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Gli indipendentisti si battano per un’informazione libera

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giornali (1)di ENZO TRENTIN

Il lettore, lo spettatore, l’ascoltatore radiotelevisivo e l’utente web appaiono ovunque protagonisti dell’informazione. Sono censiti, contati, persino vezzeggiati, ma in realtà sono ridotti a oggetti inconsapevoli, a massa indistinta di consumatori indifesi. Non sono titolari di alcun diritto. Il pubblico-lettore si difende come può e arretra: abbandona progressivamente gli strumenti più “difficili” e soggiace a quelli più “facili”. Va sempre meno in edicola ad acquistare i quotidiani e giace di fronte alla TV assimilando le improbabili e manipolate notizie televisive che gli si accavallano nella mente in un guazzabuglio di fiction e di news, comincia e rifugiarsi nel web dove rischia d’essere travolto da una massa indistinta e non selezionata di informazioni vere e false.

Se i cittadini non hanno strumenti corretti e plurimi per farsi un’idea appropriata dei temi politici correnti, sarà sempre più illusoria la maturazione di una “società civile” in grado di svolgere costantemente una verifica e una valutazione dell’operato del governo e delle forze politiche. In questo quadro, al quale deve aggiungersi la progressiva dissoluzione della stampa cartacea, non si comprende come molti attivisti politici dediti all’indipendenza di questo o quel territorio dall’inefficienza dello Stato italiano, siano attratti da una sorta di onanismo, o ejaculatio praecox per dieci righe strappate ad un giornale o una citazione in un media qualsiasi.

Si noti che alla vigilia di Ferragosto con avviso di crisi al quotidiano “Il Gazzettino” di Venezia l’editore Caltagirone, annuncia un piano di 18 esuberi (oltre a 27 prepensionamenti e 8 nuove assunzioni), senza escludere misure più drastiche se non ci sarà la possibilità di ricorrere ai pensionamenti anticipati. Troppe le “spie di allarme”. Peraltro, appena il 6 agosto scorso, mentre il Parlamento votava la pianificazione del governo per i fondi destinati ai prepensionamenti e alla nuova occupazione dei giornalisti, lo stesso editore presentava un piano di 24 esuberi netti (36 prepensionamenti e 12 assunzioni) al “Messaggero” di Roma. Situazioni simili si annunciano in altre realtà editoriali. L’editrice dei quotidiani “L’Arena” di Verona, “II Giornale di Vicenza” e “Bresciaoggi” riduce l’utile a 248 mila euro (-96% dal 2003).

La società editrice Athesis, cui le testate appartengono, e che controlla anche le emittenti Tele Arena, Brescia TV, Tele Mantova, oltre alla casa editrice vicentina Neri Pozza, soffre la crisi che investe il Nordest, malgrado i costi del personale siano stati abbattuti del 44% negli ultimi 10 anni. Il calo sfiora così il 100%: -96,5%. Per risanare i conti non è dunque bastato ridurre del 44% (dai 13.938.196 euro del 2003 ai 7.848.646 di fine 2013) i costi del personale (tra salari e stipendi giornalistici e non). Sotto la lente finisce peraltro anche il conto economico della Publiadige, concessionaria di pubblicità delle testate Athesis, che ha registrato nel 2013 una perdita di esercizio di 1.650.684 euro (l’anno precedente il passivo era stato inferiore di circa un milione, pari a 657.438 euro per l’esattezza). Il fatturato totale della concessionaria è passato da 46,8 milioni a 42,4 milioni. È quindi tutto un modello di business che viene meno col crollo della pubblicità che finora aveva giornalismoinvestito solo i media nazionali ma che adesso arriva a colpire, con la crisi che si è diffusa ovunque, anche i potentissimi (almeno fino a oggi) media locali. Infine, “L’Arena” è arrivata a diffondere 38.197 copie considerando anche il contributo di quelle digitali e “II Giornale di Vicenza” 35.241 tra carta e digitale, mentre i dati di “Bresciaoggi” non vengono certificati.

