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Gli schiavi “rustici” e gli schiavi “domestici”: ieri e oggi

Da leggere

di ALFREDO MOROSETTI

Voglio raccontare questa faccenda, perché la so e perché so che tantissimi non la sanno eppure sarebbe utile che la sapessero per capire che futuro si presenta a loro nei prossimi anni.

Le grandi famiglie romane avevano migliaia di schiavi. Però erano divisi in due categorie fondamentali. Gli schiavi rustici e gli schiavi domestici.

Degli schiavi rustici avevano una paura folle. Non li conoscevano, erano quelli che lavoravano come bestie nei latifondi ed erano agli ordini dei procuratori. Li temevano moltissimo e quando andavano in qualche loro villa rustica si facevano accompagnare da un numero considerevole di schiavi domestici bene armati come guardie del corpo. Gli schiavi rustici avrebbero potuto ucciderli nel sonno e poi darsi alla macchia.

Questa eventualità non si dava con gli schiavi domestici, e non perché in città non avrebbero saputo dove scappare, ma perché gli schiavi domestici mai e poi mai avrebbero desiderato uccidere i loro padroni. In casi estremi ci sono stati schiavi che si sono fatti ammazzare volontariamente insieme o al posto dei loro padroni. Erano talmente attaccati ai loro padroni che, come i cani, anteponevano la vita dei loro padroni alla propria. In effetti la loro condizione esistenziale era assai simile a quella di un cane da compagnia o da guardia. Nella domus avevano costantemente lo sguardo rivolto verso il padrone, ne condividevano fisicamente, proprio come un cane, ogni privatezza.

C’era quello che dormiva su di una stuoia davanti al cubiculum del suo padrone, quello che gli puliva il culo dopo aver cagato (sul serio, non tanto per dire), insomma non c’era dimensione fisica dei loro padroni di cui gli schiavi domestici non fossero testimoni e infermieri. Allo stesso modo non c’era azione, parola, espressione del volto di uno schiavo che non fosse, se ritenuta significativa, riferita ai padroni. Totalmente senza privacy, senza difese, erano trattati come cagnolini e persino vezzeggiati dai loro padroni, spesso anche viziati, esattamente come avviene oggi fra un animale domestico e il suo padrone.

Questo strano rapporto generava appunto un’affezione assoluta dello schiavo verso il padrone, senza di esso si sarebbe sentito perduto, al punto che preferivano la propria morte a quella del padrone, come appunto un cane che si lancia contro l’aggressore armato del padrone e rischia la vita piuttosto che rallegrarsi che finalmente qualcuno gli ammazza quello che lo comanda.

Il rapporto storico fra classi dirigenti e classi subalterne, negli ultimi due secoli, è stato esattamente come quello fra schiavi rustici e padroni romani. Oggi è diventato quello fra schiavi domestici e i loro padroni.

La classe dirigente ha temuto per due secoli il proletariato. Lo ha temuto a distanza, ha cercato con ogni mezzo di tenerlo a freno con la forza e la minaccia, ha trattato con lui facendo concessioni per trovare una soluzione di compromesso. Oggi, grazie alla tecnologia che ha trasformato il lavoro, ha realizzato un sospirato rapporto quale quello fra schiavi domestici e padroni romani. Ha trasformato tutti o quasi in schiavi domestici, che senza i padroni si sentono perduti e vanno a mangiare nelle loro mani, dopo avergli pulito il culo. Totalmente liberati di ogni privacy e di ogni autonomia decisionale, abbaiano festosi ad ogni trovata (dammi subito un microchip-guinzaglio di lusso, please) dei loro padroni ed esultano felici nel condividerne il destino, che speriamo sia quello di morte.

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