un’eredità irrinunciabile per tutti noi. Nemesi storica, verrebbe da dire. E nel giorno, peraltro, del 100º anniversario della nascita di Leoni, al quale fu intitolato un istituto che il nostro giovane ha contribuito a fondare. Oggi entrambi non troveranno pace, e non se ne capaciteranno. Riposino in pace.
*Vista la polemica innescata in questi giorni, in cui qualche ente locale ha deciso di far pagare l’IMU sugli immobili scolastici di proprietà della Chiesa (sulla base di una sentenza della magistratura), rilanciamo questo articolo puntuale, ed anticipatore del dibattito odierno, su come le tasse sulla casa siano a dir poco immorali, per insistere sulla nostra battaglia contro ogni forma di tassazione.
Non può avere scritto lui quelle parole. Si sarà servito di un ghostwriter, da bravo millantatore di lauree. Oltre che essere un voltagabbana, era anche un inetto. È spaventoso pensare che un uomo di quella consistenza morale e intellettuale sia assurto, nell’immaginario popolare lombardo, al ruolo di eroe, ispiratore e condottiero.
Sempre viva il Professor Miglio.
sempre! Ma chi ha scritto quelle cose non è il millantatore di lauree è un consigliere di un ministro del governo Renzi.
indagherò. Non ho idea di chi sia 😀
Uno che con il millantatore ha fondato FARE.
Fosse crepato bossi al posto di Miglio oggi, certamente, le cose andrebbero diversamente.