di ALESSANDRO GNOCCHI (Il Giornale)
Al botteghino Usa è stato un flop inatteso. Costato 50 milioni di dollari, ne ha incassati solo 23,2. Un disastro economico. Ma questo non significa che Free State of Jones di Gary Ross con Matthew McConaughey, sui nostri schermi dal 1° dicembre, sia un film poco interessante. La storia, ispirata a un fatto vero, in breve. Durante la Guerra civile americana, il contadino Newt Knight diserta dall’esercito della Confederazione. Lo Stato chiede sangue, e lui non è disposto a versare il suo. Rifugiatosi nelle paludi del Mississippi, Newt viene presto raggiunto da altri rinnegati e si unisce a un gruppo di schiavi di colore. Con l’appoggio della popolazione, stanca di essere vessata dalle tasse speciali, la pittoresca armata di ribelli innesca una rivolta che porta alla secessione della contea di Jones. Con pochi fucili e molto ingegno, Newt riesce a respingere l’esercito confederato (mille uomini guidati dal colonnello Lowry) prima di arrendersi all’Unione. Nel dopoguerra, Knight mette su famiglia con una ex schiava: è uno scandalo ma anche il tentativo di costituire una comunità dove il colore della pelle non ha importanza. Tentativo osteggiato dai proprietari delle piantagioni di cotone con impiccagioni e linciaggi.
Però non è (solo) uno scontro tra ricchi e poveri, tra bianchi e neri. La battaglia di Newt si basa su un principio: il raccolto appartiene a chi lo semina e raccoglie. Lo schiavismo, per un verso, e le tasse, per un altro, sono una rapina inaccettabile. Inoltre tutti gli uomini sono uomini. Lo dice la Bibbia, che è superiore alla legge dello Stato. Per questi motivi, nella dichiarazione d’indipendenza, scritta tra una sparatoria e l’altra, si legge che la contea di Jones non appartiene ad alcun Paese: appartiene a se stessa, e non ha bisogno di altra legittimità se non quella che le attribuiscono volontariamente i cittadini stessi. Se esiste la libertà, dice Newt, deve comprendere anche quella di proclamare l’indipendenza della propria terra. Discorsi simili, al cinema, non si ascoltano spesso, e infatti il film è stato subito notato da movimenti libertari e dalla rivista on line miglioverde.eu, la «voce degli indipendentismi» fondata da Gilberto Oneto.
I critici non hanno apprezzato: Free State of Jones si dilunga sul periodo della Ricostruzione, dando l’impressione di contenere due film, uno sulla secessione di Jones e un altro sulla difficile affermazione dei diritti civili. Nonostante ciò, non ci si annoia, le battaglie della Guerra civile sono terribilmente spettacolari e Matthew McConaughey, uno che agli esordi era considerato tipo da commedia romantica, è pur sempre un premio Oscar (miglior attore protagonista in Dallas Buyers’s Club, 2014).
Ci sarebbe da stabilire quanto Free State of Jones sia aderente alla realtà. Secondo alcuni storici, poco. Newt Knight sarebbe stato soltanto un traditore del Sud, la secessione non sarebbe mai entrata in vigore e soprattutto non avrebbe mai avuto il consenso del popolo, fedele alla Confederazione. Il vero Knight, lungi dall’essere un idealista, sarebbe stato un rozzo coltivatore. Il regista, anche sceneggiatore, ribatte che il film è stato condotto sulla base di nuove ricerche. Studi indipendenti ma avvallati da professori della università, tra le altre, di Yale. Il progetto è di lunga data, e ha avuto una pausa tra il 2011 e il 2012 quando il regista ha raggiunto il successo con la saga distopica di The Hunger Games. Alcuni fatti sembrano fuori discussione: il futuro disertore era partito volontario per il fronte; i duecentocinquanta ribelli tennero davvero in scacco, tra il 1863 e il 1865, un’armata quattro volte più grande; la moglie di Knight fu un raro esempio di proprietaria terriera negra: non potendo sposarsi, Newt le intestò la terra; la coppia visse indisturbata nella sua fattoria. Comunque sia, non cambia l’originalità del film, che si colloca in una categoria a sé rispetto a quanto si vede di solito.