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Gli pseudo-indipendentisti hanno degli obblighi

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INDIPENDENTIdi ENZO TRENTIN

Che noi non si ami i partiti politici è cosa nota, scritta e riscritta. In realtà siamo intrisi dall’acuto senso di trovarci tra due fuochi: partecipazione votata alla disfatta o indifferenza. Quest’ultima è impossibile, a meno di essere irresponsabili. Si possono prendere quasi tutti i termini, tutte le espressioni del nostro vocabolario politico, e aprirle; al centro si troverà il vuoto. Si guardi alla lotta tra avversari e difensori del partecipare alle elezioni indette dallo Stato dal quale si vuole l’indipendenza, questa lotta tra innovatori che non sanno cosa innovare e conservatori che non sanno cosa conservare, è una lotta cieca di ciechi, una lotta nel vuoto, e che per questa stessa ragione rischia di volgersi in nulla di fatto.

Osserviamo, per esempio, il comportamento dei militanti di un qualsiasi partito o movimento politico ancorché indipendentista: vogliono solamente leggere di quanto bravi sono loro ed i loro presunti leader; di quanto belle e innovative sono le loro idee. Mal sopportano il cosiddetto diritto di critica che il giornalismo non sovvenzionato da potentati economico-politici considera parte integrante dell’etica dell’informazione.

Beninteso il diritto di critica deve comunque rispettare dei limiti. Come il diritto di cronaca, il giudizio deve poggiarsi su un fatto vero o collettivamente riconosciuto. Naturalmente se il giudizio riguarda un fatto di cronaca la veridicità risiede nello stesso, ma se invece ha per oggetto qualcosa che si protrae nel tempo, come una situazione alla quale si è arrivati dopo anni di scelte o comportamenti politici sbagliati, allora la critica si basa maggiormente sul dissenso per quello che è avvenuto, in modo da rendere partecipi anche altri della propria idea.

L’avvenimento per il quale si esprime il giudizio deve stimolare l’interesse pubblico alla conoscenza delle varie opinioni a favore o contrarie ad esso. Questo vuol dire che non si può giudicare o rendere pubblica una notizia che riguarda i fatti privati di perfetti sconosciuti. Se la critica deve generare una reazione da parte del suo pubblico (che sia positiva o negativa), allora deve toccare avvenimenti dei quali la comunità può sentirsi partecipe, per i quali sia incuriosita e stimolata a dover dire la sua. È su questo che trova il suo fondamento il diritto di critica. Un’altra accortezza che si deve avere quando si manifesta una propria idea è la continenza con la quale si fa. La forma espositiva infatti deve essere chiara, provocatrice ma non offensiva o immorale. Solo rispettando verità, interesse pubblico e continenza formale la critica può definirsi legittima.

Venendo dunque alla critica: allo stato attuale pare certo che a concorrere alle elezioni del 17 Maggio 2015 alla Regione Veneto ci saranno almeno tre liste – se non di più – che si dichiarano indipendentiste. Molti elettori lamentano che così si rompe il fronte indipendentista, che solo l’unione fa la forza, che andando così “sparsi alla meta” non si racimoleranno che consensi da prefisso telefonico, che l’idea stessa d’indipendenza verrà depotenziata, svilita, resa ridicola, e non più praticabile.

C’è un pizzico di verità in ognuna di queste opinioni. Tuttavia la questione potrebbe essere superabile se i singoli contendenti potessero affermare d’avere un progetto istituzionale già pronto e spendibile. Per esempio, banalizzando: se il concorrente A potesse dimostrare d’avere un progetto istituzionale di tipo monarchico. Il concorrente B ne esibisse uno di tipo fascista o comunista. Il concorrente C ne sbandierasse uno di tipo liberale o libertario o quant’altro le teorie socio-politiche possono suggerire. Ma così non è.

partiti_venetiSe da un lato c’è una formazione arcobaleno, nel senso che i principali esponenti che la rappresentano hanno fatto le più diverse esperienze: dal post fascismo, al post DC, passando per lo pseudo federalismo e l’autonomismo, e non escludendo coloro che hanno via via creato e distrutto partitini di nessun conto e peso politico; dall’altro c’è chi pretende d’imitare il catalanismo, quando questo, oramai, s’è dimostrato impraticabile, perché dopo aver raccolto un eccezionale consenso referendario (sia pure non deliberativo), ora si riduce ad attendismo, al rimando ad ulteriori prove elettorali che altro non sono se non funzionali alla partitocrazia per prendere tempo, stancare l’elettorato e rimandare il redde rationem.

