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Grecia, la scelta è tra il male e il peggio. e i contribuenti han perso!

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ue greciadi MATTEO CORSINI

Anche Barbara Spinelli parla: “Le pressioni che si stanno esercitando su Atene, perché comprima ancor più spesa pubblica e pensioni già ridotte al minimo, conferma che l’Unione è guidata da poteri sprovvisti di senso della responsabilità. Se fossero adulti, quei poteri inviterebbero nelle stanze dei negoziati persone che abbiano senso storico, e soprattutto memoria. Persone con una visione centrale e un forte principio ispiratore, consapevoli del fatto che la storia è tragica, memori dei disastri passati e lucide sui pericoli incombenti: lo sfaldarsi dell’Unione, e della sua forza di attrazione presso i propri cittadini. Ci sarebbero, seduti al tavolo delle trattative, esperti geo-strategici, ed economisti sistematicamente disprezzati, anche se in questi anni non hanno sbagliato previsioni, come i due premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman”.

Barbara Spinelli è tra coloro che sostengono, mi si passi la semplificazione, invocano l’Europa della solidarietà nei confronti della Grecia. Non mi stupisce che la sua posizione sia questa, dato che l’anno scorso si candidò alle elezioni europee con una lista transnazionale che appoggiava l’attuale primo ministro greco, Alexis Tsipras. Né mi stupisce che tra gli economisti prenda riferimento Stiglitz e Krugman.

Non so come andrà a finire il tira e molla tra il governo greco e i rappresentanti dei creditori internazionali, ossia Unione europea, Bce e Fondo Monetario Internazionale, che detengono almeno tre quarti del debito pubblico ellenico.

Ciò che mi pare chiaro, tuttavia, è che i contribuenti europei hanno già perso, e di questo devono ringraziare chi li ha governati, gran parte di quei soldi (per gli italiani sono oltre 40 miliardi di euro). Si tratta solo di scegliere se riconoscere quella perdita adesso oppure rimandarla ancora nel tempo, ovviamente aumentandone le dimensioni.

varoufakis_schaeuble_brostaIn fin dei conti, questo è ciò che è successo dal 2010 a oggi. A fronte di una ristrutturazione ipocritamente definita volontaria nell’ambito della quale i creditori privati hanno subito un haircut di 100 miliardi, la cosiddetta troika (UE, Bce e FMI) ha concesso a più riprese altri fondi alla Grecia per complessivi 240 miliardi. In cambio ha chiesto tagli di spesa e aumenti di entrate pubbliche, cosa abbastanza comprensibile. Il problema è che l’economia greca era ed è ancora talmente incrostata di statalismo che il debito in rapporto al Pil è aumentato anziché diminuire, nonostante concessioni da parte dei creditori in termini di riduzione della spesa per interessi e allungamento delle scadenze.

Quando, nel 2010, fu ufficialmente reso noto che i conti pubblici della Grecia erano stati sistematicamente falsificati da anni, fu chiaro a tutti che il deficit superava il 15 per cento del Pil, con una spesa pubblica pari al 54 per cento del Pil ed entrate inferiori al 39 per cento.

In realtà i problemi della Grecia venivano da molto lontano, essendo iniziati fin da quando entrò nell’allora CEE. Era il 1981, e la Grecia in quell’anno aveva un debito pubblico pari al 21 per cento del Pil. Da allora è stata una cavalcata continua, grazie a incessanti e cospicui deficit di bilancio, uniti a deficit di parte corrente della bilancia dei pagamenti. E questo senza considerare che, ancora oggi, la Grecia è beneficiario netto del bilancio Ue per un importo pari a circa il 3 per cento del suo Pil. Fatto sta che il debito pubblico oggi si avvicina al 180 per cento del Pil.

In pratica, la Grecia sviluppava un welfare state che era insostenibile fin dall’inizio, e che per trent’anni è andato avanti a suon di debito, prevalentemente verso l’estero. La cura imposta dalla troika a molti è parsa eccessiva, ma dubito che un approccio più graduale avrebbe risolto il problema. Credo, piuttosto, che sarebbe stato meglio riconoscere fin dal 2010 che buona parte dei crediti pubblici e privati nei confronti della Grecia erano inesigibili, facendo una ristrutturazione credibile, con annesse perdite. Ovviamente si sarebbero anche dovuti chiudere i rubinetti, cosa che molti non vorrebbero fare neppure oggi.

Uno dei punti sui quali il governo greco pare non voler transigere è quello del sistema pensionistico pubblico. Lo fa sostenendo che è già stato pesantemente ristrutturato. Il problema è che, a legislazione vigente, i greci inizieranno ad andare in pensione a 66 anni solo nel 2025; ancora oggi ci vanno mediamente prima di aver compiuto 60 anni, con assegni medi non troppo diversi da quelli tedeschi (il sistema pubblico tedesco non è tra i più generosi a livello europeo), pur essendo il Pil pro capite greco la metà di quello tedesco. La spesa pensionistica è pari al 18 per cento della spesa pubblica primaria (ossia al netto degli interessi sul debito), e ogni anno lo Stato (ossia, per lo più, i contribuenti europei) finanzia il 10 per cento della spesa pensionistica, contro una media europea del 2.5 per cento.

E’ noto che personalmente sono contrario a ogni forma di welfare state, ma, a prescindere da questa mia posizione, mi pare assurdo pretendere di mantenere un pezzo di stato sociale più generoso che quello degli altri Paesi europei senza essere in grado di finanziarlo con le proprie entrate fiscali. Per questo le promesse di Tipras di migliorare le finanze pubbliche agendo sul lato delle entrate, oltre che non essere risolutive, non sono per nulla credibili. A maggior ragione quando sulle entrate promette di agire, mentre procede a riassunzioni di dipendenti pubblici e a riaprire una anacronistica emittente televisiva statale. Ossia: per ora spende soldi che non ha, per le entrate si vedrà.

Tutto ciò detto, e per non dilungarmi eccessivamente, il problema della Grecia rende evidente, se ancora ve ne fosse bisogno, che quando chi contrae i debiti non sarà chiamato in prima persona a onorarli e chi concede crediti non ne sopporta i rischi connessi in prima persona, le cose sono destinate ad andare a finire male.

Come ho accennato, adesso si tratta solo di scegliere se sopportare perdite turbolenza finanziaria immediate, oppure rinviare ancora una volta il problema, ovviamente aumentandone le dimensioni. In pratica, la scelta è tra il male e il peggio.

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