Franco Siddi, segretario della Fnsi (il sindacato dei giornalisti), attraverso l’ANSA, dichiara tra l’altro: «Chiediamo perciò sin d’ora al governo di promuovere, alla ripresa dell’attività ordinaria, un’operazione di chiarezza, di ulteriore verifica sullo stato di salute dell’editoria e sulle reali responsabilità del mondo delle imprese. […] Le risposte alla crisi recentemente arrivate dal governo, con il fondo Lotti e le nuove misure per rilanciare il sistema (approvate dal Parlamento), sono puntuali e sono un oggettivo segno di sostegno alla speranza di cambiamento e di futuro. Serve uno sforzo supplementare di progettualità e di innovazione dell’editoria, non la vecchia formula della mannaia sul lavoro. I giornali sono in crisi ma senza giornalisti non hanno alcun futuro».

Intanto entra in vigore la legge 114/2014, per il rifinanziamento: 51,8 ml spalmati dal 2014 al 2019. Un onere derivante dall’attuazione del comma 1 dove si provvedono: 6,2 milioni di euro per l’anno 2016, 13 milioni di euro per l’anno 2017, 10,8 milioni di euro per l’anno 2018 e 3 milioni di euro per l’anno 2019, mediante corrispondente versamento all’entrata del bilancio dello Stato, per pari importo e per i medesimi anni, delle risorse disponibili su apposita contabilità speciale, su cui affluiscono 22 milioni di euro per l’anno 2014 e 11 milioni di euro per l’anno 2015 della dotazione del Fondo.

Molto si è discusso e affermato sul diritto d’informare (purtroppo con risultati ancora non soddisfacenti), molto meno sul diritto a essere informati. Spesso questi sono visti come diritti configgenti, e in questo conflitto ha sempre preso il sopravvento il primo sul secondo. La libertà d’informazione e il “diritto a essere informati” sono, al contrario, due valori differenti ma complementari, guai a metterli in concorrenza. Vanno garantiti entrambi. Non esiste l’uno senza l’altro. Certamente il “diritto a essere informati” è tra le condizioni indispensabili per una democrazia non finta. Pertanto, piuttosto che combattersi, “il diritto di cronaca” e “la libertà a essere informati” si devono compenetrare e devono prendere coscienza che non c’è l’uno senza l’altra.

Per questo va fondato pressoché dal nulla il “diritto dei lettori”, i quali sono senza difese sia in quanto cittadini (non viene garantita loro, dell’informazione, né la pluralità né l’indipendenza) sia in quanto consumatori. Già perché, quando si vuole far intendere all’industria editoriale che l’informazione è un prodotto particolare che va particolarmente garantito, ci viene sempre ricordato che l’informazione ha una forte componente di merce. Ma contemporaneamente, mentre i fruitori di altre merci negli ultimi decenni hanno strappato alcuni diritti, i lettori non sono neppure presi in considerazione come tali. Eppure come compratori di una merce essi sono “consumatori” e quindi dovrebbero acquisire almeno diritti analoghi a quelli che con fatica sono stati conquistati dagli acquirenti di un qualunque bene di consumo: trasparenza, non commistione di interessi, non inquinamento del mercato.

Ecco, dunque, un altro campo dove gli indipendentisti, prima o poi e nell’interesse di tutti, dovranno impegnarsi.

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1 COMMENT

  1. Se assistiamo a un degrado della cultura tradizionale dell’Occidente è perché la stragrande maggioranza dei media mondiali è in mano a pochi individui della stessa appartenenza etnica ostili proprio a quella cultura e consapevoli che la conquista delle menti e dei cuori si ottiene tramite la sfera culturale.

    Questo oligopolio non potrebbe restare a lungo se i media non potessero avvalersi delle leggi che tutelano la cosiddetta proprietà intellettuale e le varie licenze e concessioni statali. Sono d’accordo che l’indipendenza deve cominciare innanzitutto dalla cultura. altrimenti non c’è speranza per l’emancipazione.

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