Quanto meno bizzarra, poi, appare la partecipazione di coloro che sono andati in piazza a Treviso il 21 Marzo 2014 per dichiararsi indipendenti. Costoro, se lo sono, perché cercano d’andare a farsi eleggere nelle istituzioni di quello Stato italiano che hanno dichiarato d’abbandonare? Strabiliante la “giustificazione sacrificale” alla causa espressa recentemente da uno di loro: «Ho lungamente sperato di essere sollevato da tale incarico, ma la mancanza di leader mi impone oggi di assumermi tale responsabilità e di chiedere il mandato ai cittadini veneti di portare a termine il mandato conferitomi con il Plebiscito Digitale, con l’ottenimento della piena e fattiva indipendenza del Veneto, secondo quanto previsto dal diritto internazionale di autodeterminazione dei Popoli.» Ohibò!

Qui dobbiamo esprimere tutte le nostre perplessità. Secondo quanto qui pubblicato qui il 21 Marzo 2014, alle ore 19, vi è stato un certo numero di votanti, e il risultato fu il seguente:

  • VOTI VALIDI: 2.360.235, pari al 63,23% degli aventi diritto al voto.
  • SI: 2.102.969, pari all’89,10% dei voti validi espressi.
  • NO: 257.266, pari al 10,90% dei voti validi espressi.
  • VOTI NON VALIDI: 6.815, corrispondenti allo 0,29% dei voti validi espressi.

Numeri che in una prima fase dovevano essere certificati da una Commissione internazionale, e che dopo circa nove mesi d’attesa furono invece “certificati” da un altro organismo. Si aggiunga che il novello “agnello sacrificale” ha diffidato, a mezzo inserzioni stampa, a pagamento, su tre quotidiani [VEDI QUI], e minacciato querele a tutti coloro che avessero delegittimato i dati su indicati. Tralasciamo anche qui il nostro disorientamento, per chiedere ai nostri lettori: «come mai se le cifre sopra riportate sono a prova di dubbio, il nostro “salvatore della patria” non va in sede internazionale a rivendicare l’autodeterminazione del popolo veneto: all’ONU? Al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite? Agli Istituti specializzati delle Nazioni Unite quando essi siano autorizzati a farlo? Alla Corte internazionale di giustizia, conosciuta anche come Corte mondiale? Alla Cour européenne des droits de l’homme? Solo se eleggeremo lui, novello “Libertador”, alla Regione Veneto otterremo l’indipendenza?» Lo smarrimento ci pervade!

Tutti i soggetti politici su indicati, in ogni caso, pretendono di entrare nelle istituzioni per cambiarle dal di dentro, quando decenni di Lega Nord prima, ed ora l’esperienza del M5S stanno a dimostrare come sia illusoria questa pretesa.

Ha scritto il giornalista Enzo Marzo: «Se tutta la Propaganda è Persuasione (in qualche modo forzata), non tutta la Persuasione è Propaganda. Se a queste due affianchiamo la Testimonianza, che è l’unico modus operandi dell’autentica informazione…». Allora notiamo che la Propaganda che producono le organizzazioni partitiche o movimentiste (distinzione pletorica considerato che entrambe operano per lo stesso fine: l’ottenimento del potere) non ammette d’essere contraddetta. Lo verifichiamo qualche volta nello spazio che il MiglioVerde lascia al lettore in calce ad ogni articolo che pubblica. La propaganda poi non si distingue dalla persuasione né per il contenuto “veicolato” né per le “intenzioni” del comunicatore, né per le tecniche usate, bensì per la quantità informativa con cui sommerge le menti senza che queste abbiano sufficienti alternative. L’unico antidoto è il pluralismo delle fonti. Ma il pluralismo che ci proviene dalle formazioni pseudo indipendentiste cui facciamo riferimento non esiste. Si tratta sostanzialmente di una marmellata con l’etichetta: «Vota per me, perché sono il più serio, il più intelligente, il più sperimentato…», e qui ci fermiamo segnalando un aforisma di Groucho Marx: «c’è un modo per scoprire se un uomo è onesto: chiedeteglielo! Se risponde di sì, è marcio».

Un’indagine sulla politica moderna, sull’idolatria che la caratterizza, ossia sulla logica di un potere che per conservarsi deve continuamente accrescersi e ritenersi invincibile e immortale, creando immagini di sé che sono sogni di assolutezza e intangibilità, è nota ad ogni politologo. Una politica autentica, invece, si gioca sulla capacità di mantenere una relazione con l’altro, con ciò che non è afferrabile e comprensibile, si sottrae al nostro possesso, nelle sue molteplici incarnazioni, dalla differenza di razza e di religione all’alterità più eccedente e inaccessibile, quella della morte, del senso delle cose, del Bene e della Giustizia. L’omologazione dell’alterità così come la sua assolutizzazione locale segnano la fine di ogni relazione. Al contrario, agire secondo il modello della composizione di piani, della messa in relazione di differenze che non si confondono dovrebbe essere la vera ispirazione “pubblica”, orientata al bene comune, di una politica degna di questo nome.

Simone Weil è stata e sarà sempre non contemporanea al suo come al nostro tempo. Essa, tra l’altro, acutamente osservava: «La nozione di obbligo predomina su quella di diritto, che le è relativa e subordinata. Un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo corrispondente; l’adempimento effettivo di un diritto non viene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa. L’obbligo è efficace allorché viene riconosciuto. L’obbligo, anche se non fosse riconosciuto da nessuno, non perderebbe nulla della pienezza del suo essere. Un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto. Non ha senso dire che gli uomini abbiano dei diritti e dei doveri a quelli corrispondenti. Queste parole esprimono solo differenti punti di vista. La loro relazione è quella da oggetto a soggetto. Un uomo, considerato di per se stesso, ha solo dei doveri, fra i quali si trovano certi doveri verso se stesso. Gli altri, considerati dal suo punto di vista, hanno solo dei diritti. A sua volta egli ha dei diritti quando è considerato dal punto di vista degli altri, che si riconoscono degli obblighi verso di lui. Un uomo, che fosse solo nell’universo, non avrebbe nessun diritto, ma avrebbe degli obblighi».

Ci sono dunque degli obblighi che gli pseudo indipendentisti hanno nei confronti di tutti coloro ai quali chiederanno il voto. E questo obbligo consiste nel prefigurare a priori in quale “paradiso” istituzionale vogliono condurci dopo aver ottenuto il nostro voto. In questo senso, è di questi giorni la notizia di come i catalani comincino già a prefigurare una nuoca Costituzione; vedi qui. E ad avvalorare questa teoria ci soccorre proprio la storia di quella Lega Nord che non abbiamo mai molto amato.

PAGLIARINIGiancarlo Pagliarini in una recentissima lettera ci ricorda come la creatura di Umberto Bossi, ad un certo punto della sua storia sentì questo obbligo. Infatti, ha scritto tra l’altro: «Leggo sul Corriere della Sera di Sabato 20 dicembre 2014 questa dichiarazione di Giorgia Meloni: “Se Salvini fa sul serio e sancisce la fine dell’errore secessionista, siamo pronti a dare il nostro contributo”. Non mi sogno di ficcare il naso nelle decisioni di Fratelli d’Italia, della Lega Nord e dei loro leaders, però quel “fine dell’errore secessionista” a mio giudizio Salvini avrebbe potuto commentarlo. Vedo che non lo fa. Non avrà tempo oppure avrà le sue buone ragioni, comunque adesso lo commento io. […] in Lega negli anni ’90 ne avevamo parlato molto, soprattutto nelle riunioni di Villa Riva Berni a Bagnolo San Vito, a due passi da Mantova. Quella era stata una stagione creativa: eravamo in tanti e si lavorava duro. Si parlava di costituzione e di federalismo, si facevano conti, proiezioni, progetti. E si organizzavano giornate di studio. Indimenticabile quella su uno dei capolavori di Kenichi Ohmae pubblicato in Italia da Baldini & Castoldi nel 1995: “La fine dello Stato-nazione. L’emergere delle economie regionali”.

Dicevamo che i vecchi Stati-nazione, quelli responsabili delle guerre mondiali, non avevano più senso. Discutevamo dell’Europa dei popoli. Adesso, 20 anni dopo, vedo che si dice anche a Bruxelles che “l’Unione europea deve ripensare se stessa, e dovrà riorganizzarsi al di là dei confini dei vecchi Stati-nazione, nel segno dell’organicità e dell’omogeneità”. Questo è il futuro. Purtroppo mi pare che a Roma Governo, maggioranza e opposizione ne parlino poco o niente. Non è nel loro Dna, ed è un vero peccato. Questi ragionamenti purtroppo li sento fare solo da Piero Bassetti, da Stefano Bruno Galli e da pochissimi altri».

Insomma, troppo comodo e semplicistico dichiararsi indipendentisti e chiedere il nostro voto. Per averlo dovrebbero sforzarsi di spiegarci meglio il perché dovremmo darglielo. Ed ancor che lo facessero, non potremmo dimenticare che i politici non vanno giudicati per quello che dicono, bensì per quello che fanno. E molti di costoro, cosa hanno fatto lo ricordiamo perfettamente.

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